Dopo anni di violenza Lidia decide di divorziare dal marito e di denunciarlo per le violenze subite. La coppia va in tribunale, la custodia dei due figli della coppia viene data in esclusiva alla madre, il giudice inserisce nella motivazione che “l’uomo potrebbe avere da un momento all’altro una escalation di violenza”. Lei ritorna dai suoi genitori, si rifà una vita, trova un nuovo compagno ed i suoi figli crescono sereni.
Qualche mese fa arriva una nuova sentenza. Questa volta il giudice, oltre a prevedere la custodia condivisa, non impone nessuna misura restrittiva nei confronti dell’uomo e costringe Lidia a farsi carico delle spese processuali visto che lui è inadempiente.
Ieri, 9 giugno, si consuma la tragedia. Zlatan, il nome dell’uomo, si dirige in auto verso il posto di lavoro della ex moglie. Nella vettura c’è anche l’attuale fidanzata, prima vittima in ordine di tempo della mattanza. Cerca l’ex moglie per strada, scende dall’auto e le spara non una volta ma tante volte. Anche lei muore. Scappa in macchina, imbocca la tangenziale e l’autostrada, lancia una granata. Dunque, l’uomo violento oltre alla pistola aveva anche dell’esplosivo.
Poi nel pomeriggio Zlatan si spara. Si conclude la tragedia.
Due donne sono morte, entrambe mamme, entrambe compagne di un uomo violento.
Sono innumerevoli gli interrogativi che ci poniamo e che ciascuno di noi si deve porre.Forti questioni emergono da questa tragedia. Zlatan avrebbe seguito un percorso riabilitativo di sostegno agli uomini violenti il cui attestato di frequenza che gli avrebbe permesso di ottenere i benefici rispetto alla pena carceraria dopo l’arresto per maltrattamenti dell’ex moglie. Perché il giudice firma per la custodia condivisa e revoca le misure restrittive? Su quali basi ha ritenuto sufficiente a titolo riabilitativo un corso per uomini violenti, considerata la natura aggressiva dei comportamenti da molto tempo esternati? Quali sono stati gli approfondimenti che hanno giustificato la revoca di ogni restrizione?
La sottovalutazione delle minacce e della violenza contro le donne è un fatto culturale che genera decisioni che, viste dopo il dramma, appaiono prive di razionalità.
Allora viene spontaneo chiedersi quale sia la molla che porta sovente a sottovalutare i chiari comportamenti violenti contro le donne come se fossero occasionali, legati ad eventi estemporanei mentre sappiamo bene che fanno parte di un profilo psicologico profondo, che non può essere risolto solo con un semplice corso di sostegno. Il semplice “recupero” degli uomini maltrattanti non è sufficiente e le statistiche ci svelano un’alta percentuale di recidive
Il comportamento violento degli uomini è un fenomeno che investe l’intera società e si radica nel profondo della nostra cultura e dobbiamo combatterlo senza sosta, senza giustificazioni o minimalizzazioni.
Articolo Uno sostiene con forza la necessità di trattare questo fenomeno esattamente come fatto culturale, generato da un contesto sociale patriarcale dove la donna è possesso.
Invece ancora oggi, sui nostri media, il femminicidio è raccontato in forma di gossip, come un caso a sé, degenerazione occasionale di un normale conflitto di coppia (raptus?). La donna che denuncia fa fatica a trovare la giusta tutela per sé e per i suoi figli, più di una volta usati dal maschio violento come strumenti di vendetta verso la femmina “disubbidiente”.
La legge non può ignorare la realtà dei fatti e cioè che un uomo violento è pericoloso per la donna e per i figli e questo deve essere un elemento centrale nella valutazione dell’affido congiunto.
Servono risorse economiche e professionali, serve definire percorsi formativi nella scuola, nei luoghi di lavoro, nelle comunità, che evidenzino la gravità di tali comportamenti e li stigmatizzino come gravi e inaccettabili, che aumentino anche nelle donne le conoscenze e la capacità di individuare i primi segnali di una relazione pericolosa.
Serve aumentare la consapevolezza e la formazione specifica delle forze dell’ordine, dei magistrati, degli operatori della sanità.
Serve una legislazione che tuteli le donne dalla prima denuncia, se vogliamo che termini questa mattanza.
Il nostro pensiero ora va ai ragazzi ai quali la violenza cieca e orribile di un uomo ha sottratto la madre e ai quali va garantita tutta la tutela e l’assistenza necessaria che non abbiamo saputo assicurare alle donne uccise.
Delizia Catrini, referente Forum donne Articolo Uno Veneto
Elena Paolizzi, co-segretaria Articolo Uno Rovigo
Gabriele Scaramuzza, segretario provinciale Articolo Uno Veneto
Roberta Agostini, coordinatrice nazionale Forum donne