Da diversi anni ormai, la professione di insegnante sta attraversando una forte crisi, attrae sempre meno giovani e perde chi è già formato.
Gli insegnanti sono chiamati in misura crescente a soddisfare richieste e aspettative e ad assumere responsabilità.
È innegabile la necessità di individuare politiche nuove con relative riforme che abbiano la caratteristica di sistema e cioè che tengano presente le varie dimensioni di questo mondo, dalla formazione iniziale allo sviluppo professionale continuo, dalle condizioni di servizio alle prospettive di carriera, dalla valutazione degli insegnanti al loro benessere in ambito lavorativo.
Inoltre qualunque riforma che non passi attraverso una profonda condivisione con i soggetti coinvolti rischia di tradursi in un fallimento come peraltro già accaduto in precedenti esperienze. Tra tali interlocutori, oltre agli insegnanti, ai dirigenti scolastici, al personale non insegnante, ai sindacati non può rimanere estraneo il mondo degli studenti la cui crescita intellettuale, civica, esperienziale, rappresenta il vero obiettivo di tutto il sistema.
Le ultime riforme che hanno riguardato la formazione iniziale, la fase di avvio alla professione e la formazione continua non hanno migliorato la situazione generale, anzi possono essere considerati fallimentari in relazione agli scarsi risultati raggiunti in rapporto alle grandi aspettate rappresentate dai riformatori, tante vero che oggi ci troviamo a dover procedere per step forzati collocandoci dentro il processo di riforme del PNRR.
Quindi poiché è indispensabile attuare riforme per migliorare la situazione della scuola italiana, queste dovrebbero essere basate sul presupposto metodologico della condivisione delle scelte con coloro cha vivono il contesto scolastico quotidianamente e che possono contribuire a rendere concrete teorie che, senza il giusto bagno di realismo, rischiano di restare inerti o fare danno ulteriore.
Alla riforma del ministro Bianchi questo presupposto metodologico è mancato, tra l’altro entrando anche in ambiti che avrebbero dovuto essere trattati in sede contrattuale e quindi tipicamente caratterizzati da una approfondita discussione.
L’Italia rispetto all’Europa effettivamente si trova in una situazione di arretratezza organizzativa, metodologica e formativa e la richiesta di un balzo in avanti è del tutto legittima. È pur vero, però, che nella stessa Europa le forme di sviluppo della formazione iniziale, del reclutamento e della formazione continua dei docenti o aspiranti tali, si realizzano in forme giustamente molto diverse perché contestualizzate ai bisogni, ai problemi alle caratteristiche di ogni realtà.
Quindi il PNRR e l’Europa forzano per una riforma nel solco dei modelli europei, ma come farla e quali contenuti applicare all’interno di tale cornice spetta all’Italia deciderlo.
Dunque se, come risulta dai dati delle ricerche più volte pubblicate, i problemi da affrontare sono:
- L’invecchiamento della popolazione docente correlato alla mancanza di iniziative concrete per attrarre nuovi studenti verso la professione in particolare su alcune materie che offrono sbocchi lavorativi diversi;
- L’abbandono della professione di insegnante da parte di chi già la pratica;
- Il tempo dedicato all’insegnamento che risulta essere meno della metà del tempo lavoro degli insegnati, impegnati in estenuanti compiti burocratici;
- La precarietà della condizione lavorativa per molti anni;
- Uno stipendio molto basso rispetto ai colleghi europei;
- La limitazione delle possibilità di carriera;
- Assenza di percorsi alternativi per l’accesso all’insegnamento se non quello abilitante ad esempio attraverso una formazione alternativa basata sul lavoro oltre che sui programmi di formazione tradizionali;
- Livelli di stress molto alti correlati anche ad un basso status sociale;
- La necessità dello sviluppo strutturale della formazione continua che sia però fortemente legata all’obiettivo primario che è quello di fare crescere gli studenti nelle conoscenze, nello spirito critico, nella capacità d’analisi, nello spirito di cittadinanza.
