Cosa rispondere a Salvini? Da un lato c’è chi invita a non amplificare le sue sortite – “si fa il suo gioco” – per non dargli nuovo protagonismo. Altri invece non riescono a sottrarsi, con naturale riflesso democratico. Intanto si assiste al suo trionfo mediatico. C’è naturalmente un aspetto più globale del tema migranti-comunicazione, e anche quello andrà affrontato. Intanto l’Italia.
Non rispondere a Salvini è impensabile. Il problema è cosa. Di seguito una proposta e qualche argomento.
Il dibattito è in piena patologia democratica. I media non “filtrano”. Proclami disumani, distorsioni e mistificazioni si affacciano ovunque. Per intenderci, il TgLa7 che, commentando la proposta di un censimento Rom, mostra i documenti razziali della bambina Liliana Segre, svolge un ruolo democratico, cioè per l’appunto “filtra”: spiega, contestualizza, offre strumenti al pubblico. Resta però un caso isolato. Se è consentito il giudizio sommario, sembra che oggi la democrazia italiana non possa contare sui suoi media mainstream.
Dare spazio alle opinioni è ovvio, ma non significa essere neutrali sulle ragioni di fondo. Come si dice, “democrazia non è cinque minuti ai nazisti, cinque minuti agli ebrei”. Democrazia è mettere fuori gioco i nazi. Difendere il dibattito. A scanso di equivoci, chiariamo: non ci sono nazisti in questa storia, ma ci sono, quelli sì, argomenti violentemente razzisti e crudelmente discriminatori che non possono essere accettati come opinioni tra le altre.
Il punto è che la grande maggioranza delle forze parlamentari attuali non nasce entro il patto costituzionale, anzi spesso si sente estranea ai valori che hanno generato la carta. Certo, il loro è un campo di idee ancora misto, ambiguo, imprevedibile, ed è vero che il Parlamento piano piano educa alla democrazia. Nel breve però queste forze esprimono – anzitutto sui media – valori extra costituzionali, dall’antiparlamentarismo radicale al razzismo esplicito.
Dunque, mass media passivi da un lato, culture politiche extra costituzionali dall’altra. Questo il momento che stiamo vivendo e in questo scenario comunicativo bisogna muoversi. Come organizzare una risposta mediatica a Salvini?
Primo: non dare un giudizio sugli italiani. Siamo davanti a un’operazione retorica di successo, quella gialloverde, che ha indirizzato il disagio sociale verso sfoghi incongrui. I migranti, ma anche i vitalizi. Si può dissentire sui loro bersagli ma non ignorare il loro punto di partenza: il disagio sociale, la precarietà, l’esclusione esistono. E poiché la sinistra ha proposto invece un racconto privo di contatto con la realtà – e quando l’ha affrontata ha costeggiato l’approccio leghista – gli italiani in cerca di risposte hanno semplicemente recepito quella che sembrava l’unica in campo. Non è con una lettura morale – il più innocuo degli strumenti interpretativi – che ne usciremo.
Secondo: limitarsi a condannare è inutile. È chiaro che, se un ministro può pronunciare quelle frasi senza provocare rigetto nell’opinione pubblica, non è sufficiente rispondere esecrandole. Perché ogni condanna poggia su un terreno comune tra chi la pronuncia e la platea che la ascolta. E il terreno comune in questo momento non c’è. Ergo, bisogna ricrearlo.
Terzo: ricordarsi di Berlusconi. Quando il leader di Forza Italia esordì sulla scena politica, la satira ci andò a nozze. Ma politica e cultura persero la bussola. Perché fecero appello alle conquiste del passato, a ciò che consideravano in pericolo e da difendere. Ironia o indignazione si svolgevano sul terreno del già noto e quindi – attenzione – da non ridescrivere. Chi era contro Berlusconi dava per scontato il valore di ciò che difendeva, ma chi era estraneo restava tale. Poi si prese sul serio la cosa e nacque l’Ulivo: un racconto nuovo, non una battuta o una raccolta di firme.
Quarto: recuperare la descrizione della realtà. Oggi è questo lo spazio occupato dalle mistificazioni di Salvini, che propone le sue come “scomode verità”. Gli basta presentarle con quel di più di volgarità per sollevare quelle reazioni davanti alle quali gongola come a dire “ecco vedete, sto dando fastidio”. Usciamo da questo circuito, raccontiamo la realtà, si potrà ben farlo in modi non leghisti. Servono “utili descrizioni”. Lo spazio sui media va usato non per la condanna ma per spiegare, per ricreare un nuovo quadro della realtà agli occhi del pubblico. Senza timore d’essere semplici, persino didascalici. Con umiltà divulgativa.
Ultimo: non dimenticare che, come diceva Bernbach, “i fatti non bastano”. Nell’odierna società dell’attenzione, la verità ha bisogno di una forma. Non di travestimento o di furbate, ma di una sintesi, di una capacità evocativa, di un’emozione. Snocciolare cifre e percentuali pensando che possano far tutto loro è inutile. Vanno a sbattere sui numeri degli altri. Anche ai dati di fatto apparentemente più inoppugnabili serve un’idea che li renda comunicazione.
Ultimissimo: non sopravvalutiamo la comunicazione, non diamone versioni caricaturali. Le analisi che leggo sul rapporto tra Salvini e i media eccedono in catastrofismo ed enfatizzano l’efficienza di ogni suo messaggio. Proprio come si faceva con Grillo o con Renzi. Ma a quale pirotecnico storytelling ha fatto ricorso Sergio Mattarella nella sua storia politica? È una divertente battutista Angela Merkel? La comunicazione è tante cose, anche il silenzio o la timidezza lo sono. La sola cosa importante è che, nei modi ogni volta diversi che la vita propone, fatti e parole si ricongiungano. Salvini oggi spadroneggia sui media? Non significa che qualunque cosa tocchi diventi consenso. I talk show lo incoronano? Dio sa se non cambiano idea velocemente. Offriamo un’alternativa, costruiamo un discorso con pazienza, responsabilizziamo i media, ripensiamo il nostro modo di usarli. La realtà sta aspettando.