Negli Stati Uniti martedì 6 novembre si terranno le elezioni di Midterm (medio termine), chiamate così perché si svolgono a metà del mandato presidenziale. Questa tornata elettorale servirà a rinnovare completamente la Camera dei deputati, un terzo del Senato e 36 governatori. È molto difficile prevedere cosa accadrà. I democratici sono in vantaggio alla Camera (oggi in mano al Grand Old Party) e i repubblicani sembrano riconfermarsi al Senato (già attualmente in maggioranza, occupando 51 seggi).
Il voto per la Camera coinvolge le zone urbane, maggiormente vicine ai democratici mentre il voto del Senato riguarda maggiormente zone rurali, dove i repubblicani raccolgono buoni consensi. La vittoria di Donald Trump (candidato alla presidenza per caso) in soli due anni ha mutato profondamente l’America politica, il rapporto tra l’elettorato e i due grandi partiti tradizionali, il ruolo dei mass media e dei social network. In un paese attraversato da miseria, disparità sociale, e dallo scollamento tra politica e cittadini va in scena quotidianamente lo show post politico e umorale di The Donald che travolge ogni tema concreto – economia, ambiente, disuguaglianza, welfare, relazioni internazionali – con un uragano di rabbia, odio e populismo. Soprattutto in questa ultima fase, i democratici sono stati incapaci di connettersi con la realtà e, quindi, di fornire le risposte necessarie al loro elettorato.
Possiamo intravedere, a questo punto, qualche analogia con quanto stiamo vivendo anche noi?
Scorrendo anche solamente le cronache di queste ultime settimane di campagna elettorale quasi ogni giorno assistiamo a: atti di razzismo, aggressioni, e a tutto ciò che di peggio viene trasmesso dal linguaggio di una parte politica che si ripropone (alcune volte anche in peggio) nelle azioni quotidiane. Inoltre, i media (paragonati a diffusori di fake news) sono bersagliati a più riprese con l’intento di marginalizzarne l’azione. Anche questi punti si riconnettono in modo abbastanza aderente al tessuto gialloverde in voga da noi.
In tutto questo quadro, non certamente idilliaco, ci sono comunque aspetti interessanti che meritano essere (ri)studiati e (ri)applicati anche da noi (con connessioni certamente anche nel contesto europeo).
Il vertice del Partito democratico inizialmente non ha saputo interpretare il movimento partito dalla base: candidate e candidati, al debutto politico, che hanno come fattore comune i diversi movimenti della nuova sinistra dei tempi recenti, a partire dal “popolo del 99 per cento” passando alle donne di #MeToo per giungere ai movimenti contro le armi e di sostegno al salario. Sono quasi tutti emersi a sorpresa negli ultimi mesi e cercano di conferire un’anima di partito nuovo, che possa essere in grado di superare il mero antitrumpismo, che sia in grado di riconnettersi anche con chi non è andato più a votare, e dare voce a un nuovo elettorato. Volti nuovi che portano il dialogo in ogni quartiere, strada, piccolo agglomerato degli Stati Uniti, cambiando la comunicazione: mediante nuovi slogan, porta a porta, storie locali, parlando in modo diretto di tutto ciò che riguarda ogni singolo aspetto della vita quotidiana. Con lo scopo riuscito di rimuovere l’immagine di partito esclusivamente dell’upper class, dei “piani alti”, della politica lontana anni luce dalle persone.
Nell’America trumpizzata quasi inaspettatamente si parla sempre più anche di socialismo. Infatti molti dei candidati si definiscono socialisti democratici (o più semplicemente socialisti tout court). Sono soprattutto giovani donne e uomini, che hanno come fonte di ispirazione Bernie Sanders e interpretano un mix di tematiche social-justice, laburiste, ambientaliste, femministe; prendono chiaramente posizione contro il razzismo, le diseguaglianze, le ingiustizie e tutte le storture dell’attuale società. Esprimono un rapporto complicato con i democratici “vecchia maniera”, ma si muovono con dinamicità all’interno dello schema di partito.
All’origine del nuovo che avanza c’è Bernard “Bernie” Sanders (senatore del Vermont), che ha riproposto con passione e competenza le politiche fondamentali che sembravano inesorabilmente tramontate. Ha dato nuova linfa, inoltre, a una visione molto ambiziosa del ruolo dello Stato. Ha affermato decisamente l’importanza dell’istruzione come bene pubblico, che non deve essere talmente costosa da sommergere di debiti gli studenti. Ha sostenuto fortemente che la salute dei cittadini deve essere affidata a un sistema pubblico. Si può ben dire che Bernie Sanders ha cambiato profondamente (e in meglio) il dibattito politico. E sta ricevendo un ampio supporto dai corpi intermedi: sindacati, associazioni di categoria, movimenti che sostengono il miglioramento delle condizioni di lavoro e degli standard di vita. Sanders dal 2016 si è autodefinito socialista e ha iniziato a percorrere il cammino per un nuovo tipo di politica.
Il ritorno sulla scena politica del socialismo rappresenta per nuova generazione di attivisti uno strumento di mobilitazione trasversale per riportare il Partito democratico a ciò che dovrebbe essere: il partito di maggioranza adeguato ai tempi moderni. I giovani militanti criticano il partito soprattutto per le politiche definite centriste. I democratici sono tradizionalmente i fautori dello Stato regolatore e dei servizi pubblici, della tassazione progressiva e della redistribuzione del reddito, dei sindacati e dei lavoratori. Ma negli ultimi 40 anni hanno, invece, sostenuto privatizzazioni e liberalizzazioni. Generando ampie diseguaglianze, insostenibili debiti privati, servizi costosi, mancata tutela dei lavoratori, pietrificazione della mobilità sociale.
Nella situazione attuale la cura socialista proposta dai candidati appare efficace basandosi su: impegno ambientalista, diritti degli immigrati alla cittadinanza e alla sicurezza, difesa dei lavoratori, salario minimo, diritti delle donne (eguaglianza salariale, solo per fare un esempio) e delle persone Lgbt, massicci investimenti nelle infrastrutture, dialogo con i sindacati, riforma del finanziamento della politica, accesso alla sanità per tutti e college gratuiti. Queste tematiche sono a fondamento anche del dibattito delle sinistre in Europa; quindi perché non approfondire?
Una delle novità più interessanti riguardanti la comunicazione è la scelta di molti candidati di diffondere il loro messaggio attraverso video virali: fai-da-te o girati con budget esiguo, che grazie ai social network hanno la possibilità di raggiungere milioni di persone. A usarli sono soprattutto candidate e candidati democratici, che spesso marginalizzati dal loro stesso partito non hanno alle spalle facoltosi donatori. La prima a utilizzare questo metodo creativo è stata Alexandria Ocasio Cortez – convinta socialista – che alle primarie del Bronx-Queens (New York) ha sconfitto Joseph Crowley, e attualmente è in vantaggio sul repubblicano Anthony Pappas.
È stata una campagna elettorale divisiva, che ha visto aspramente estremizzarsi il confronto dando spazio alle ali più radicali, l’agenda politica è stata rivoluzionata su più piani. È stata, indubbiamente, la campagna delle donne. Soprattutto delle donne democratiche (circa 200 si giocheranno il seggio alla Camera contro un avversario del GOP) molte schierate su posizioni dichiaratamente socialiste, che potrebbero entrare in massa al Congresso e provare a rivoluzionare la vita politica di Capitol Hill.
Cosa resterà di questo Midterm? Sicuramente un nuovo modo di fare politica. Un incoraggiamento a dare un’opportunità al dialogo per migliorare la società e non rassegnarsi alla legge baldanzosa del più forte.