La sinistra mondiale ha visto concludersi, nella settimana trascorsa, le due più importanti, inedite e trasformazionali storie di più profondo e radicale cambiamento da cui i socialismi, le socialdemocrazie, le sinistre euroccidentali siano state attraversate dal secondo dopoguerra ad oggi. Sin da allora, giocoforza generalizzando, globalmente il giuoco partitico dei soggetti comunisti, socialisti, socialdemocratici e democratici s’è incardinato verso una progressiva moderazione del proprio messaggio politico-programmatico, a fasi alterne ma in modo più o meno stabilmente unidirezionale e apparentemente inesorabile.
Lo si è vissuto anche in Italia, passando per le varie gradazioni dal rosso al rosé da PCI a PDS, DS e PD, così come lo si è visto nel Regno Unito dove il Labour è partito dalla piattaforma universalista, anticolonialista e operaia di Clement Attlee (capace alle elezioni generali del 5 luglio del 1945 di sconfiggere un primo ministro di guerra uscente, un certo Winston Churchill, con oltre tre milioni di voti e quasi duecento seggi di scarto) per arrivare alla terza via di Tony Blair fondata su un centrismo conservatore neoliberista una delle ispiratrici dirette e indirette del quale fu tale Margaret Thatcher.
Qualche anno più tardi, quel 2015 quando in Italia si è in pieno blairismo renziano, per una curiosa coincidenza è sempre nello spazio di una settimana che rispettivamente due anziani maschi bianchi anglosassoni nati negli anni ’40 prendono le redini del futuro ad incarnare, incredibilmente, le aspirazioni in primis delle ultime generazioni, annunciando la loro corsa per rispettivamente le primarie statunitensi (Bernie Sanders, il 26 maggio) e britanniche (Jeremy Corbyn, il 3 giugno).
Da quel momento, e per il successivo lustro, entrambi affrontano due primarie e due cicli elettorali nazionali, “riportando tutto a casa” per dirla con il compagno di decade Bob Dylan, e facendo una cosa davvero, dannatamente semplice: la sinistra; proposte popolari, radicali, forti, ferme, estreme, scevre di compromissioni per non parlare di centrismi. Insomma, facendo quello che la sinistra al di qua come al di là dell’oceano s’è vergognata di fare progressivamente più e più per settant’anni: la sinistra. Il risultato sconvolge, letteralmente rivoluzione i due antichi partiti come mai prima era occorso in 120 anni per il Labour Party o in quasi 200 per il Democratic Party.
Nel Labour entrano in seicentomila in un solo anno, record di tutti i tempi di iscritti a un partito nel Paese; nel Democratic Party entra un solo socialista, Sanders, che lo sconquassa spostando come mai prima nei summenzionati due secoli l’asse e l’agenda su temi “socialisti” che a definirli tali i commentatori statunitensi trasecolano, eppure cui tutti debbono cedere, in particolare la democratica centrista Clinton che, prevalendo non di molto alle primarie, si trova tuttavia il programma elettorale stravolto, nel miglior senso, a sinistra. Nel 2016 e 2017 l’inglese e il nordamericano arrivano secondi, ma raccogliendo rispettivamente Sanders il 43% e 13 milioni di voti, Corbyn il 40% e 13 milioni di voti anch’egli. È l’inizio di una cavalcata che cambia le loro strutture partitiche di riferimento, così come il piano tutto della proposta politica del nuovo secolo, in una maniera probabilmente irreversibile, senz’altro indiscutibile. Il sistema politico anglosassone tutto, per non parlare dei due partiti, non saranno più gli stessi.
Per parafrasare sempre il premio Nobel di Duluth, per uno strano scherzo del destino cinque anni più tardi, nella stessa settimana, i due passano definitivamente il testimone rispettivamente a un Baronetto della Corona (il blando centrista Sir Keir Starmer) e a una mascotte di Wall Street (il gaffeur moderato Joe Biden), due bravissime persone senza particolari scheletri nell’armadio né conigli nel cilindro per future vittorie che, per quanto terribilmente prematuro e per quanto in politica tutto sia possibile e chiunque sia battibile, paiono, le affermazioni del centrismo, più improbabili del trionfo del comunismo, in un mondo sulla scorta del “cigno nero” del coronavirus più radicalizzato che mai prima, e per il quale le soluzioni richieste dai popoli e riconosciute dai governi debbano essere bazooka di danari e soluzioni estreme nell’efficacia, non pannicelli caldi di soluzioni insufficienti e semplicemente sorpassate dal tempo che ha travolto la storia.
