Bergoglio in visita a Bologna. Con un programma eloquente: l’hub di via Mattei, dove incontrerà i migranti ospiti del centro. Quindi l’Angelus in piazza Maggiore, le prime file riservate al mondo del lavoro, insieme ai sindacati, con una particolare attenzione ai disoccupati. Sono stati invitati anche i familiari delle vittime della strage di Marzabotto, dell’attentato del 2 agosto, della strage di Ustica e della Uno Bianca. Poi il pranzo con i poveri nella basilica di San Petronio e l’incontro con il mondo universitario in piazza San Domenico. Infine la messa nello stadio Dall’Ara dove campeggerà una frase del cardinal Giacomo Lercaro: “Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo il pane della terra?”.
Questo riferimento a Lercaro evoca una domanda: “dove eravamo rimasti?”. Bisogna tornare indietro di circa mezzo secolo. Al 6 gennaio 1968, quando Lercaro tenne un’omelia di esplicita condanna della guerra in Vietnam. Il 2 febbraio un messo pontificio annunciò la rimozione di Lercaro da vescovo di Bologna. L’11 febbraio Giuseppe Dossetti, suo vicario, si dimise da tutti gli incarichi diocesani. E’ l’inizio della diaspora che ha caratterizzato il tempo da allora sino alla nomina a vescovo di Bologna di Matteo Maria Zuppi.
Ma forse è il caso di fare un ulteriore passo indietro, ricordando la stagione del dialogo, tra res publica e religio, nella città felsinea, nel rispetto della rispettiva autonomia. Furono precisamente quattro i momenti di avvio del reciproco riconoscersi. 8 dicembre 1965: l’omaggio del sindaco Giuseppe Dozza al cardinale Giacomo Lercaro. 4 aprile 1966: la lettera del nuovo sindaco di Bologna Guido Fanti e la consonante risposta. 26 ottobre 1966: il conferimento a Lercaro della cittadinanza onoraria e dell’Archiginnasio d’oro per decisione unanime del Consiglio comunale. 26 novembre 1966: la cerimonia a palazzo d’Accursio.
L’inizio, come si è detto, l’8 dicembre 1965, dopo un minuzioso lavoro diplomatico, il sindaco Giuseppe Dozza, l’umòn, l’omone, sarebbe sceso lungo via Indipendenza, sino alla stazione, per ricevere, personalmente, Lercaro, a conclusione dei lavori del Concilio Vaticano II, nel quale il cardinale aveva svolto, per volontà di Giovanni XIII, un ruolo di primo piano. Lercaro accompagnato da Giuseppe Dossetti: figura coartefice della Costituzione e del Concilio, riformatore dello Stato e della Chiesa, cofondatore della Repubblica e di una fase nuova del cattolicesimo. Dopo la politica, oltre la politica, Giuseppe Dossetti, terziario francescano, si fece monaco, creando la Piccola Famiglia dell’Annunziata, fondando l’Istituto per le Scienze Religiose. Gli ultimi suoi anni tra Monteveglio e Monte Sole, dov’è sepolto. Sino agli ultimi anni spesi in difesa della Costituzione. Sorprendente l’incastro delle date: il 6 gennaio 1959 Dossetti prende i voti. Poche settimane più tardi, il 25 gennaio 1959, Giovanni XXIII indice il Concilio, che si apre l’11 ottobre 1962. Il 5 novembre Lercaro lo chiama a Roma come suo personale “perito esterno”. Dossetti redige il nuovo regolamento e assume compiti di “segretario”, perno del Concilio. E’ sorprendente, o forse no, come, per la fiducia di Giovanni XIII verso Lercaro, per la fiducia di Lercaro verso Dossetti, quest’ultimo abbia potuto esercitare un ruolo così significativo. Quindi, il 2 gennaio 1967, Lercaro nomina Dossetti vicario della diocesi di Bologna.
