Rossi ricorda scioperi marzo ’44: esemplare sforzo dei lavoratori per fermare la guerra e salvare l’umanità

Lavoro

Nel Marzo 1944 si concentrano eventi tragici e decisivi. Il 1° Marzo inizia lo sciopero generale dei lavoratori. La risposta nazifascista è violenta e rabbiosa. In Toscana sono rastrellati centinaia di lavoratori e cittadini e l’8 Marzo vengono caricati su vagoni diretti da Firenze Santa Maria Novella al campo di Mauthausen, dove quasi tutti perderanno la vita. Il 24 Marzo, a Roma si consuma l’Eccidio delle Fosse Ardeatine. Il 27 Marzo Togliatti rientra in Italia sbarcando a Napoli per costruire un compromesso tra antifascisti, monarchici e Badoglio. Sarà la cosiddetta “svolta di Salerno”, il primo passo per la riconquista della libertà e della democrazia.

Gli scioperi del 1944 sono serviti ad abbattere il regime e fermare la guerra. Per questo la repressione fu durissima. Fu in quei momenti che rinacque il movimento sindacale italiano. Epicentro del grande movimento di lotta sono le città di Torino e di Milano, dove la condizione operaia è ormai ai limiti della sopravvivenza. Hitler minaccia subito una feroce repressione: deportare il 20% degli scioperanti e metterli a disposizione di Himmler per il servizio del lavoro. Ma la lotta non si ferma: l’organizzazione dello sciopero riceve il sostegno del CLNAI e alle rivendicazioni economiche si affiancano subito anche quelle politiche contro la guerra e l’occupazione nazifascista. Nonostante gli arresti e le deportazioni di migliaia di lavoratori, lo sciopero dura sino all’8 marzo, quando il lavoro riprende, in base alle indicazioni date dal Comitato di agitazione interregionale.

Lo sciopero generale coinvolge 1 milione e 200mila lavoratori. I deportati italiani nei campi di concentramento tedeschi saranno circa 40.000 ed alla fine della seconda guerra mondiale solo il 10% tornerà a casa. Si tratta del primo e unico grande sciopero generale europeo sotto il regime d’occupazione nazifascista e segna la specificità italiana nel contesto della Resistenza europea.

Dietro le parole d’ordine: «pane, pace, lavoro e libertà» in Toscana scioperano oltre 20.000 operai sostenuti dai Gap che sabotano le linee tranviarie e assaltano la sede dei sindacati fascisti, nella quale vengono preparate le schede dei lavoratori da deportare. A partire dal 3 marzo 1944 quasi tutte le industrie si fermano: incrociano le braccia i dipendenti delle officine Galileo, del Pignone, della Ginori, di Rigoni, Baccani, Marzocco, Manetti&Roberts, le sigaraie della Manifattura Tabacchi, gli operai delle vetrerie dell’empolese, i minatori di Abbadia San Salvatore, i conciatori di Santa Croce sull’Arno, i tessili di Prato. Insieme a loro anche lavoratori di Cavriglia, Piombino, Livorno, Pisa e del Mugello.

La reazione nazifascista sarà violenta e rabbiosa. L’8 marzo del 1944, partirà da Firenze diretto al campo di Mauthausen un treno di deportati con l’ipocrita scritta “Operai volontari per la Germania”. Trasporterà quasi un migliaio di lavoratori toscani (137 solo dell’area pratese) che hanno scioperato e centinaia di cittadini rastrellati. Torneranno a casa solo 71 di essi.

Ragazzi di venti, diciotto e quattordici anni. Giovani operai, fattorini, apprendisti della Pignone, della Ginori, delle vetrerie di Empoli e della manifattura di Montelupo, e dei lanifici di Prato. Quello sciopero resterà il più forte e esemplare sforzo dei lavoratori per fermare la guerra e salvare l’umanità.