Ancora un articolo sul no all’autonomia differenziata? Su questo nostro Magazine la prima volta che ne ho scritto è stato a novembre 2018, giusto quattro anni fa. Ma già in precedenza, e, poi, in seguito, svariate volte, ne ho scritto e scritto ancora, sul Magazine, su quotidiani (Repubblica, Mattino, Riformista, Cronache di Napoli) e riviste (Left, La Prima Pietra, Alfabeta). Dapprima un po’ isolato (ricordo ancora alcuni nostri autorevoli dirigenti nazionali, scherzando, quando prendevo la parola in riunioni varie, mettendosi le mani nei capelli, esclamando: “oddio, adesso Giuliano ci parla del regionalismo differenziato!”). E in ogni riunione di partito, nazionale o territoriale, o manifestazione politico-culturale, sono sempre intervenuto a perorare la causa della lotta al regionalismo differenziato, alla “oscena” secessione dei ricchi.
Nel corso degli anni, però, sono stato sempre più “ascoltato”, via via che il pericolo e la gravità della questione si manifestavano più chiari a tutti. Mi accorgo ora che una grande quantità di esperti, intellettuali, accademici, politici, commentatori, giornalisti (prova ne sia la presenza, in questi ultimi mesi, ogni giorno, di almeno un paio di interventi, commenti, articoli, interviste, su questi temi, sui giornali e sulle riviste, e recentemente anche in trasmissioni radiofoniche, come ad esempio Prima Pagina di Radio3) ne è consapevole. Non sono stato certo io, ci mancherebbe, a ottenere un tale risultato, ma nel mio piccolissimo, ho sicuramente sensibilizzato e indotto a “pensare” almeno una ristretta cerchia di persone. Che pure contano.
Gli è che ormai il pericolo è purtroppo chiaro: la secessione dei ricchi è a un passo, l’accelerazione data da Calderoli e Lega (a dire il vero, le organizzazioni del Nord di tutte le forze politiche, se non spingono, non frenano neanche!) al processo di concessione di maggiori poteri e autonomia (e soldi!) a Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, i cui presidenti, di Lega e Pd, caldeggiano, nella sostanza tutti sulla stessa lunghezza d’onda, sia pure con sfumature di differenza, è sotto gli occhi del Paese.
Un tema che non appassiona i cittadini, che devono far quadrare i conti a fine mese, devono pagare bollette, affitti, abbonamenti ai trasporti, assistere malati e anziani, far istruire i propri figli? “A chi vuoi che interessi se la gestione e l’amministrazione e la cura dei Beni Culturali o delle infrastrutture aeroportuali è affidata allo Stato o alla Regione? I problemi quotidiani sono ben altri!”
Ovviamente è ESATTAMENTE il contrario. Proprio chi ha bisogno di welfare, di servizi, di assistenza, di sanità, di istruzione, di trasporti pubblici efficienti, ha enorme interesse a venire informato. Perché questo eventuale nuovo assetto istituzionale avrebbe un impatto proprio sulla vita quotidiana di milioni e milioni di italiani. La grandissima maggioranza nel Mezzogiorno.
La lezione dei grandi e “gloriosi” meridionalisti, da Pasquale Villari a Guido Dorso, da Francesco Saverio Nitti a Giustino Fortunato, e ad Antonio Gramsci, Manlio Rossi-Doria, e ancora, poi, Francesco De Martino, Gerardo Chiaromonte, Francesco Compagna, Giuseppe Galasso, va ripresa, studiata, rafforzata, portata avanti. Come stanno facendo del resto in questi anni personalità del mondo dell’accademia e della cultura, come Sales, Villone, Viesti, Giannola, per non parlare di Pietro Busetta, Luca Bianchi, e di politici impegnati come Peppe Provenzano, Enzo Amendola, Roberto Speranza, Arturo Scotto, Federico Conte, Stefano Fassina, Pier Luigi Bersani, Vasco Errani, Massimiliano Manfredi, sindaci e amministratori, come Gaetano Manfredi, Vincenzo De Luca, Michele Emiliano, e commentatori informati e determinati come Marco Esposito. E sicuramente dimentico qualcuno. La questione meridionale deve tornare a essere grande e centrale questione nazionale.
L’autonomia differenziata così come sembra possa essere attuata aumenterebbe il gap tra Mezzogiorno e Centro-Nord, magari sfruttando quei finanziamenti del Next Generation Eu che ci sono stati concessi… proprio per l’esatto contrario; la RIDUZIONE del divario territoriale! E, come diceva qualcuno, ciò sarebbe un vero e proprio insulto politico alle regioni del Mezzogiorno, e uno sfregio insopportabile alle popolazioni meridionali. Più precisamente il rischio concreto è che, nella migliore delle ipotesi, si cristallizzi, fissandolo addirittura “per legge”, il divario esistente tra Sud e Nord d’Italia, o addirittura, si diano ancora più risorse al “dinamico e produttivo” Nord, nella convinzione che uno sviluppo e una crescita delle regioni ricche del Nord riesca poi a trascinare uno sviluppo e una crescita dell’intero Paese. Quasi tutti gli esperti ed economisti, al contrario, sono concordi nel ritenere che solo uno sviluppo e una crescita del Mezzogiorno, la creazione di una vera e propria seconda locomotiva nel Mezzogiorno, sono fattori essenziali per sviluppo e crescita dell’intero Paese.
