La questione migratoria in Italia è diventata sinonimo di ordine pubblico, una “questione di sicurezza”.
Contro ogni evidenza statistica sono state strumentalizzate dalla destra e in particolare dalla Lega, quelle “terre di nessuno”, quei fenomeni particolari di micro criminalità e devianza in alcuni casi degenerati in forme di vera e propria criminalità organizzata, che pure esistono e vanno naturalmente repressi, che trovano alimento e si sono sviluppati in Italia grazie alla cattiva gestione del fenomeno migratorio verso il nostro paese sin dagli anni ’80.
Gli immigrati, specialmente quelli di origine africana, sono stati additati alla opinione pubblica come dei parassiti, quando non dei criminali, che sottraggono risorse e opportunità agli italiani.
In una condizione esistenziale di grande difficoltà e deprivazione materiale per molti italiani , complice l’ignoranza delle situazioni di fatto che vivono gli immigrati nel nostro paese, la carenza di politiche di integrazione non solo lavorativa ma anche sociale e culturale, e, “last but non least” la assenza di una sinistra politica capace di indirizzare la protesta sociale verso obiettivi più pertinenti alle cause reali del malessere sociale, per la destra è stato relativamente facile intercettare il malcontento che covava nel paese, amplificarlo e canalizzarlo con spregiudicatezza contro gli immigrati, facile capro espiatorio dei mali della società, facendo leva sui luoghi comuni.
Ciò, nonostante la presenza della Chiesa e della cultura cattolica, che hanno fatto argine contro questi sentimenti e risentimenti, opponendo a questa deriva la tradizionale cultura della accoglienza, vissuta sia come obbligo, in quanto precetto evangelico, sia come reale sentimento di umana pietas e compartecipazione emotiva alle sofferenze degli immigrati. Ma, evidentemente, se oggi una grande maggioranza degli italiani manifesta un sentimento ostile nei confronti degli immigrati, questo argine è stato rotto.
L’opposizione alla immigrazione è diventata sempre più per le destre europee una fortissima componente “identitaria” e una questione intorno alla quale costruire il proprio consenso sociale ed elettorale.
Anche per questo la sinistra politica non può assolutamente permettersi di non avere sulla immigrazione una linea politica chiara, convincente e radicalmente alternativa.
La risposta della sinistra, lo abbiamo detto tante volte, non può essere quella di rincorrere la destra sul piano delle politiche repressive coniugando la linea della fermezza con quella della accoglienza (che la destra giunge a negare).
Fermi con coloro che delinquono, accoglienti con coloro che fuggono da guerre e persecuzioni.
Questa impostazione è insufficiente e fuorviante.
Così come è illusorio “rimuovere” la esatta portata del problema trincerandosi dietro la distinzione tra “migranti economici”, da rispedire nei paesi di origine o “accogliere con moderazione” e migranti per motivi umanitari o politici, che invece sarebbero da accogliere ed integrare.
Per questi ultimi vanno reintrodotte tutte le garanzie smantellate da Salvini, va rilanciato e potenziato il sistema di accoglienza sul versante dell’integrazione, in coordinamento e condivisione con gli altri paesi europei e vanno istituiti dei “corridoi umanitari”, dal momento che queste persone rischiano la vita, sia restando nel loro paese, sia attraversandone altri (si pensi alla Libia) o mettendosi nelle mani di criminali (si pensi agli scafisti del Mediterraneo).
La stragrande maggioranza degli immigrati viene in Italia per ragioni di carattere economico. E non si tratta necessariamente di fuggire dalla fame e dalle carestie, ma semplicemente di desiderare una vita migliore.
Per i “migranti economici”, l’Italia e l’Europa devono approntare politiche di accoglienza e integrazione adeguate alla ampiezza e alla persistenza nel tempo del fenomeno. Politiche sorrette dai necessari investimenti.
Le statistiche europee ci dicono che non siamo di fronte ad una “ invasione” ma che il fenomeno è assolutamente gestibile e sostenibile sul piano economico.
