Non è mio costume addentrarmi in settori dove ho poca conoscenza e non di mia competenza specifica. Dissento molto dall’idea dei tuttologi che ritengono di sapere tutto e di più. A parte la presunzione che spesso fa rima con ignoranza, nella nostra nuova era è impossibile quanto improbabile.
Oggi la complessità pretende cooperazione fra i diversi saperi. E così essa finisce per segare il ramo su cui tendono a sedersi i tanti “Giovanni Pico della Mirandola” in pectore!
Ma la condizione delle nostre istituzioni formative e la carenza di civismo nel nostro Paese, mi spingono a qualche considerazione.
La cartina di tornasole del difficile stato in cui versa la cultura del nostro Paese è il trattamento e la considerazione che abbiamo inteso riservare alla scuola, pur nella consapevolezza della difficile situazione epidemiologica.
Quando si parla di scuola, quasi sempre si fa riferimento a graduatorie, concorsi e conti economico-aziendalisti.
Non sento mai parlare di contenuti in termini didattici, culturali e di “location”, in centro come in periferia, adeguate a costruire il cittadino di domani.
Un Paese che non investe in educazione, ad ogni livello, sottende una società che condanna al declino anche la propria economia.
Oggi, per accettare le sfide del futuro, è necessario complessità e densità cognitiva.
La società della conoscenza ha trasformato la produzione industriale e l’arcipelago dei servizi, spostando sempre più la competizione sul versante dei saperi e delle competenze.
Se un Paese non forma adeguatamente e con “orizzonte futuro” i propri giovani, nel giro di 15 anni il know-how ne farà le spese. E, specialmente nella produzione, ci ritroveremo con un sistema industriale impoverito e incapace di stare al passo con la concorrenza internazionale sempre più aggressiva.
Perciò, superiamo l’indifferenza che ci ha portato ad archiviare un anno scolastico come se niente fosse e proviamo a farci tutti/e delle domande, come nello stile socratico.
Quale responsabilità deve assumersi la classe dirigente politica ed imprenditoriale? Come può prendersi cura dei giovani e dei “diversamente giovani” intervenendo sul versante dell’educazione e della formazione?
L’obiettivo di qualsivoglia percorso educativo, quale: carriera industriale, libera professione, pubblica amministrazione o altro ambito, deve essere quello di permettere di vivere con responsabilità sociale la complessità del nostro tempo.
Per questa ragione, in nessun percorso scolastico o universitario può mancare uno spazio culturale che faccia da “focus” sul senso civico.
Civico è il modo per apprendere che a volte è necessario sacrificare una parte del proprio interesse per realizzare un bene superiore, pur nella necessità di perseguire la propria libertà identitaria.
Ecco le modalità per forgiare il cittadino consapevole che non si possono rivendicare diritti senza assumersi anche doveri.
Agli Stati generali di villa Pamphilj, forse mi sarò distratto, ma, fra i tanti piani e soppalchi di codesto e di quello, non ho sentito parlare di:
un “Piano nazionale per la cultura e per il civismo”.
Questo piano è oramai indifferibile per la crescita del capitale umano nel Paese. Perché è da questo che dipende la futura classe dirigente. E sappiamo quanto ne abbiamo bisogno. Se ne gioverebbe anche la politica, oggi modesta nei suoi ranghi e mediocre nel suo dibattito e nelle sue proposte.