Oggi alla Camera la nuova maggioranza di governo ha votato contro la reintroduzione dell’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, proposta dal gruppo di LeU.
Il gruppo del PD si è astenuto (!), compiacendosi del fatto che Lega e M5S hanno rinunciato a mettere in discussione il pilastro e il simbolo del Jobs Act, diversamente da quanto promesso in campagna elettorale.
In sostanza, chi ancora controlla i gruppi parlamentari del PD pensa di recuperare voti rimproverando al M5S l’incoerenza di non aver corretto una delle scelte più sciagurate della scorsa legislatura, continuando però a rivendicare la giustezza di quella decisione. Non servono commenti, credo, semplicemente cadono le braccia di fronte a quella che è una negazione della logica, prima ancora che della politica e del buon senso.
Ma il dato più triste della giornata riguarda il M5S e la sua promessa di cambiamento.
Era evidente dall’inizio che il decreto Di Maio non sarebbe certo stato la Waterloo della precarietà, diversamente da quanto pomposamente dichiarato dal suo proponente al momento della presentazione.
Non era però prevedibile che, con la solenne bocciatura dell’Art. 18 e la parziale reintroduzione dei voucher, diventasse la Waterloo della credibilità del M5S in materia di diritti del lavoro.
Lo scrive su Facebook Alfredo D’Attorre.