Di un anno prima l’abbandono, da parte di Giuseppe Dozza, dell’incarico di sindaco, dopo esserlo stato, ininterrottamente, dal 1945 al 1966. E’ già malato quando l’8 dicembre 1965 vuole compiere il gesto di recarsi alla stazione di Bologna. Gli subentra il rappresentante della generazione successiva, Guido Fanti, frutto della svolta della fine degli anni Cinquanta sostenuta dallo stesso Dozza. In data 4 aprile 1966, nell’assumere l’incarico, il primo atto di Guido Fanti è quello di rivolgere un indirizzo di saluto a Lercaro; ricevendone un’immediata risposta. Quindi, il 26 ottobre 1966, il consiglio comunale conferisce a Lercaro, per acclamazione, la cittadinanza onoraria, in occasione del suo 75° genetliaco. Il 26 novembre si svolge la cerimonia della consegna, con uno stile un po’ d’antan, definita nei minimi dettagli, vigili sull’attenti, valletti, nulla che non fosse stato prestabilito, concordato, condiviso tra comune e curia.
Immagino l’obiezione: cattocomunismo. Più laicamente, direi, la comprensione del fatto che ci sono muri da abbattere altrettanto resistenti di quelli di pietra e cemento: dal pregiudizio al rischio di un’estraneità al vissuto di un popolo. Ecco: domenica Francesco sarà a Bologna e ciò non può non assumere un significato nel filo di una storia che egli ha voluto riprendere, nello spirito del concilio, nominando vescovo monsignor Matteo Maria Zuppi, due anni fa, il 27 ottobre 2015, già assistente ecclesiastico della Comunità di Sant’Egidio, il quale come primo gesto rivolto alla comunità bolognese inviò questo messaggio: “A cinquant’anni dal concilio voglio provare, con voi, a guardare il mondo e ogni uomo ancora con quella simpatia immensa, volendo la chiesa di tutti, proprio di tutti, ma sempre particolarmente dei poveri”.
C’è chi pensa che il caso non abbia un significato. E invece, tra le coincidenze, alla vigilia della visita di Francesco, nell’ambito festa promossa da Articolo Uno Bologna sotto il titolo Polis, è previsto un incontro con Vincenzo Visco, che presenterà Contro la disuguaglianza: come e perché. Un manifesto promosso da Nens (Nuova Economia Nuova Società). In rappresentanza della rete della sussidiarietà sociale, parteciperanno, tra gli altri: don Giovanni Nicolini, Caritas, Opera Padre Marella, Auser, Piazza Grande, Cucine popolari. Lo studio promosso da Vincenzo Visco si fonda su una tesi chiarissima: è la diseguaglianza che produce la povertà. Negli ultimi anni il fenomeno si è accentuato per il divaricarsi della forbice tra chi ha troppo e chi ha troppo poco. La povertà merita impegni a valle, ma soprattutto politiche a monte, con interventi strutturali volti a correggere le distorsioni del sistema, a partire da una politica di investimenti produttivi e da un fisco progressivo, secondo quanto previsto dalla Costituzione. Negli ultimi anni è cresciuta una comunità invisibile, quella che contribuisce a sorreggere, almeno per un tratto di strada, chi ha più bisogno. In termini di cura, presa in carico, buoni-pasto, posti-letto. Nel frattempo la sussidiarietà è diventata un’organizzazione complessa, fondata su un volontariato dotato di competenze e professionalità. Si dice nuova povertà, quasi che l’espressione potesse rendere il dramma della povertà – che oggi può colpire chiunque – più accettabile sul piano della comunicazione. Ma la poverità è sempre uguale, nuova e vecchia. Deprivazione. Emarginazione. Disoccupazione. Solitudine. Oggi come cinquant’anni fa tra chi si impegna per la civitas e chi per la caritas, è ragionevole lavorare insieme. Specie di fronte ad un pontefice che, per primo, nella storia millenaria della chiesa, ha voluto risalire al fondamento, che si rinnova, del messaggio francescano.
A me questo convergere di propositi su Bologna pare una buona cosa; non solo per Bologna. Laicità, ieri come oggi, è fare, con imparzialità, l’interesse pubblico, ovvero il bene comune.