Il Fondo Monetario Internazionale suggerisce di tassare di più i ricchi, Joe Biden sta approntando misure tese a tassare maggiormente le grandi ricchezze per rilanciare la ripartenza post Covid, nel nostro Paese solo pronunciare la parola patrimoniale o chiedere uno sforzo anche ai super ricchi viene considerato una bestemmia, qualcosa di impronunciabile.
Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha abbozzato una proposta, in verità alquanto timida, ma in ogni caso sensata, di aumento della tassazione sulle successioni che abbiano un valore superiore ai cinque milioni di euro ed è subito partita la solita canea contro “la sinistra delle tasse”; lo stesso Presidente Draghi ha stroncato la possibilità di discuterne perché sarebbe tempo “di dare e non di prendere”.
Tutto questo in un Paese che ha la più bassa tassazione sulle successioni di tutta Europa tanto da essere definito su questo versante un vero e proprio “paradiso fiscale”.
Mesi fa Pier Luigi Bersani proponeva un’una tantum sui grandi patrimoni per contribuire a far fronte all’emergenza nella quale si è immersi a causa della pandemia, inascoltato naturalmente perché restiamo il Paese dove per i poveri, come cantava Dario Fo vale sempre la stessa regola: “E sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam”.
Naturalmente non se ne può neppure parlare di applicare quella progressività della tassazione che è sancita dalla nostra Costituzione, quel contribuire ognuno secondo le proprie possibilità: guai a tentare di riequilibrare l’asse dell’imposizione fiscale, che poi appunto i ricchi “diventan tristi”.
L’Italia è il Paese europeo dove la tassazione è la più sbilanciata e colpisce quasi esclusivamente il lavoro dipendente che con il suo gettito rappresenta, insieme alle pensioni, l’82% della raccolta Irpef.
Neanche l’idea di chiedere un sacrificio piccolo, in via eccezionale, riesce a fare breccia; eppure i lavoratori dipendenti, i piccoli imprenditori, i commercianti, le piccole partite IVA la loro una tantum che dura da oltre un anno l’hanno dovuta pagare con la cassa integrazione, con le chiusure forzate, con l’impossibilità di lavorare.
La cassa integrazione Covid erogata dall’Inps arriva a un massimo di 7,02 euro lordi all’ora per i lavoratori con retribuzione più alta, ma nella maggioranza dei casi non arriva ai 6,00 euro lordi con un massimale mensile erogabile, sempre lordo, di 998,18 euro mensili. Il che vuol dire per una grande platea di dipendenti prendere non più del 50/60% dello stipendio netto, tenendo conto che l’importo erogato dall’Inps comprende e incorpora anche le mensilità aggiuntive (13a e eventuale 14a).
Le argomentazioni contrarie a qualsiasi intervento sulla redistribuzione del carico fiscale sono sempre le solite: che non si può e non si devono aumentare le tasse!
Altra argomentazione del momento è che siccome si deve andare verso una riforma globale del fisco non si possono e non si devono licenziare norme che riguardano solo una parte della tassazione globale, e intanto i ricchi continuano ad arricchirsi indisturbati e quello che resta del ceto medio e gli strati che stanno ancora più sotto continuano a pagare e a impoverirsi sempre di più.
Che si debba mano all’insieme del sistema impositivo è fuori di dubbio e anche Articolo Uno ha una sua proposta da mettere in discussione e da più parti si sta lavorando in questo senso. Che non si possano chiedere piccoli sacrifici a chi può disporre di grandi ricchezze è assolutamente inaccettabile e su questo terreno occorre insistere e lavorare perché non è pensabile che a pagare siano sempre gli stessi anche perché questo renderebbe oltremodo ardua la ripresa del Paese.
È evidente che non solo contro il Covid è necessaria la vaccinazione.