Si fa presto a dire partito nuovo. Parliamo in generale, non solo in riferimento al Pd di Nicola Zingaretti. Perché per fare un partito, tra i tanti ingredienti, serve anche una leadership capace, equilibrata, che sappia indicare una prospettiva e mostrare un’autorevolezza, nonché un qualche legame unitario. In realtà, a queste latitudini, non è che se ne veda un granché.
Una leadership non si compone di un uomo solo al comando, ma di un gruppo dirigente, che colga il punto vero e non si perda in chiacchiere o peggio in personali schermaglie di potere. La qualità di una leadership è nella sua comprovata capacità di corrispondere al Paese, avendo a riferimento temi e problemi decisivi, attuali e di prospettiva, di vastissimo interesse pubblico e riguardanti in primis la vita delle persone. Nel caso della sinistra, ciò è tanto più vero, perché il suo riferimento sono quegli strati di popolazione, quelle figure sociali che manifestano maggiormente i segni del disagio e della sofferenza. Sulle questioni e sui problemi una leadership capace, all’altezza, un gruppo dirigente autorevole dice la propria, non tergiversa, non si accanisce su se stesso, non implode per ambizione.
Guardiamo al nostro Paese oggi. Dov’è questa classe dirigente in sintonia con i suoi problemi e le sue prospettive? C’è, ma non prepondera. In massima parte, abbiamo di fronte degli avventurieri intenti a calcolare la propria rotta verso Palazzo Chigi, tralasciando o quasi tutto il resto. Il potere, per costoro, assume le fattezze di un magnete a cui non si resiste. Direte: è il segno dei tempi, è un’epoca dove i valori si presentano come ‘valutato’, come calcolo, come vantaggio tecnico. Ci sono alcuni interpreti politici che questa abilità computistica la esprimono al massimo grado, per affidarsi in talune evenienze persino (non contraddittoriamente) alla sorte e al gioco d’azzardo. In questi casi l’ambizione personale, l’istinto di sopravvivenza sopravanzano la visione del Paese, che scompare come un miraggio per essere sostituito unicamente dalla manifestazione del proprio Sé. Non si spiega altrimenti come, dinanzi al crollo della produzione industriale, all’idea che la solidarietà sia un disvalore, quasi un reato, alla convinzione diffusa che odio e risentimento debbano guidare le nostre scelte personali, alla presenze di conflitti ed epidemie che inquietano il grosso della popolazione, non si spiega come dinanzi a tutto ciò possa prevalere, in certi discorsi, un tema come la prescrizione. Questione significativa, certo, ma fioca, flebile dinanzi alle cifre della crisi sociale, economica, psicologica che lasciano inquieti e preoccupati. Di sicuro, non un tema portante per quanto significativo. Assurdo costruirci sopra una resa dei conti o una manovra di disturbo o peggio una crisi di governo.
Qui si è arrivati anche perché si è ritenuta la politica una zavorra per lo sviluppo del Paese. Sostituendovi, almeno nell’immaginario collettivo e non solo nella realtà sociale e istituzionale, l’idea che si tratti semplicemente di scegliere un uomo nuovo, un Capo, il quale, rivolgendosi al ‘suo’ popolo, possa trainare l’Italia fuori dalle secche in cui versa. Ci siamo così circondati di presunti maschi alfa della politica, consentendo che quest’ultima diventasse poca cosa, al più schermaglia mediatica oppure complesso psicologico. L’uomo solo ha preso il posto della leadership, l’ha fatta propria, l’ha legata al proprio destino, l’ha personalizzata. Ma un Capo non può esprimere da sé una leadership, semmai, nel caso, la trasforma in una sorta di caricatura. Oggi i gruppi dirigenti si sono in buona parte liquefatti, e quasi tutti, anche a sinistra, sono stati conquistati dal coronavirus della personalizzazione. La ‘povera’ Elly Schlein è stata subito proposta per l’inedito ruolo di donna sola al comando e lei, giustamente, ha capito che se avesse accettato, la sua vicenda politica si sarebbe presto dissolta. Il partito nuovo, dunque, non dovrà essere (se sarà) soltanto un’organizzazione radicata, dotata di una cultura politica adeguata e con molti (se possibile) militanti ed elettori. Dovrà nascere anche sulla spinta di una leadership unitaria, dotata di una visione, capace di indicare autorevolmente un percorso. Continuare nella proliferazione di piccoli raggruppamenti politici, guidati da élite che passano da una sigla all’altra a seconda delle vicende di cronaca, non aiuta. Anzi peggiora la situazione.