L’ultima in ordine di tempo è stata Campari che il 18 febbraio 2020, ha comunicato la decisione di trasferire la sua sede legale in Olanda. Il domicilio fiscale rimarrà in Italia, ma la società sarà regolata dalle norme del diritto olandese.
Campari va ad aggiungersi a Ferrero, Telecom, Luxottica, Exor, CNH, Ferrari, FCA, Mediaset, Cementir, Barilla e molte altre, società accumunate dall’aver trasferito sede legale in Olanda.
In Olanda trovano spazio anche multinazionali come IKEA, Ebay, Uber, Nike, Google e tante altre.
Perché l’Olanda? Poca burocrazia, controllo maggiore delle società da parte del principale azionista, maggiori tutele offerte sul fronte di marchi e brevetti (e sulle royalties), giustizia estremamente efficiente.
Ci sono quindi società che vi spostano la sede legale per fruire dei vantaggi sopraindicati e chi vi trasferisce anche la sede fiscale per massimizzare i profitti.
In Olanda operano società come Intertrust, realtà specializzate nella creazione e domiciliazione di società; Intertrust ha domiciliate presso la propria sede oltre 2.800 società provenienti da tutto il mondo.
Intertrust è l’emblema di un paese dove ci sono circa 15mila società solo su carta, ma in realtà utilizzate per far transitare flussi finanziari e per abbattere il carico fiscale nel proprio paese. In queste società transitano 4.500 miliardi di euro l’anno (circa sei volte il PIL olandese).
Il Parlamento Europeo ha fatto un rapporto sulle cosiddette “Shell Companies” (società scudo), che ha messo in relazione lo stock degli investimenti esteri diretti in relazione al PIL dei paesi dell’Unione europea. Gli investimenti esteri in Olanda sono pari a più di cinque volte il Pil (in Italia il 19%, Lussemburgo 5.766%).
L’Olanda ha, dalla sua, un fisco molto più amico delle imprese rispetto al nostro con un’aliquota fiscale sulle società del 20% fino a 200.000 € di reddito (contro il nostro 24%, oltre irap), nessuna ritenuta sugli interessi, nessuna tassazione sulle royalties, esenzione di ritenute sui dividendi (da noi ritenuta ordinaria del 26%).
L’Olanda non è il solo stato che ha deciso sfruttare la sua posizione nell’Unione Europea per attirare grandi società con il sogno di un fisco più leggero e tanto vi sarebbe da dire sulle strategie fiscali che molte multinazionali attuano sfruttando le diverse leggi tra i Paesi membri per spostare da un stato all’altro dei profitti solo su carta per alleggerire il carico fiscale.
Almeno sette Stati membri (Olanda, Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Ungheria, Cipro, Malta) attuano pratiche di dumping fiscale sottraendo alle casse del fisco dei diversi paesi cifre enormi (70 miliardi di euro l’anno secondo una stima UE).
L’Unione Europea, però, non è nata per questo e appare ipocrita che chi fino a oggi ha attuato una politica predatoria si rifiuti di dirsi favorevole a una politica di stampo solidaristico per fronteggiare la più grave crisi dal dopoguerra.
I tempi sono maturi per una politica comune a livello fiscale che porti a un’armonizzazione delle regole e che non consenta a ricche multinazionali di eludere il fisco.
Un’Unione senza cuore, che si volta dall’altra parte quando una sua parte soffre, è un’Unione che non funziona; che mette benzina nei motori dei nazionalismi che dimostrano tutti i loro limiti quando si verificano eventi che dimostrano che nessuno si può salvare da solo, ma ci si può salvare solo tutti assieme.
Appare evidente quanto questa crisi metta a nudo le criticità del nostro sistema economico e quanto sia necessario ripensare un nuovo paradigma di sviluppo. Su questo terreno si fonda una delle sfide dell’Unione Europea.
Ora fa strano che uno stato, l’Olanda, che ha tratto grande beneficio dall’Unione si dimostri insensibile di fronte a un grido di allarme che giunge dalla parte europea che sta pagando il prezzo più grande di questa crisi.
Si continua a ignorare che ci si salva solo tutti assieme.