La nuova campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre assume un valore storico unico, aprendo nei fatti la fase della Terza Repubblica del nostro Paese.
La fine anticipata del governo Draghi, nato “senza alcuna formula politica” come governo di unità nazionale per la gestione della pandemia e la programmazione del PNRR, dentro l’attuale contesto internazionale con la guerra in Ucraina, rappresenta un evento politico che espone il Paese a una condizione di estrema difficoltà e incertezza, che penalizza le fasce sociali più fragili e povere, già colpite dall’aumento dell’inflazione e dal rischio della recessione.
È evidente a tutti quali sono le forze irresponsabili che hanno determinato questo esito. Innanzitutto la destra, con la Lega e Forza Italia, che hanno anteposto a tutto, ancora una volta, i propri interessi e le proprie convenienze elettorali, utilizzando il grave errore del M5S che aveva aperto la crisi di governo e non ha saputo fermarsi per impedire il precipizio. Ma queste responsabilità vanno cercate anche tra quanti, nel vigore di un’antipolitica tecnocratica, hanno fomentato e provocato passo dopo passo la scissione tra i Cinque Stelle e non hanno voluto mediare per costruire un nuovo patto di governo con un’agenda sociale più netta. Non vanno dimenticate inoltre le responsabilità di chi ha lavorato e tramato affinché l’esperienza giallorossa finisse da un giorno all’altro, senza motivazioni politiche evidenti.
A questo punto, occorre un salto di qualità e un’iniziativa coraggiosa di tutte le forze democratiche e progressiste, assieme a quanti vogliono difendere i valori della Costituzione minacciati da una destra che già si presenta con il peggior volto autoritario, xenofobo, oscurantista, corporativo e liberista.
La pessima legge elettorale con cui verrà rinnovato il Parlamento, dopo la riduzione dei parlamentari, dovrebbe spingere il centrosinistra a costruire tutte le condizioni per realizzare il massimo di omogeneità e unità per presentarsi come alternativa in grado di competere sul territorio.
Non possiamo rassegnarci all’idea ineluttabile che il dialogo con il M5S, corresponsabile della precipitazione elettorale, sia già dichiarato morto, prima ancora di iniziare una discussione sulle alleanze per il campo progressista.
Servirebbe invece uno sforzo comune, innanzitutto del PD, che, essendo la principale forza democratica, dovrebbe maturare un orientamento politico più aperto e ragionato. E il M5S, che non è ancora giunto a definire una propria identità programmatica precisa, ma con il quale abbiamo governato bene nel governo Conte II, dovrebbe riflettere meglio, anziché rifugiarsi in modo ostinato nella convinzione di una insensata corsa solitaria.
Da Napoli, laboratorio dell’alleanza nazionale tra il PD e il M5S con cui si è aperta una nuova esperienza amministrativa attorno al Sindaco Gaetano Manfredi, Articolo Uno, con la stessa coerenza e convinzione con cui ha lavorato più di tutti al successo del patto amministrativo per la città, auspica che si riapra una riflessione che possa rilanciare il campo largo e il dialogo con il M5S, per fermare una destra che insidia le periferie e parla, ingannandoli, ai ceti popolari spaventati dalla crisi, non escludendo anche possibili accordi tecnici se ve ne fossero le condizioni.
Il programma per presentarci in modo credibile agli elettori non può essere l’agenda Draghi, che rifletteva uno schema di governo condiviso nella fase di emergenza transitoria anche con forze della destra, ma dev’essere un’agenda laburista. Serve un programma che metta al centro le persone, partendo innanzitutto dal lavoro: una legge sulla rappresentanza, il salario minimo, una politica industriale e per l’occupazione coerente con la transizione ecologica, la difesa del reddito di cittadinanza. E poi, i beni comuni: la sanità pubblica, la scuola, l’Università e la ricerca; i servizi, rivolti ai cittadini e ai territori, l’acqua pubblica; un sistema di welfare universale, il diritto alla casa, il fisco, accompagnato da una serrata lotta all’evasione, per affermare i principi di equità e della redistribuzione, la centralità del Mezzogiorno contro il progetto di autonomia differenziata. Senza tralasciare la lotta alla criminalità organizzata in ogni sua forma, a partire dalla violenza delle mafie, assieme alla difesa delle istituzioni pubbliche dalle infiltrazioni malavitose.
Il nostro programma deve rilanciare infine le ragioni della pace e del disarmo, nell’ottica di un mondo multipolare e di un’Europa autonoma e indipendente.
Non sarà sufficiente invocare lo spauracchio della destra alle porte per conquistare il consenso maggioritario dei cittadini e dei lavoratori. Tanto più sarebbe controproducente se il centrosinistra inseguisse forze liberali o moderate che si muovono, tra tanti personalismi, per un’assoluta continuità della stagione di governo senza alcuna svolta politica. Serve mettere in campo la forza e la credibilità di un progetto popolare, radicale e di governo, che aggredisca lo scandalo delle diseguaglianze e delle precarietà.
In questo contesto, la proposta di una lista unitaria dei Democratici e dei Progressisti, con il PD, esperienze civiche, del cattolicesimo e dell’associazionismo democratico e del mondo socialista, può rappresentare una novità importante, significativa anche per chi in questi anni ha scelto l’astensionismo, in cui Articolo Uno può portare con la sua centralità il proprio contributo autonomo di una forza laburista, così come abbiamo scommesso al nostro congresso nazionale.