L’ostacolo principale è costituito dalle resistenze culturali e politiche che, non solo nei paesi dell’Europa dell’est ma anche nei paesi dell’Europa del nord e mediterranea, le destre alimentano soffiando sul fuoco del malessere e della insoddisfazione degli europei.
A questo riguardo vanno rafforzati in tutti i paesi europei gli strumenti di conoscenza reciproca e dialogo, inserendo nei programmi scolastici anche corsi di antropologia culturale.
L’immigrazione può rappresentare per l’economia e le società europee una risorsa e in parte lo è già.
L’inesorabile e “fisiologico” calo demografico nei paesi europei potrebbe accentuare nei prossimi anni una sofferenza nei settori dell’industria, della agricoltura, dei servizi, per carenza di manodopera disponibile, al netto dei processi di robotizzazione.
Il sistema delle “quote di ingresso per paese di origine”, decise per decreto annuale dal Ministero dell’interno, il cosiddetto “decreto flussi” che dovrebbe programmare gli ingressi sulla base delle presunte necessità della economia italiana, non ha mai funzionato, costringendo alla illegalità e al lavoro nero migliaia di cittadini extracomunitari e lo Stato a emanare periodiche sanatorie.
Il sistema va cambiato.
E’ giunto il momento di sperimentare approcci e politiche di impostazione più universalistica.
Chi aspira a venire in Europa per crearsi una vita migliore deve essere libero di poterlo fare senza rischiare la propria vita. A tutti l’Europa deve offrire una possibilità.
Le politiche di integrazione dei migranti non vanno concepite come delle politiche “a parte”, ma devono essere inserite nelle politiche macro economiche su scala europea.
A fronte degli altissimi tassi di disoccupazione che si registrano in molti paesi europei, è giusto che l’Europa finanzi programmi di lungo periodo di formazione professionale e formazione lavoro a cui abbiano accesso, con pari opportunità, anche rifugiati, richiedenti asilo e migranti economici.
Tali programmi di formazione devono essere finalizzati non solo all’ingresso dei futuri lavoratori nell’economia privata, ma anche a formare lavoratori per il settore delle opere pubbliche.
È chiaro che ai migranti è necessario offrire strumenti aggiuntivi per integrarsi quali la prima accoglienza abitativa e l’insegnamento della lingua.
La sinistra politica in Europa ha il compito di opporsi alla falsa contrapposizione, alimentata dalle destre, tra “disoccupati” europei e “potenziali lavoratori” immigrati, battendosi per la piena occupazione, per i diritti sociali e per la dignità di tutti i “cittadini del mondo”.
Alla sinistra spetta il compito di spiegare ai cittadini europei che i responsabili della povertà, della precarietà e della infelicità sociale non sono i migranti ma coloro che, dentro le istituzioni politiche, economiche e finanziarie, nazionali e sovranazionali, difendono gli assetti attuali del sistema capitalistico e gli interessi di pochi.
Sul piano culturale e delle relazioni sociali la adozione di politiche di integrazione efficaci, lungi dal rappresentare una minaccia alle “identità nazionali”, può rappresentare un arricchimento (Riace insegna), mentre sul piano politico-istituzionale politiche di accoglienza e integrazione “generose” possono preludere a creare buone relazioni diplomatiche ed economiche con i paesi di origine degli immigrati.
Su quest’ultimo punto, quello cioè dei rapporti politico istituzionali ed economici dell’Europa con i paesi di origine dei migranti, si gioca naturalmente l’altra metà della questione immigrazione. Come sappiamo, non da oggi, il continente africano è al centro degli interessi delle grandi potenze mondiali, cui si è aggiunta in tempi recenti la Cina. Una nuova politica di cooperazione economica europea (e non dei singoli stati europei) verso l’Africa è assolutamente necessaria e strategica. Una politica che sia bene attenta a non finanziare despoti e dittatori in cambio di meri vantaggi commerciali. L’Africa è il destino dell’Europa.
Giovanni Marino
Lea Reverberi
Giovanni Gugg
Yasmine Accardo