Il 20 e 21 settembre 2020 si voterà per il Referendum sul taglio dei parlamentari: referendum popolare confermativo relativo all’approvazione del testo della legge costituzionale recante Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
Un iter lungo e travagliato ha prodotto un progetto di modifica, generalmente noto come “riduzione del numero dei parlamentari”.
Se questo progetto avesse compimento, ci troveremmo pronto e servito un taglio netto e rilevante della rappresentanza parlamentare.
Dal punto di vista economico tutto ciò produrrebbe un risparmio risibile e paragonabile ad un caffè in meno per ogni italiano. Nel contempo, il costo che si dovrebbe accettare sarebbe quello di vedere fortemente ridotta la rappresentatività del nostro Parlamento.
In buona sostanza, Camera e Senato non sarebbero più rappresentate quella moltitudine di specificità territoriali, culturali e politiche che da sempre hanno caratterizzato il nostro Paese.
Se questo disegno passasse il vaglio dell’approvazione referendaria, il risultato più evidente sarebbe dunque quello di non trovare più rappresentanti territorialmente riconoscibili nelle prossime liste elettorali, e di questo dobbiamo essere consapevoli.
La nostra Regione, poi, subirebbe uno dei tagli più penalizzanti e in queste condizioni sarà anche impossibile eleggere parlamentari rappresentativi delle minoranze linguistiche.
La scelta di voler ridurre i parlamentari non è figlia dei tempi contemporanei né una invenzione dei Cinque stelle.
Da anni i media e le forze economiche, anche con la complicità della stessa politica, hanno concorso a svilire il ruolo dei partiti, delle istituzioni e di conseguenza della politica stessa.
Un processo che, partendo dall’eliminazione del finanziamento pubblico, non ha certo contribuito a costruire un saldo rapporto tra cittadini e istituzioni, anzi: la disaffezione e l’astensionismo sono cresciuti mentre la qualità della classe politica è peggiorata.
Se si vuole dare forza e dignità alla politica è necessario affrontare e risolvere il tema della qualità del ceto politico, anche permettendo agli elettori di scegliere nuovamente i propri candidati, ma soprattutto riportando i partiti a quel ruolo di laboratorio di produzione di cultura politica e classe dirigente, grazie ad una organizzazione radicata sul territorio.
I partiti politici devono tornare a essere i luoghi di rappresentanza di valori e interessi, rinnovando lo stretto collegamento tra politica ed elaborazione culturale, e non possono limitarsi ad essere, come oggi, dei comitati elettorali al servizio del leader di turno o delle fabbriche capaci solo di sfornare capi e capetti più attenti al colore della cravatta che alla qualità della loro stessa formazione.
Questo è il percorso che va seguito, senza cadere in un inutile esercizio di demagogia, nell’ossessione dei presunti costi dell’attività politica e nel dibattito sul numero degli eletti.
Insistendo a inseguire un populismo da quattro soldi continueremo a regredire mettendo in pericolo la stessa natura democratica del nostro sistema istituzionale, oltre alle libertà di tutti noi.
Una solida e rinnovata cultura politica: di questo avremmo bisogno per perseguire una ricostruzione economica e sociale che sarà dura e difficile.
Va aggiunto che questo taglio insensato della rappresentanza democratica si somma a una pessima legge elettorale con il rischio di produrre un risultato molto pericoloso, consegnando ai vincitori delle elezioni le chiavi per modificare da soli la nostra Costituzione e la nostra stessa democrazia; trasformando così il patrimonio di tutti nel bottino di una parte.
Non prive di rilievo, inoltre, sono le conseguenze sugli altri organi che discenderebbero da una diminuzione della rappresentatività, basti pensare all’elezione del Presidente della Repubblica o alla votazione riguardante i giudici costituzionali. Ad essere compromessi sarebbero i complessi meccanismi, fatti di equilibri e garanzie, sui quali si regge una democrazia costituzionale.
Non c’è dubbio che le istituzioni vadano riformate e adeguate ai tempi e che si debbano concretizzare molti principi in passato spesso solo opportunisticamente annunciati. Ma il taglio dei parlamentari, così come previsto da questo progetto di modifica costituzionale, avulso da un progetto di riforma elettorale, risulta del tutto inutile e, peggio, controproducente, oltre a essere un pezzo di quella delegittimazione della politica che piace tanto a chi vorrebbe toglierci un pezzo di democrazia.
Per tutti questi motivi l’appello di Articolo Uno del Friuli Venezia Giulia è di votare NO.