- Il rischio di diminuire gli spazi della libertà di insegnamento dei docenti proiettati sull’obiettivo di superare le valutazioni piuttosto che fare crescere gli studenti in un’ottica sempre più aziendalistica della scuola.
Appare del tutto evidente che queste problematicità sono strettamente collegate le une con le altre e non affrontarle insieme come unico sistema rischia di inficiare i migliori propositi.
Il covid avrebbe dovuto convincere sull’importanza dei giusti spazi nelle classi la cui vivibilità, oltre a rendere migliore l’interlocuzione tra studenti e con l’insegnate e facilitare la relazione positiva garantisce maggiore sicurezza sanitaria.
Invece non si è voluto investire sulla scuola pubblica, non si è voluto incidere sui limiti ,da tempo denunciati, dell’organizzazione scolastica, dei suoi spazi, del precariato.
Non si è inciso sulla questione stipendiale considerato che in Italia degli insegnati sono pagati molto meno rispetto al resto d’Europa.
Non si è inciso sul tempo pieno, infatti negli ultimi anni di è andati costantemente verso la riduzione dell’orario di insegnamento al contrario di quanto accade nel resto d’Europa.
Si è invece deciso di spendere nell’ alta formazione che porta con sé il pericolo di una visione unica e totalizzante dell’insegnamento, una sorta di svolta aziendalistica in cui all’insegnate viene chiesta una performance secondo standard decisi dall’alto che poco hanno a che fare con la trasmissione del sapere, la maturazione dello spirito critico, la qualità della relazione.
È pur vero che questa tendenza ha preso il largo da tempo e continua ad essere incentivata coinvolgendo non solo gli insegnanti ma anche gli studenti che entrano anch’essi in un circuito utilitaristico rispetto al mondo del lavoro abbandonando obiettivi di crescita intellettuale e di autonomia di pensiero.
La riforma, quindi, si poggia su una moltitudine di problemi irrisolti, su piedi di argilla che rendono ancora più fragile il contesto scolastico, lo impoveriscono ulteriormente.
Il grave errore di avere elaborato una riforma da una parte straripando su temi di carattere contrattuale senza interloquire con i sindacati e dall’altra rimandando alla contrattazione alcune sue parti senza affrontarle come parte integrante della riforma, rischia di fare abortire la riforma stessa.
Aver scelto di ascoltare marginalmente gli interlocutori primari, insegnati, dirigenti scolastici, persola ATA ed ignorare gli altri interlocutori come studenti e genitori, che hanno esperienza quotidiana e diretta nelle aule, lascia la riforma in una sorta di teorema utopico che franerà nella sua realizzazione.
La formazione sia essa pre abilitativa che quella continua dovrebbero avere quali precondizioni i bisogni concreti che crescono nei territori, quelli dei veri interlocutori di tutto il processo, gli studenti, i quali manifestano necessariamente caratteristiche diverse sia dal punto di vista sociale che culturale e gli insegnati debbono poter concentrare la propria attenzione non tanto e non solo su percorsi formativi proiettati all’ottenimento delle positive valutazioni ma sui bisogni espressi dagli studenti ai quali rispondere anche attraverso la formazione dei docenti che è mezzo e non il fine del percorso di ciascun insegnate.
Non bisognerebbe mai sottovalutare che il processo di apprendimento è un processo che è basato sulla relazione e questa va esercitata prima di tutto nella capacità di creare rapporti positivi. L’insegnate più preparato del mondo nella sua materia e in pedagogia o psicologia può effettivamente sviluppare positivamente la relazione se la esercita e resta aperto verso l’altro senza essere eccessivamente concentrato su di sé.
Con l’approvazione della riforma, ora l’attenzione si sposta sui decreti attuativi che occorrono per rendere operativa la legge. Su quelli, puntualmente, sarebbe opportuno che il Ministro coinvolgesse i sindacati e le parti coinvolte, recuperando almeno in parte il deficit di condivisione che abbiamo messo in evidenza. Certo, i margini di intervento sull’impianto sono minimi, e tuttavia occorre presidiare ogni singolo intervento, per introdurre elementi di correzione e di controtendenza.
Forum donne Veneto Articolo Uno