Queste ultime settimane sono state toccate nel dibattito parlamentare e non solo da una questione che riguarda la proposta di legge contro l’omobitransfobia. Si ritiene indispensabile dire che quando si affronta un argomento del genere non si sta parlando di un argomento propriamente etico, ma anzitutto di rispetto di diritti fondamentali di una persona. La proposta Zan tocca un tema che solletica la sensibilità per quanto concerne al percorso dei diritti civili e per questioni molto quotidiane non lontane dalla realtà e non troppo distanti temporalmente dal mese Pride e da risposte omofobe.
Ancora oggi si sente dire o implicitamente o esplicitamente che l’omofobia è un fatto di opinione. Non è tollerabile credere a un’affermazione del genere, ancora oggi in un contesto globale in cui ci si è confrontati e si è dato ascolto alle istanze LGBT.
Quando noi parliamo di omofobia, ci riferiamo alle azioni discriminatorie sui luoghi di lavoro per le persone trans, omo o bisessuali. Ci riferiamo al bullismo scolastico nei riguardi di giovani ragazze e ragazzi. Non stiamo ancora considerando una questione etica ma piuttosto un aspetto culturale. Una severa legge contro l’omobitransfobia è un primo passo culturale perché gli atti discriminatori siano quantomeno osteggiati e messi in stato di condanna dalla società, la quale si fa sentire in modo più palese nel momento delle manifestazioni o dei momenti istituzionali.
L’omofobia ancora oggi è presente nella nostra società e addirittura tenta di permeare lo stato delle cose. Domenica 28 giugno un venticinquenne a Pescara è stato aggredito da un gruppo di sette persone in quanto camminava tenendo per la mano il suo compagno. Pochi giorni prima un ragazzo bolognese si è sentito rifiutare l’adozione di un cucciolo di cane in quanto il proprietario avrebbe “preferito darlo a una famiglia normale. A meno che non gli desse 3000 euro.”
Sono queste occasioni che mostrano la mancanza di un tassello fondamentale come la legge contro l’omofobia, utile a continuare il normale processo di accettazione di elementari diritti per le persone LGBT.
Non è un di più una legge che punisca azioni come quelle citate, che sanzioni chi commette o istiga discriminazioni di genere o di orientamento sessuale. È intollerabile – perché a giudicare dalle cronache non è così – ascoltare varie voci che dicono che la società ha già accettato magari solo perché c’è libertà di sfilare con il Pride oppure perché quattro anni fa si è legiferato sulle unioni civili. A parte che il cammino dei diritti parte proprio dall’ammonizione dei comportamenti più o meno barbarici contro le minoranze, quanto è in discussione riguardo alla modifica della legge Mancino del 1993 in tema di discriminazioni non è un atto contro le idee o le valutazioni sui temi etici, come il matrimonio egualitario oppure la adozione per le coppie dello stesso sesso, ma è materia di convivenza e di rispetto delle diversità.
Non è più il tempo di attendere provvedimenti che puniscano la violenza, ma è il momento in cui si aiuti e si diano gli strumenti giusti per comprendere un mondo molto più particolare di quello che a momenti alterni scende nelle piazze lungo il corso dell’anno. Da questo primo passo ne servono altri. Occorre sicuramente una programmazione nuova nel sistema formativo dei educativo che consideri a tutto tondo anche questi temi nell’affettività e nell’educazione dei fanciulli. Evidentemente è il tempo di aprire un confronto sulle prospettive di vita dei singoli e delle coppie che si apprestano al mondo del lavoro. É tempo di stroncare sia il pregiudizio soprattutto nei confronti di una parte della comunità LGBT più discriminata e più stereotipata di altre sia la strada obbligata della mercificazione del proprio corpo per andare avanti.
Sono tutti passi delicati a cui serve dedicare attenzione per non banalizzare ma per educare e riaggiornare il nostro sistema socioculturale. Sono tappe sicuramente indispensabili per abbattere la ghettizzazione che da parte del versante LGBT si sta provando a fare; basti pensare al fatto che il Pride negli annuali cortei è preceduto dal nome della città nella sua denominazione e non più dal sostantivo Gay.
La violenza verbale e fisica non può più essere tollerata e merita una condanna a onore di chi purtroppo l’ha subita e a vantaggio della sensibilità delle masse.
Segreteria Metropolitana Torino
Articolo Uno