C’era una volta il bipolarismo. Sorto a seguito dell’implosione del sistema fondato sull’unità politica dei cattolici, da ultimo nel formato dell’alleanza di pentapartito, ovvero del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani). Sotto la spinta della questione morale, ovvero della questione giudiziaria, quel modello implode, aprendo una transizione che, dopo un quarto di secolo, non ha ancora raggiunto un punto di approdo.
Il bipolarismo, sinché ha retto, ha avuto a proprio favore due rinforzi legislativi: la legge 25 marzo 1993, n. 81, relativa all’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia (sino a quando c’è stato); e la legge Mattarella, dal nome del suo relatore, l’attuale presidente della Repubblica, poi ribattezzata, da Giovanni Sartori, Mattarellum, risalente al 4 agosto 1993, in esito del referendum del 18 aprile 1993. A seguire gli altri latinismi: il Porcellum, voluto dal centrodestra, l’Italicum, entrambi giudicati incostituzionali dalla Corte costituzionale, sino all’attuale Rosatellum (sono già in atto ricorsi: vedremo che fine faranno: una prima udienza della Consulta pare prevista per il 12 dicembre). In particolare, il Porcellum, legge n. 270 del 21 dicembre 2005, a seguito della definizione del tutto pertinente, “una porcata”, conferitale dal suo massimo artefice, Roberto Calderoli, in nome e per conto del centrodestra, accompagna il voto del 2006 con la vittoria del centrosinistra (ma di stretta misura al Senato); del 2008 con la vittoria del centrodestra; del 2013 con la cosiddetta “non vittoria” del centrosinistra, la quale, tuttavia, attribuisce, in Parlamento, alla proposta Italia Bene Comune, un ruolo centrale nella vicenda politico-istituzionale. Se il Pd ha potuto essere dominus, da allora ad oggi, nella primaria responsabilità di governo, si deve a quel voto.
La politica promuove sistemi elettorali che, a loro volta, contribuiscono ad orientare le dinamiche della politica. Attenzione alle date. L’avvio del Pd, convenzionalmente, con le primarie del 14 ottobre 2007. Il 18 novembre 2007, nel corso di una manifestazione in piazza San Babila, Silvio Berlusconi sale su un predellino lanciando l’idea del Pdl. Negli anni successivi, da un lato, prevale il bipolarismo Pd-Pdl. Dall’altro va affermandosi, in particolare dalle amministrative del 2012, un nuovo soggetto politico: il M5s. Il primo vaffa-day di Grillo, che ha luogo in piazza Maggiore a Bologna, l’8 settembre 2007, contestuale alla nascita di Pd e di Pdl.
Non è del tutto vero che siamo in un sistema tripolare. C’è un quarto polo, quello dell’astensionismo, oggi, nettamente, primo partito. Quasi il 40% degli elettori dichiara di non voler andare a votare. La percentuale si alza fino a raggiungere oltre la metà degli italiani con gli indecisi. Come in Sicilia. Ma non solo. Nelle regionali in Emilia-Romagna, alla fine del 2014, affluenza al 37%. Da ultimo, a Ostia, sino al 33,6%.
C’è il tema della sinistra. C’è anche quello, più ampio, di un pezzo di cittadinanza che oggi si pone oltre il recinto dei partiti, tra non iscritti, non voto, mancata partecipazione. Tendenzialmente, più grande della somma dei partiti. Un’opinione pubblica che progressivamente è uscita dal perimetro della politica, dislocandosi altrove, fuori e contro questa politica, nel terzo settore, nel capitale sociale, nello spirito di comunità. E merita un’attenzione non solo dal punto di vista della geografia politica – dove sta – ma anche, anzi soprattutto, della condizione sociale – come sta – in relazione all’aggravarsi delle diseguaglianze.
Nel frattempo il Pdl non c’è più, si è trasformato nella coalizione che risulta attualmente più competitiva, quella di centrodestra; il M5s, gonfiando le vele dell’antipolitica, ma propugnando un progetto chiaramente politico, è diventato primo partito; il Pd, per quanto dotato in Parlamento del ruolo che gli ha conferito il voto del 24-25 settembre 2013, oggi appare gravato da un duplice segno negativo: né all’altezza della vocazione maggioritaria, né capace di andare oltre un sistema di liste satelliti. In politica contano le politiche. Quelle del Pd orientate, per una lunga fase, verso un’autosufficienza con l’idea di un sfondamento verso il centrodestra e un contenimento del M5s, che, concretamente, non si sono verificati. In finale di partita, al fine di conseguire una unità interna, oltre che per convenire una soluzione di riforma elettorale con il centrodestra berlusconiano e leghista (ma col dissenso di Fratelli d’Italia), il Rosatellum invoca, fuori tempo massimo, il simulacro di una coalizione.
Ma sin qui si è lavorato in direzione opposta. L’evoluzione del centrosinistra ha comportato il passaggio da una coalizione di partiti al partito-coalizione. E’ questo che non ha funzionato. La mistica del partito unico, o dell’unico partito, o dell’ultimo partito. Possiamo continuare a girare intorno alla forma, agli aspetti organizzativi; ma in tal modo non risolveremo le questioni che erano e restano di sostanza politica. Cercando di guardare le cose con un minimo di obiettività, occorre chiedersi se debba prevalere il sovranismo di un partito o, più correttamente, la sovranità popolare.
E’ a questo passaggio che occorre guardare, per una nuova offerta politica fondata sulla discontinuità. E’ giunto il momento di guardare in faccia l’Italia con gli effetti di una crisi lunga quasi un decennio. Anche se c’è uno zero virgola in più di Pil, la situazione economico-sociale resta grave. Occorre una risposta; e questa risposta deve avere un fondamento autonomo. Quanto più possibile aperto a ciò che si muove oltre la politica, insieme a quel popolo che ha preso congedo, che è giustamente esigente, e che non torna, se non vede il segno autentico di un impegno a favore di chi, nella nostra società, sta peggio.