Ma che ci vai a fare ancora? La domanda rivoltami da un’amica mi risuona in testa. Ancor più quando la sveglia suona alle 4.15 del mattino. Occorre oggettivamente una sana (si fa per dire) dose di masochismo per affrontare ancora una volta il viaggio a Roma. L’ennesima, a due anni esatti dalla prima. Due anni di incontri, progetti, speranze, delusioni; l’avventura della candidatura al Parlamento… ma pure l’opportunità di conoscere e apprezzare persone interessanti, riflettere e confrontarsi sui temi della politica, discutere del futuro provando a determinarne almeno qualche aspetto.
L’occasione è questa volta la nuova ripartenza di Articolo UNO, anzi la RI-COSTRUZIONE. Non giriamoci intorno, non è stato possibile costruire LeU, non siamo riusciti a farne un partito come avremmo voluto. Ora è doveroso rimettere tutto in discussione, darsi e dare alla sinistra una nuova prospettiva, coscienti che quel che c’è non basta e che occorre costruire un qualcosa che oggi non c’è. Ma di cui c’è bisogno. Sempre di più.
Preambolo all’assemblea domenicale l’affollato ventennale di Italianieuropei: “Un nuovo patto tra i cittadini e l’Europa”, una giornata di riflessioni sul futuro dell’Italia, dell’Europa, della politica. Interessante la carrellata di interventi (Anne-Laure Delatte, Vendola, Bersani, Orlando, Speranza, Cuperlo, Bassolino, Bettini, Maria João Rodrigues) sul filo conduttore della cultura, dello studio, della ricerca di un pensiero: la definizione di un’idea di sinistra, la costruzione di un nuovo, indispensabile progetto. A che punto è la notte?, chiede Nichi Vendola. Interventi che non tutti condividono. Donatella Di Cesare, filosofa alla Sapienza, è parecchio critica sulla gestione poliziesca dell’immigrazione, e accusa di tradimento una sinistra che rinuncia alla sua vocazione universalistica e internazionale. Minniti seduto in prima fila evidentemente non gradisce: il programma prevede un suo intervento ma sul mio taccuino annoto “Minniti non interviene”. Non lo vedo andarsene ma dopo la pausa pranzo non c’è più. L’indomani leggo di un mal di schiena e di un aereo in partenza. La chiusura è di D’Alema, al solito lucido e pungente: la sconfitta è dolorosa ma ha una virtù, ci mette di fronte alla realtà. Per andare avanti, nonostante tutto. Citando Max Weber. L’indomani qualche giornale definirà il convegno una sorta di “amarcord”, un nostalgico ritrovo tra vecchi compagni di scuola in cerca di “un ultimo giro”. Sarà. Pure io sono ormai un vecchio compagno di scuola e magari soffro pure di nostalgia. Ma quando di “nuovo” vedo qualsiasi crescita culturale annullata, competenze demolite, editti dai balconi, ostentati toni muscolari, Salvini che canta con Al Bano e che pubblica su FB i suoi pasti serali (peraltro un accostamento da brividi: tortellini con salsiccia e un boccale di birra!), rimpianto e nostalgia diventano un dovere.
Dopo l’immancabile amatriciana a Trastevere rientrando in hotel passiamo da via XX Settembre. Molte le luci accese al MEF nonostante sia l’una di notte. Qualcuno sta lavorando, probabilmente quei dirigenti e funzionari che gli attuali governanti hanno simpaticamente definito “pezzi di merda”. Forse stanno decidendo le sorti della mia pensione.
L’assemblea di Articolo UNO si svolge in un affollato auditorium. C’era forse anche bisogno di contarsi dopo le delusioni e le immancabili defezioni. Fa piacere vedere che più di mille sono i convenuti da tutta Italia. Particolarmente nutrita la delegazione piemontese. Da tutti gli interventi emergono volontà di andare avanti, di non fermarsi. Con determinazione ma senza illusioni.
Ascolto con interesse Pier Luigi Ciocca, la sua fermezza nell’indicare il capitalismo vincente ma moralmente disgustoso, fatto di iniquità, instabilità e inquinamento. Mali che solo forti investimenti possono contrastare. Le sue proposte sulle cose da fare (equilibrio di bilancio, investimenti pubblici, riscrittura del diritto dell’economia, impresa, distribuzione del reddito, rinnovata politica per il mezzogiorno, coordinamento della domanda globale tra i paesi europei) sono concrete e puntuali. Sì, l’avrei visto proprio bene come Ministro dell’economia. Ebbi modo di chiederlo a Carlo Cottarelli; si disse d’accordo con me.
Dopo un messaggio video di don Giovanni Nicolini che senza mezzi termini invoca un’opposizione radicale, è la volta di Roberto Speranza. Particolarmente fermo e deciso il suo intervento, scandito da numerosi applausi. Rimettere tutto in discussione, andare oltre, senza fermarsi, senza aspettare ancora, senza cercare leader esterni; “porte aperte a tutti e nessuno seduto a capotavola”. Una sinistra nuova, con un pensiero politico nuovo e compiuto, capace di coltivare un orizzonte. Tornare a fare politica, intraprendere un’iniziativa aperta; una sfida nei confronti sia del M5S, ridotto in gran parte a servo sciocco della destra di Salvini, sia di un PD preda di un inarrestabile processo di dissoluzione. Una sfida sostenuta da energie e passioni che chiedono di essere rappresentate. Una sfida da affrontare nei singoli territori, ove possibile già dalle prossime elezioni amministrative.
