Le consistenti mutazioni sociali, politiche, economiche, ma soprattutto tecniche e tecnologiche che caratterizzano il nostro tempo rendono necessario un costante aggiornamento delle conoscenze da parte di tutti coloro che vogliono essere parte attiva della società (learning society). «La posizione di ciascuno di noi nella società di appartenenza verrà determinata dalle conoscenze che avrà acquisito. La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’intelligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo può costruire la propria qualifica» (Cresson-Flynn, 1996).
La conoscenza non solo aggiunge valore agli altri fattori produttivi (terra, capitale, lavoro manuale), principalmente attraverso le tecnologie, ma oggi rappresenta essa stessa un bene al centro di scambi crescenti (economici e non) e un vero fattore produttivo capace di mettere in crisi interi settori economici.
La conoscenza diviene, così, mezzo e fine immediato in un numero crescente di interazioni fra gli individui. Si creano, però, nuove occasioni di esclusione e disuguaglianza, forse meno cruente e meno visibili, ma più infide e sfuggenti.
Inoltre, la conoscenza è un bene economicamente anomalo. Se non è, chiaramente, un bene consumabile essa non è neppure semplicemente considerabile un bene pubblico “naturale”.
L’evoluzione e l’aumento della conoscenza genera una circolazione che produce surplus di conoscenza per chi riesce a entrarci da protagonista, suscitando crescenti problemi di equità nella distribuzione, nell’accesso e nel controllo della conoscenza. Questo è un punto importante su cui una forza politica deve elaborare strategie politiche volte a gestire un nuovo possibile conflitto sociale: Chi controllerà la qualità della conoscenza resa disponibile, la reale opportunità di accesso, l’uso per scopi condivisibili e realmente condivisi?
Una strategia che cerchi di superare con forme moderne i conflitti proprietà e liberalismo, lavoro manuale e socialismo. Occorre elaborare e proporre un modello di società pienamente democratica, in cui la conoscenza sia realmente disponibile a qualunque cittadino e in cui qualunque cittadino abbia la reale opportunità di fornire il proprio contributo allo sviluppo di fini socialmente condivisi e condivisibili.
L’istruzione scolastica e universitaria e il mondo della cultura sono un settore nevralgico su cui bisogna concentrare sforzi straordinari perché, se esiste un settore per il quale sarebbe giusto che altri ambiti rinunciassero a qualcosa, è quello della formazione e della ricerca.
La «Buona scuola» è stata una cattiva riforma e ha creato una grave frattura tra il campo democratico e progressista e il mondo degli insegnanti che bisogna provare a ricomporre. È urgente investire in una scuola pubblica di qualità, affinché tutti possano godere di uguali diritti e opportunità.
L’Italia conserva la maglia nera in Europa per numero di laureati e studiare fuori sede è ormai un costo che ci si può permettere sempre meno. Negli ultimi anni il numero degli immatricolati si è ulteriormente ridotto, così come docenti e personale tecnicoamministrativo, per non parlare dei tagli ai fondi per gli enti pubblici di ricerca.
Le riforme di cui dobbiamo farci promotori devono partire da una scuola pubblica inclusiva e di qualità che ha bisogno non di disconoscere ma di dispiegare ulteriormente questo suo tratto distintivo nella piena valorizzazione di chi opera nella scuola.
Bisognerebbe davvero impostare un pensiero sulla scuola nel mondo nuovo – del web, ma non solo del web – prendendo atto della pluralità delle fonti informative e, al contempo, dell’esigenza di rilanciare la capacità della scuola di essere, non solo a parole, autentica e vissuta esperienza formativa.
Bisogna combattere l’abbandono precoce, la flessione delle iscrizioni nelle nostre università, la sfiducia dei ricercatori, la demoralizzazione di un corpo docente sottopagato e sempre meno riconosciuto nella sua funzione sociale e culturale. È necessario promuovere una migliore assistenza ai disabili, valorizzare i modelli educativi del tempo pieno, rinnovare gli edifici e metterli in sicurezza, sostenere la ricerca, l’innovazione e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, storico e artistico.
Bisogna ripensare al modello dell’alternanza scuola lavoro come un momento reale di scambio di conoscenze reciproche tra mondo del lavoro e mondo della scuola, occorre pensare ad un mondo del lavoro in cui l’aumento delle tecnologie e dei robot eliminando una serie di lavoratori dal processo produttivo non contribuisca ad un impoverimento dei cittadini. Occorrerà pensare a forme di ridistribuzione del reddito generato dai robot verso altre forme di lavoro da sperimentarsi ed attuarsi nella nuova società della conoscenza.