Le soluzioni strumentali a cominciare a ridisegnare il nuovo decennio entro il quale reinventarsi come persone singole così come comunità di persone, ovvero partiti, sono quelle come, tanto per fare uno dei numerosi possibili esempi, quella di Internet diritto universale di cittadinanza, proposta programmatica portata avanti sia da Corbyn che da Sanders e da noi formulata nelle scorse settimane, per poi più di recente proprio in questi giorni venir messa sul tavolo dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha ricordato come “il concetto della libertà sostanziale è nell’articolo 3 della Costituzione, prevede che la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Oggi lo strumento di partecipazione più concreto ed efficace è l’accesso a internet”.
La strada tracciata dai due vecchietti è quella che hanno necessità e intenzione di percorrere le generazioni prossime, e rimane la strada giusta, spezzata “soltanto” da un lato dalla Brexit, disastro mal gestito da un Jeremy Corbyn ondivago, preoccupato di tenere assieme il partito, dall’altro dall’establishment democratico, preoccupato a tenersi assieme per salvare sé stesso, tutto manifestamente e non del tutto elegantemente schierato come un sol uomo contro un uomo solo.
Occorrono, alla giusta strada e al percorrerla, al nostro tempo e al non farcene travolgere, soluzioni radicali e popolari, profonde e più realiste del (non-)realismo di non pensare (e fare) politica come arte del possibile, dell’impossibile e pure dell’impensabile. Occorre, nel nostro piccolo e nelle ragioni profonde che hanno dato la scintilla alla nascita di Articolo Uno, non perdere queste di vista.
È naturale, cruciale e in tutta evidenza vitale come non sia il più immediato presente il tempo di profondere le proprie energie come soggetto partitico e come campo politico più ampio a pensare ad alchimie, formule o soluzioni politiciste d’una politica autoreferenziale che si risolva in sé stessa, più che risolvere il problema della vita stessa che è quello sanitario e supremo che ci troviamo ad affrontare e sul quale siamo come soggetto concentrati, anche grazie alle nostre persone con un più diretto e cruciale incarico di Governo, il nostro segretario e ministro della Salute Roberto Speranza. Adesso è il tempo della resilienza. Ci sarà però poi il tempo della ripartenza.
Ragionevolmente, mi piace pensare a una non troppo calda estate in cui cessino di bruciare gli ultimi focolai virali, per poi ritrovarsi in un settembre di risveglio e rilancio pieno del sistema Paese tutto, il che include il sistema politico. E a settembre ci ritroveremo esattamente a metà del ciclo politico, cadendo la metà esatta dei cinque anni di legislatura, e a metà del ciclo partitico, cadendo la metà esatta dei tre anni di segreteria.
Era proprio in questi giorni d’aprile, giustappunto, che si celebrava l’assemblea congressuale che a Bologna vedeva eletto il Segretario nazionale e dato un nome definitivo alla nostra formazione come Articolo Uno, che superava definitivamente la parola “movimento”.
Ecco: paradossalmente, a metà del guado, sarà tempo di muoversi con passo nuovo, per la giusta ancorché meno battuta strada, per riportare tutto a casa, diventando quell’alternativa di ricostruzione che abbiamo immaginato di ridisegnare a partire dalle persone, a completare un campo cui, io credo, il Partito democratico pur nel buon solco ma insufficientemente nuovo corso tracciato da Nicola Zingaretti non può inglobare, rappresentare ed esaurire le più diverse e più e più radicali esigenze, richieste di cambiamento di un Paese, di un mondo stretti tra sardine che ci stimolano a far più, più in profondità e meglio, e squali come Trump che ci scuotono per fare qualcosa di radicalmente, coraggiosamente diverso, diametralmente opposto e non difficilmente distinguibile e distinto, più coraggiosamente di quanto forse siam riusciti a rappresentare e realizzare sin qui. La nostra raison d’être è quella di ricostruire un’alternativa, la nostra strada è a sinistra senza scorciatoia. Non siamo nati per perdere colore ma per prendere coraggio. Il tempo del coronavirus è il tempo del coraggio. Coelaboriamo e condividiamo la responsabilità di quest’ultimo assieme. Le battaglie di equità, radicalità, progresso senza compromesso e potere popolare, i semi piantati oggi da Corbyn e Sanders siano d’ispirazione per i fiori di domani. Nel nostro piccolo, come forza progressista e di sinistra, Jeremy e Bernie siano scintilla e sprone, stimolo e speme, onere e onore dello stare “sempre e per sempre dalla stessa parte”. A sinistra. Quella delle persone.