Le conseguenze della crisi pandemica devono ancora abbattersi sulla economia europea e italiana.
Grazie alla diversa visione delle politiche di bilancio europee, che hanno permesso di sospendere il Patto di Stabilità, e grazie al blocco dei licenziamenti voluto dal governo, si è impedito, per il momento, che si verificasse la stessa macelleria sociale che si avverò all’indomani della crisi finanziaria del 2008 allorquando si abbatté sui lavoratori la scure delle “ristrutturazioni aziendali”.
È data quasi per scontata una prossima stagione di licenziamenti e di tentativi, non troppo malcelati, di regressione sul piano dei diritti dei lavoratori, a partire dal dibattito già in corso sulle gabbie salariali.
Per evitare tutto ciò, soprattutto per dare all’Europa una possibilità di sopravvivenza ai sovranismi e ai populismi, che prosperano grazie alle crisi finanziarie ed alle regressioni sui diritti, si è dato vita al Next Generation EU, un fondo di recupero per l’economia che dovrà nei prossimi anni disinnescare la imminente crisi e rilanciare l’economia europea a partire dal recupero dei divari esistenti tra singoli paesi ed all’interno dei paesi il divario tra diverse aree.
I criteri per la ripartizione dei fondi del Piano, recepiti anche nella Relazione della V Commissione della Camera dei Deputati recante “Individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Fund”, approvata in Aula il 13 ottobre 2020, si basa su tre principi: popolazione, reddito pro-capite, tasso di disoccupazione degli ultimi 5 anni. In base a questi criteri all’Italia spetteranno 209 miliardi di euro. Il raggiungimento di questa cifra, la più alta erogata tra i paesi europei, è dovuto all’arretratezza economica ed infrastrutturale del sud, al suo tasso di disoccupazione triplo rispetto alle aree centro-settentrionali, al reddito medio pro-capite notevolmente inferiore. In altre parole, la ingente somma di danaro che pioverà sul nostro Paese è la certificazione, con marchio europeo, del divario esistente tra l’Italia meridionale ed insulare rispetto al resto del territorio e rispetto a gran parte dei paesi europei; ma è anche la visione di una Europa che se vuol essere forte e competitiva nel nuovo assetto geopolitico mondiale ha la necessità di diventare forte e per riuscirci ha bisogno che non vi siano aree interne depresse sia sotto il profilo economico che infrastrutturale.
A fronte di una Europa che ha ben chiara la mission del Next Generation EU altrettanto non si può dire del nostro Paese. Negli ultimi mesi il solo accennare l’apertura di un dibattito che ponesse al centro la necessità che le risorse dovessero servire per risollevare la parte povera del Paese abbiamo assistito alle reazioni scomposte di una parte del Paese che in maniera assolutamente trasversale alla politica, ai territori, al mondo imprenditoriale, finanziario, mediatico tende a sconfessare i principi sui quali si basa il Piano per dirottare il grosso delle risorse verso aree che fino ad ieri si dichiaravano l’esempio da seguire e si sentivano più europee che italiane dal punto di vista economico ed organizzativo.
Storicamente la spesa statale è stata, dall’Unità ad oggi, sbilanciata a favore del Nord dell’Italia e la quasi totalità delle attività produttive insiste nei territori del Nord ciò che ha generato un gap incolmabile Nord-Sud recuperabile soltanto se il Piano viene attuato secondo i principi della sua costituzione. Parlare oggi di “spesa storica” o di “uso dei fondi per rilanciare le attività produttive” significa condannare definitivamente il Sud a quello stato di arretratezza economico e culturale poco conosciuto al sud prima del 1860. A tutto ciò aggiungiamo che il rapporto Eurispes 2020 fissa in 840 miliardi di euro la spesa pubblica 2000-2017 sottratta al sud per dirottarla al nord.
È assolutamente da scongiurare, quindi, il tentativo di una ripartizione dei fondi che non tenga conto dei principi ispiratori del Piano e dei principi di interdipendenza economica tra le aree del Paese (secondo alcuni studi ogni 100 euro investiti al sud generano un ritorno economico per il nord di 40,9 euro, ma di soli 5 euro nel caso inverso). Èda scartare subito la proposta di destinare soltanto il 40% delle risorse al Sud ed il restante al Centro-Nord, ciò che produrrebbe una redistribuzione effettiva, per effetto del principio di interdipendenza economica, del 27% sancendo ancora una volta che le aree finora avvantaggiate dalle politiche pubbliche saranno ulteriormente avvantaggiate a scapito di quelle depresse e sottosviluppate economicamente. Non ci soffermiamo neppure sulla proposta di destinare i fondi prendendo in considerazione la popolazione perché ciò significherebbe avere a disposizione di sud ed isole soltanto il 34% che si ridurrebbe ancora più per effetto della interdipendenza economica nord-sud.
Ritornando su un piano squisitamente politico deve essere chiaro che oltre il valore economico la partita si giochi sui valori universali di uguaglianza e libertà. Per un partito come Articolo Uno che si dichiara di sinistra, questo è un tema sostanziale. Uno Stato che non metta a disposizione di tutti i cittadini uguali condizioni, possibilità e trattamenti affinché quei valori possano dispiegarsi appieno, non può chiamarsi Stato e tantomeno quei cittadini devono sentirsi legato ad esso. L’istanza che Articolo Uno deve portare in tutte le sedi istituzionali di destinare almeno il 70% delle risorse del Next Generation EU è una istanza di equità che non potrà essere tacciata di meridionalismo perché il riferimento geografico è una conseguenza della disparità di condizioni cui il Piano vuol porre rimedio non ne è premessa altrimenti staremmo parlando di razzismo. La quota del 70 % come destinazione dei fondi per sud ed isole deriva dall’utilizzo della funzione che adopera la EU per la ripartizione dei fondi e suddividendo l’Italia in due macro aree: sud ed isole, centro-nord.
Non ci sfugge che in questi giorni una delle reazioni scomposte di cui parlavamo prima si è tramutata in una mini crisi istituzionale che sta mettendo in pericolo la tenuta del governo. La querelle sulla “Cabina di regia”, sui suoi poteri e la sua composizione, non devono distogliere l’attenzione sulla sostanza del Piano: dove investire e quanto investire i miliardi in arrivo.
Per tutti questi motivi Articolo Uno, attraverso i suoi rappresentanti istituzionali, gli attivisti sul territorio, si deve impegnare a sostenere in tutte le sedi la necessità e la equità di impegnare almeno il 70% dei fondi provenienti dal Piano Europeo Next Generation EU per raggiungere gli obiettivi fissati nei settori economici prestabiliti e nelle aree di destinazione definite dalla ratio del Piano.
Franco Romano coordinatore
Articolo Uno – San Giorgio a Cremano