Mi fa piacere ascoltare ancora una volta Marie Arena che già avevo apprezzato a Bruxelles. Racconta della sua vita, il padre minatore emigrato a 14 anni, la mamma che “a vent’anni non aveva visto il mare, benché siciliana, e nemmeno la scuola”. Quell’emigrante ventenne analfabeta mi porta alla mente i ventenni di oggi, la generazione Erasmus, ma anche la generazione di chi l’Erasmus non lo fa, e l’impegno e l’attenzione che una sinistra che si rispetti deve avere nei confronti anche di chi arriva secondo, terzo… ultimo. Sinistra vuol dire lotta permanente contro le disuguaglianze, offrire opportunità, garantire sicurezza e protezione. A tutti. Il presente è buio ma dobbiamo avere sogni per il futuro.
Bersani, con le sue metafore (saltare tirandosi dai lacci delle scarpe) e battute, riesce abilmente a catturare l’attenzione del pubblico. Occorre fare argine a una destra in crescita, in formazione, della quale abbiamo visto finora solo il primo tempo. Rimanere inerti significa consolidare un aggregato conservatore, regressivo, isolazionista, paternalista e autoritario. La sinistra è un esercito disperso che non è possibile ricostruire con gli stanchi riti dell’autoconservazione mentre tutto è cambiato. Nulla al momento appare dal congresso del PD, nessun ripensamento, nessun progetto; e l’alternativa non può nemmeno essere quella sinistra radicale “alternativa a tutto”. E sprona tutti a uscire dall’ambiguità: si vogliono formazioni più radicali o più centriste? si facciano; ci si incontrerà sicuramente in qualche battaglia. Ora occorre costruire una forza plurale, che sappia connettere politica e società. Non si parte dai vertici ma dai territori. Avanti allora con i comitati promotori nei territori, nelle città, che possono essere il laboratorio dove far nascere la nuova visione oppure dove prenderà piede quel secondo tempo della destra in ascesa. Sarà D’Attorre a indicare più tardi la preoccupante alternativa.
A Federico Fornaro spetta il compito di ricordare quanto importante sia il lavoro del gruppo parlamentare per poter continuare. Per poter capire dove siamo e dove vogliamo andare, per costruire una base culturale condivisa dalla gente. Se la destra oggi è egemonica è perché le proprie idee sono diventate senso comune. Oggi si riparte. In primo piano i temi dell’alternativa, delle idee, dei progetti, dei programmi; i soggetti delle alleanze verranno dopo.
Cecilia Guerra interviene per ultima, come sempre con tanta passione, ponendo l’accento su alcuni temi terribilmente divisivi, di cose che vengono fatte per alcuni e non per altri: flat tax, quota 100, federalismo.
A Roberto Speranza resta poco da aggiungere prima di darci appuntamento al prossimo incontro, già fissato per febbraio. Prima sarà compito dei territori organizzare incontri.
Si torna a casa. Non sono mancati stimoli e suggestioni, ma ora tocca concretizzare, provare a tradurre in azione pratica quanto abbiamo ascoltato, quanto ci siamo detti e ripetuto. Dalla grammatica alla pratica avrebbe detto mia nonna. Non sarà facile, i tanti stop al percorso hanno disilluso e allontanato molti. La stagione dell’arroganza, e una larga parte di sinistra non ne è stata indenne, ha lasciato un paese di incazzati, in cui primeggiano individualismo e insoddisfazione. Qualche anno fa definii la mia città afflitta da un sentimento di “rancoroso pessimismo”; oggi è il Censis che descrive gli Italiani disorientati, arrabbiati, intolleranti e incattiviti, confusi da una sorta di “sovranismo psichico”. Una tale condizione va combattuta, contrastata, ribaltata. Per fare questo occorre dare un orizzonte, trasmettere un’idea. Della politica e della società. Non inseguiamo il sovranismo sul suo terreno. Sottolineiamo e valorizziamo pensieri e ideali che ci appartengono, quelli della Costituzione, dei diritti, delle proposte di un’Europa da difendere e da rifondare. Costruiamo un’offerta politica fondata su qualità della vita, benessere equo e diffuso, uguaglianza nei diritti e nelle opportunità, una visione aperta, europeista e internazionale.
Occorre ricucire legami, appartenenze, comunità. Sarà difficile, perché tutto è da RI-COSTRUIRE. Il campo avverso pare irraggiungibile, tronfio nella sua soverchia maggioranza. Ma le cose cambiano e possono cambiare in fretta. L’indecoroso spettacolo che ci viene offerto in questi giorni di un Parlamento offeso, insultato, privato del diritto-dovere di discutere il bilancio dello Stato, ha messo in evidenza quanto inadeguato sia l’attuale governo, quanto quell’arrogante 60% sarà pur maggioranza, ma manca totalmente di un’adeguata classe dirigente. E allora RI-COSTRUIAMO. Le premesse non mancano. Le possiamo ascoltare, anche se talvolta non sono immediatamente reperibili, non solo nel chiuso dei nostri convegni. Le troviamo nell’intervento alla Camera di Federico Fornaro (era il 7 dicembre), nelle parole appassionate di Emma Bonino (al Senato, il 20 dicembre), nella veemente dichiarazione di voto di Vasco Errani la notte di sabato scorso. “Parole”, si dirà, “abili oratori”. No, non solo. Lì si trova la risposta a quella domanda che mi risuona nella testa. Un’illusione forse, una follia. Ma vale ricordare l’aforisma di François de La Rochefoucauld con cui Bersani chiude il suo intervento “chi vive senza follia non è così saggio come crede”.
Buon Anno e buona ri-costruzione.