“Tanto tuonò che piovve”, viene da dire pensando allo sciopero dei giornalisti promosso dal sindacato Usigrai.
Nella solitaria corsa a scontentare tutti, questo vertice Rai ha messo a segno un colpo decisivo: è riuscito a mobilitare contro di sé i circa duemila giornalisti dell’azienda, che hanno a capo un neosegretario che da tempo sollecita il confronto per il bene della Rai, non solo della categoria che rappresenta.
Ma anche gli altri sindacati sono sul piede di guerra. A questo si aggiunga l’atteggiamento del consigliere di amministrazione che rappresenta i lavoratori, eletto con maggioranza bulgara, e che esprime ad ogni seduta, il forte disagio del popolo Rai. Che fino ad ora ha visto solo tagli al prodotto e nessun intervento sui mille sprechi che continuano a tenere troppi dipendenti fuori dalla produzione, a vantaggio di risorse esterne.
Al di là degli elementi caratteriali, che pure contano, l’attuale gestione della Rai mostra tutti i limiti di una legge, quella voluta da Renzi, che di fatto affida al governo la gestione aziendale, e non la vincola a nessun programma, a nessun piano editoriale che ne definisca con chiarezza i doveri nei confronti del pubblico.
Lo ha detto con chiarezza anche Giovanni Minoli in un recente intervista.
Rendere chiari gli obiettivi del servizio pubblico sarebbe un elemento imprescindibile per orientare le scelte e ricollocare la Rai al centro del sistema radiotelevisivo.
Un passaggio logico e di buon senso che tuttavia non si riuscirà a compiere se non mettendo mano ad una riforma radicale che separi la gestione dal controllo come prevede quella del nostro Federico Fornaro capogruppo in commissione di vigilanza.
Per questo sollecitiamo i presidenti dei due rami del parlamento a mettere in cantiere la riforma della Rai, per far sì che diventi un utile strumento di crescita del paese, soprattutto in questo momento difficile, e non un teatro di scontro con i lavoratori, senza un progetto socialmente utile.