Quali i rischi dell’idea di Lega, Calderoli, e presidenti delle tre regioni richiedenti?
- Utilizzazione del parametro “spesa storica” per i trasferimenti alle regioni (e ai comuni), e la sua “fissazione” per legge, impedendo di fatto sviluppo e miglioramenti nel resto del Paese.
- Creazione di tante “piccolissime patrie” regionali, ciascuna con potestà, legislazione, regole, servizi tutti diversi, per tantissime materie, violando la Costituzione che prevede uniformità nazionale.
- Sottrazione dal controllo centrale dello Stato di materie strategiche (energia, infrastrutture, istruzione…), per affidarlo a ciascuna singola regione, con potenziali effetti distorcenti e catastrofici (la gestione regionale della emergenza Covid ne è un drammatico esempio).
Cosa invece si potrebbe fare?
- Stabilire, PRIMA di procedere a qualsivoglia concessione di autonomia, i Livelli Uniformi delle Prestazioni per ogni materia in discussione (Uniformi, per una uguaglianza, anche letterale, in tutto il Paese; non già Essenziali, ché potrebbero portare a una “fissazione” di criteri molto bassi, concedendo poi “troppo” a chi se lo può permettere, ancora violando la Costituzione. Da notare che NON esiste un residuo fiscale regionale; la tassazione in Italia è, come tutti sanno, INDIVIDUALE)
- Stabilire con chiarezza (per iscritto, modificando gli artt. del Titolo V, se serve, come chiede la proposta Villone) che alcune materie, strategiche e di interesse nazionale, non possono essere oggetto di “concorrenza” (quelle elencate all’art. 117.3; ancora: tutela della salute e servizio sanitario nazionale; tutela e sicurezza del lavoro; scuola, università, ricerca scientifica e tecnologica; reti nazionali e interregionali di trasporto e di navigazione; porti e aeroporti civili di rilievo nazionale e interregionale; reti e ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale e interregionale dell’energia; previdenza sociale, previdenza complementare e integrativa), ma restano di esclusiva competenza dello Stato.
- Riportare in qualche modo l’intera materia “autonomia” nelle mani del Parlamento, che non può, come invece sembra si stia decidendo, solamente approvare senza modifiche (o eventualmente respingere) intese di cui non ha mai saputo nulla o quasi, e che sono intervenute e costituite esclusivamente tra governo e Regione, ed evitare che accordi così presi diventino di fatto immodificabili.
- Infine, operativamente, credo sia arrivato il momento perché innanzitutto i nostri parlamentari e i nostri autorevoli e noti dirigenti nazionali tutti, scendano in piazza, partecipando a microiniziative territoriali, anche con sole 30-40 persone, per spiegare, condividere, ascoltare, iniziative magari accoppiate alla raccolta di firme di appoggio alla proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare preparata da Massimo Villone e altri, già sottoscritta, in fase di preparazione e di lancio, da centinaia di autorevoli personalità del mondo delle Università e della Cultura (compreso il sottoscritto). Già so di tanti generosi attivisti disponibili ad organizzare simili iniziative. E sono convinto che in queste iniziative si debbano coinvolgere i nostri, ma anche naturalmente esponenti del Pd (già decine e decine di parlamentari di quel partito, consiglieri regionali e comunali, dirigenti, della Campania e del Mezzogiorno in generale, si sono fatti sentire) e di tutte le forze di democrazia e di progresso, in questa che è una battaglia che non è esclusiva di una sola parte politica, ma, appunto, mettendo da parte fraintendimenti, contrapposizioni strumentali, legittime posizioni politiche diverse su vari temi, propagande elettorali, piccoli interessi di bottega, deve vedere insieme come dicevo tutte le forze di democrazia e di progresso, partiti politici, movimenti, associazioni culturali, associazioni meridionaliste, personalità riconosciute.
Nel mentre sono sicuro che (e sono convinto ci debba essere!) un annuncio ufficiale “nazionale” dei massimi nostri livelli confermi l’appoggio alla proposta Villone, e il nostro impegno alla raccolta di firme, possiamo sfruttare i lavori della Costituente di una nuova forza di sinistra, ai quali abbiamo aderito, per ottenere dal Pd e da tutte le forze e movimenti che vi parteciperanno, una posizione chiara; possiamo ottenere che Bonaccini e Giani, tanto per dire, così come Fassino e Boccia, De Luca ed Emiliano, Manfredi e Sala e Merola, dicano con chiarezza come la pensano: una forza che si vuole “rifare” alla sinistra democratica e progressista, al socialismo, o anche solo al socialismo liberale, deve avere al centro della sua politica la difesa dei lavoratori, la salvaguardia dei disagiati, l‘uguaglianza, formale e sostanziale, dei cittadini di tutto il Paese. Senza “differenziazioni”. Come ho già scritto, la questione meridionale torni a essere questione nazionale.