«[…] Nell’attesa di verificare altre ipotesi, attendendo di capire se il presidente Berlusconi ritrova la grande voglia di sempre, la sola cosa folle o geniale, che siamo certi si potrebbe fare per vincere è il coinvolgimento del solo giovane uomo che ci fa vincere: Matteo Renzi. Renzi si presenta con una sua lista civica, la lista Renzi, e tutta la coalizione di centrodestra […] lo sostiene e si allea con lui, quindi nessuno spostamento di Renzi a destra ma della coalizione verso il centro dei moderati».
E il programma?
«Via le tasse dalla prima casa, via limite troppo stretto sull’uso dei contanti, via ogni controllo telefonico (intercettazioni, ndr), abolizione di Equitalia e grande condono fiscale, statuto speciale per ogni Regione, presidenzialismo, abolizione del finanziamento pubblico dei partiti».
Gli autori di queste proposte, condannati con vari capi d’accusa, sono Marcello Dell’Utri e Denis Verdini, ideatori di un progetto per vincere le politiche del 2013 denominato “La Rosa Tricolore”, rivelato da L’Espresso nel 2012 e citato di recente da Huffington post. Difficile dire se questo programma sia mai stato prossimo a diventare un fatto politico, ma alla luce degli eventi la «violenza» della fiducia sul Rosatellum, per dirla con le parole di Pietro Grasso, costituisce un radicale cambio di regime in cui le convenienze parlamentari diventano alleanze politiche extraparlamentari. Nelle ultime due settimane, Renzi ha trascinato Gentiloni dove ha voluto, ha minato l’imparzialità di un’istituzione come Bankitalia e, a mezza bocca, ha corteggiato il ceto politico con la profferta di un nuovo centrosinistra. Volontà falsa e smentita dalle evidenze. Non possiamo stabilire se «La Rosa Tricolore» sia stato il laboratorio degli sviluppi che accompagnano il collasso della legislatura ma certo è che con l’accelerazione della crisi della sua leadership Renzi ha attuato un punto fondamentale del piano: trasformare il Partito Democratico in Lista Renzi. È stato lo stesso segretario del Pd in una intervista a Repubblica (15 gennaio 2017) a svelare alcune carte: «Anni fa – rispondeva a Ezio Mauro – quando qualcuno mi consigliava di fare un partito nuovo, ho sempre risposto che se fosse capitato un giorno di andare a Palazzo Chigi un conto sarebbe stato andarci come capo della sinistra italiana, e tutt’altro conto come un passante che ha vinto la lotteria». Oggi invece osserviamo un ritorno alle origini dettato dal rapido declino del suo prestigio nazionale e internazionale e soprattutto da un divorzio definitivo dal popolo della sinistra. Questo ricorrente patto con la destra, denominato da vari analisti “Partito della Nazione”, “blocco nazionale”, ha come tratto identitario – così enunciato da molti protagonisti – l’essere «né di destra né di sinistra», cioè un concentrato di trasformismo. Un neocentrismo astrattamente democratico senza legami con la società. Sul piano della realtà effettuale infatti le riforme di Renzi non hanno tutelato affatto «l’interesse nazionale» ma avvantaggiato alcuni segmenti corporativi e minoritari della società, legati alla rendita, all’evasione e al privilegio fiscale. Dal 2014 a oggi circa 50 miliardi di spesa pubblica sono stati utilizzati senza alcuna progressività fiscale tra bonus e detassazioni. Questi flussi di prebende sono andati per circa il 40% alle famiglie più ricche (quelle con un reddito medio di 50.000 euro all’anno) e per meno del 10% alle famiglie in povertà assoluta e alle fasce sociali più basse. Renzi invece che ridurre le disuguaglianze le ha aumentate, ed è per questo che continua a perdere voti ed elezioni. Ed è proprio il franare delle sue ambizioni che lo costringe a tornare indietro, come un fiume che dopo l’esser stato gonfio e impetuoso ritorna alle sua scabrosa foce.
L’intervento di Enrico Rossi è stato pubblicato su Huffington Post Italia
http://www.huffingtonpost.it/enrico-rossi/il-trionfo-di-verdini_a_23258167/?utm_hp_ref=it-homepage