Non so se il Labour di Jeremy Corbyn vincerà le prossime elezioni generali in Gran Bretagna.
La sfida è difficilissima: Boris Johnson ha provato a monopolizzare il voto dei brexiters e ad entrare a gamba tesa in un pezzo consistente di voto operaio tradizionalmente di sinistra, spaventato da un secondo referendum e fortemente influenzato dalla propaganda antieuropeista.
Non lo scopriamo oggi: la destra della protezione – che in questo momento è egemone nella parte più sviluppata del pianeta – è un osso duro da battere perché prima ancora che sulla questione sociale fa leva su identità profonde, persino ancestrali, che la globalizzazione ha provato a sradicare.
Nel tempo della rinazionalizzazione della politica – una suggestione narrativa più che una realtà concreta – vincono i messaggi semplici che fabbricano nemici immaginari e li sbattono in prima pagina.
E la funzione pedagogica della politica perde inevitabilmente fiato e vigore.
La congiuntura è questa, non si cancellano anni di spoliticizzazione di larghe fasce di opinione pubblica soltanto con una buona ed efficace campagna elettorale. Ci vuole più tempo.
Quando entra nella testa la sindrome Tina (there is no alternative), la colpa difficilmente diventa di chi ha realmente approfittato dell’indebolimento del lavoro salariato, ma di chi si presenta senza volto e senza indirizzo (l’Europa) o di chi apparentemente ti porta la competizione verso il basso (gli immigrati).
Corbyn ha provato a ribaltare la narrazione, a rimettere al centro il grande assente dal dibattito pubblico degli ultimi 30 anni: la diseguaglianza.
E lo ha fatto con un messaggio talmente radicale da risultare il più realistico di tutti. Il problema non è l’Europa ma i “billionairs” che in questi anni sul grande gioco della finanza hanno accumulato ricchezze sterminate, mangiandosi i salari e delocalizzando la produzione.
Se si guarda la campagna elettorale inglese, sembra emergere in maniera acuta una dialettica tra Labour e Tories imperniata su forme di lotta di classe 2.0, su uno scontro irriducibile tra chi vive del proprio lavoro e chi dal lavoro degli altri trae ricchezza e profitti.
La campagna contro Amazon che annienta il piccolo commercio e trasforma il lavoro in merce avariata e intermittente, la battaglia per l’accesso gratuito al web come diritto umano universale, l’abolizione delle tasse universitarie che impedisce l’ingresso nelle università più prestigiose del Regno Unito a larghi strati di studenti meritevoli e non privilegiati: ecco alcuni esempi di questa nuova lotta di classe.
Tant’è che chi conta davvero nel Regno Unito non ha esitato a scatenare l’artiglieria pesante contro il presunto “pericolo rosso”.
Sembra lontana anni luce la stagione blairiana, che pare appassionare ormai soltanto qualche nostalgico panda “italovivaista” e i grandi giornali nostrani, che confermano ancora una volta la loro scarsa predisposizione a mettere il naso fuori il giardino di casa e che tendono a dipingere Corbyn come una sorta di residuato bellico della guerra fredda, peraltro assecondando l’accusa ignominiosa quanto falsa di antisemitismo scatenata contro i laburisti.
Non la pensano tuttavia così milioni di giovani che scelgono di tornare alla politica attiva, che si organizzano attorno al network di attivisti e volontari di Momentum che è la base sociale e culturale di riferimento che ha portato il Labour a ricollocarsi su politiche redistributive, su forme di mutualismo fortemente influenzate dalla vecchia “Fabian society”, su una piattaforma radicale contro il climate change, dopo gli anni della “terza via” neoliberista.
Questa ricollocazione si incrocia con la domanda di una nuova modernità, che rivendica senza paure una società aperta, multietnica e democratica ma la rimette in connessione con la centralità dei diritti sociali, con la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese e con una stagione di intervento pubblico che punta sull’accessibilità e la gratuità dei trasporti, la salute, il welfare, l’educazione.
Non è statalismo, è semplicemente la ricostruzione di uno stato innovatore che accompagna i processi di trasformazione tecnologica e ambientale senza sacrificare il lavoro e senza – come recita la splendida canzone della popstar Emeli Sandé che accompagna l’ultimo spot della campagna elettorale molto social del Labour – che nessuno resti da solo. “You are not alone”: un messaggio bellissimo e tutt’altro che paternalista.
C’è un elemento persino mistico nell’approccio di Corbyn a questa sfida, che la sua stessa figura ieratica in qualche modo incarna: un apostolo della questione sociale che da solo sfida un nucleo di poteri consolidati, profondamente radicati nella tradizione conservatrice britannica, che puntano a mantenere la “roba” con i voti dei “forgotten man”, rivangando un nazionalismo che non si vedeva dai tempi della guerra delle Malvinas propugnata dalla Thatcher per distrarre l’opinione pubblica dai tagli terribili allo stato sociale, che negli anni 80 trasformarono la Gran Bretagna nel paese più diseguale d’Europa.
La Brexit è davvero il cuore della svolta della destra inglese, il nuovo muro da alzare contro l’Europa nel nome di un patto di sangue con Trump e la sua politica neoprotezionista, proprio come fu il sodalizio di quaranta anni fa tra Reagan e Thatcher, che inaugurò la fase dell’apertura massima del libero commercio e della concezione dello “Stato come il problema e non la soluzione” che piegò le sinistre al di qua e al di là della vecchia cortina di ferro.
Situazione paradossale: le vittime della destra liberista vengono difese e rappresentate dalla nuova destra della protezione.
Non ci può essere una ripresa della sinistra mondiale se questa non passa per una vittoria nei paesi anglosassoni, dove riprende a pesare in maniera inedita un nuovo filone socialista che parla innanzitutto alle giovani generazioni che soffrono la precarietà e il blocco dell’ascensore sociale.
L’Economist stesso parla con stupore – e con paura – dei sondaggi che indicano una maggioranza di under 35 statunitensi che non vogliono più vivere in un sistema turbocapitalistico.
Per questo il “libretto rosso” di Corbyn non è semplicemente un richiamo ironico del passato, ma una base di lavoro da cui non si potrà più tornare indietro.
Ci sono paesi che aprono cicli, per le loro dimensioni economiche, per la loro profondità strategica, per il loro portato storico: la Gran Bretagna è uno di questi.
E questo Labour, anche se dovesse perdere e non arrivare al Governo, aprirà un ciclo nel campo del nuovo socialismo europeo.
Quello che fu con Blair, domani sarà con Corbyn.
Like a rolling stone.
Come una pietra che rotola.