La sinistra ridotta a semplice idea è destinata nobilmente a morire. Così come la politica ridotta a dibattito pubblico, a contesa mediatica, a schermaglia da social. Se non consideriamo la categoria della prassi, tutto diventa dapprima flatus vocis e poi si dirada come nebbia al sole. Pensare la sinistra senza un agire è risibile, dunque, ed è il segno più forte della crisi in questi anni difficili. Senza un partito l’azione diventa mera ideologia: una forma di conservazione dell’esistente causata dall’impossibilità di avviare un’effettiva opera di cambiamento. Impotenza, quindi. Sotto questo aspetto, il Pd è quasi un simulacro di questa inazione. Rinuncia da subito a essere partito vero, si contenta di una certa liquidità, si consegna mani e piedi alla comunicazione, si affida a un leader, rinuncia ad ‘agire’ nel sociale e nelle istituzioni come un soggetto effettivo e accetta in alternativa la politica del ‘fare’, che è neutra, tecnica, che è una specie di solving problem, che ritiene la soluzione una e una sola, soltanto da scovare con l’arguzia. Il dibattito quindi non serve più, le opinioni sono escluse, decide il Capo coi suoi annunci, è lui che sa scovare la soluzione coadiuvato da economisti e guru. La tecnica inevitabilmente trionfa e si ha la fine progressiva della politica.
Questo schema deve essere ribaltato. La politica, quando è politica e non un surrogato tecnico-comunicativo, è un grande campo di conflitto, dove agiscono soggetti autonomi e rappresentativi che offrono la ‘loro’ soluzione di parte ai problemi della polis. La politica è un ‘agire’ che necessita di soggetti, dunque. I partiti devono rimettere gli scarponi ai piedi e calarli nel fango della società e delle istituzioni, invece di usare i droni, e teleguidare senza successo dall’alto dei media quel che resta di una società tumefatta. Grandi partiti, non semplici escamotage elettorali a uso e consumo del ceto politico. Partiti che sappiano ‘fare’ società, non marketing politico. Soggetti di una ‘grandezza’ strutturale tale da poter aspirare al governo del Paese, coadiuvati dalla partecipazione organizzata dei cittadini. E non partiti-rifugio, dove il ceto politico si rannicchia, gli elettori sono quasi tutti militanti informati e il resto della società quasi li snobba. Senza questo rovesciamento il destino è segnato. Senza raggiungere una dimensione di massa, non si ha l’autorità, non si raggiunge la ‘massa critica’ appunto, né si ha la forza per rivoltare il bandolo della matassa. Senza lo strumento del partito di massa (un partito grande di dirigenti, di militanti, di opinione pubblica) non si è capaci di tirare fila coese tra società e istituzioni.
Non è detto che ci si riesca, né che le condizioni storiche siano favorevoli a un rilancio della democrazia, della rappresentanza, del sistema dei partiti, della partecipazione organizzata. Magari l’epoca è quella del partito di plastica o del leader leonino. Ma la consapevolezza deve esserci, tuttavia. La consapevolezza che solo questa strada articolata, complessa, che poggia sulla politica e non sulle sue forme surrogate può riconsegnarci un Paese più unito, equo, giusto, solidale. E non lo scontro mediatico di politici palestrati e di leader telegenici, incapaci tuttavia di unificare davvero la società italiana e di rafforzare le istituzioni democratiche. Anzi divisivi, perché sulla ‘divisione’ si gioca meglio la partita mediatica.
Che futuro per ‘Liberi e Uguali’, quindi, sempre che questo raggruppamento abbia un futuro? Escluderemmo quello del partito di ceto politico, nonché quello di minuscolo partito militante. Escluderemmo che si conformi come una piccola tradotta, ma anche come partito assolutamente identitario, partito di ‘identici’, e alla fin fine monoblocco e come tale segregato in rigidi e riottosi confini. Serve una cosa larga, invece, cementata da valori di solidarietà, equità, giustizia, libertà e uguaglianza, ma catino gorgogliante di iniziativa politica, di dibattito, di partecipazione, di confronto e persino di scontro ove fosse necessario. Un partito insomma, non un’agenzia di comunicazione o di collocamento istituzionale. Non una cosa veloce e frettolosa che si traduca in una semplice ‘patina’ mediatica. Una cosa che non sia trainata da un leader, ma che al contrario traini e produca una classe dirigente nuova e affidabile. Che non generi effetti pubblicitari e di marketing, ma ambisca a ‘fare’ la società, concretamente, a imprimerle una direzione e, nello stesso tempo, a prendere il meglio che ne emerge, in termini di idee, passioni, intelligenza, civiltà.
Il problema vero è che senza un partito, senza un giornale, vivendo solo come forzati dei social la sinistra, per come è storicamente fatta, è destinata a morire. La verità è che senza gettare un occhio a quel che succede attorno (Partito democratico, altre forze di sinistra, sindacato, associazionismo, opinione pubblica, realtà territoriali e culturali) l’unica alternativa è proprio la tradotta dei duri e puri, il castelletto di militanti ben serrato ai confini. Questo sguardo largo non è una resa al mondo grande e terribile che abbiamo attorno (a partire dal Pd, partito peraltro giunto ai titoli di coda) ma un modo per ‘agire’, appunto, per fare politica, per proporzionare la propria strategia alla conformazione assunta della realtà e trarne vantaggi strategici, di lungo corso, non solo escamotage tattici. Senza questo sguardo la ‘massa critica’ ce la sogniamo. Il partito di massa diventa una chimera. Senza un lavoro di elastico tra società e politica si resta ceto politico privo di orizzonte, orto chiuso dove prevale alla fine solo la chiacchiera ed emergono solo i più cinici. Siccome di entusiasmo, freschezza, ideali abbiamo bisogno e non della superbia di pochi, gettiamoci a capofitto nel mare a cui dobbiamo risposte (forme sociali e politiche, istituzioni, casematte culturali) e da lì ripartire con la dovuta umiltà e il dovuto orgoglio. Troppo complicato? Meglio un caminetto o un accordo di piccolo cabotaggio sulle liste elettorali e poi si vedrà? Senza coraggio e senza una visione larga, purtroppo, non si fa politica. Senza guardarsi attorno si resta ciechi. Questo ormai dovrebbe essere chiaro a tutti.