Cambiare il mondo: un lavoro da teologi, un lavoro necessario

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Cambiare il mondo è una necessità; papa Francesco spesso ci ricorda che se il Vangelo non ha ricadute sociali non è stato annunciato nella maniera più giusta. Ma con quale pensiero, con quale teologia il papa disegna il nuovo ordine globale (cfr. su questi temi M. Prodi, La nuova umanità all’orizzonte, di prossima pubblicazione presso Cittadella editrice)? In questa prospettiva la Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione, espressione della Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna, presenta un importante Dossier: Fonti, metodo, orizzonte e conseguenze della “teologia” di papa Francesco. (Il Dossier si compone di un editoriale di Fabrizio Mandreoli e dei seguenti articoli: J. L. Marvaja, Un acercamiento a la imagen “mitica” de pueblo: Bergoglio, Guardini y Dostoevskij; F. Mandreoli, Papa Francesco: una riflessione metodologica sull’orizzonte e su alcune radici “europee” della sua teologia; E. Galavotti, Jorge Mario Bergoglio e il Concilio Vaticano II: fonte e metodo; G. Whelan, The Theological and Pastoral Method of Pope Francis; S. Tanzarella – A. Carfora, Il metodo di Bergoglio: quali conseguenze per la teologia; M. Giovannoni, Il metodo di Bergoglio: quali conseguenze per la pastorale e la vita della Chiesa in Italia).

Si dovrebbe partire dalla domanda: cosa è la teologia? Aiuta una citazione dello stesso Bergoglio (Lettera al Gran Cancelliere della “Pontificia Universidad Catolica Argentina” nel centesimo anniversario della Facoltà di Teologia): “Insegnare e studiare teologia significa vivere in una frontiera, quella in cui il Vangelo incontra le necessità della gente a cui viene annunciato in maniera comprensibile e significativa”. La qualità della teologia si misura sulla sua capacità di consentire alle persone di fiorire, di arrivare alla loro pienezza, alla perfezione dell’umanità, quell’umanità che il Signore Gesù ci ha svelato. È esattamente quello che viene raccontato in ogni pagina del Vangelo; e in alcuni passaggi in maniera più evidente che in altri, per esempio l’incontro tra Gesù e Zaccheo. Può essere utile evidenziare alcuni movimenti di quel testo. Dapprima Gesù entra in una città, Gerico, che, biblicamente parlando, non dovrebbe esistere. Infatti, Giosuè l’aveva a tal punto maledetta da profetizzare che, chi avesse voluto ricostruirla, avrebbe dovuto farlo sulla tomba del figlio maggiore e su quella del figlio minore. Entra, cioè, Gesù in un non-luogo, nella periferia delle periferie della storia, di cui tanto parla il papa. Poi, Gesù attraversa la città, cioè ne assume tutta la vita, la prende totalmente su di sé, annunciando la prossima e imminente offerta completa della sua vita. Offre tutto se stesso, perché la vita rinasca in quella città, partendo dal capo dei peccatori più peccatori, cioè il leader dei pubblicani. Il quale, vuole, forse, solamente vedere Gesù, ma si trova davanti a un dono totale: devo venire a casa tua. Il Nazareno esprime una esigenza radicale, come quando parla del suo salire a Gerusalemme. Devo, bisogna. Davanti a tutto ciò Zaccheo risponde con una conversione piena, non religiosa, mettendo la sua passione che aveva riempito la sua esistenza, il denaro, nelle mani dei più bisognosi. Il commento di Gesù apre la frontiera definitiva, la fraternità universale, dicendo che anch’egli, Zaccheo, è figlio di Abramo.

In questo orizzonte possiamo valutare il magistero di papa Francesco: a mio modesto avviso egli è un profeta. Il profeta porta la parola di Dio all’uomo del suo tempo, per innestare i processi che lo aiutino a cambiare radicalmente il mondo in cui vive. Questo è quello che fa papa Francesco oggi: porta la parola incarnata di Dio, cioè la vita umana di Gesù. Ogni sua parola è riflesso della vita umana di Gesù, cioè del Verbo incarnato. Su quattro temi questo è evidente: la pace, i poveri, i migranti e l’economia. “Se rimanete nella mia parola siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Veri discepoli, quindi, e vera Chiesa si diventa solo rimanendo nella parola del Signore, nel Vangelo di Gesù: è questo il terreno fertile in cui dobbiamo radicarci. Possiamo, da figli della chiesa di Bologna, pensare a Lercaro, che, a proposito del suo rapporto col Vangelo, si esprime con grande passione: “Dicevo un anno fa che avrei voluto essere sempre più e soltanto un servitore dell’Evangelo, e che avrei voluto ormai lasciarmi incontrare solo col Vangelo sulle labbra e nell’anima da tutto il popolo di Bologna. Ora vorrei precisare: in quest’anno che si inizia col Messaggio del papa a tutto il mondo, vorrei essere un servo dell’Evangelo di pace, vorrei che tutta la Chiesa di Bologna non fosse altro che un unico generale annuncio dell’Evangelo di pace a tutti, ma specialmente ai giovani”. (G. Lercaro, Non la neutralità ma la profezia, Zikkaron)

Vi è piena consonanza con le parole di papa Francesco, quando da una parte (n. 11) ci invita a cercare nel Vangelo la luce per il nostro futuro di Chiesa: “ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale”. E dall’altra (n. 176) ci ricorda che la dimensione sociale dell’evangelizzazione, quindi anche la capacità della Chiesa in uscita di costruire la pace, è strutturale: nel capitolo quarto di EG dice: “ora vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se essa non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice”.

È chiaro che la Chiesa deve vivere del Vangelo, dal Vangelo, per il Vangelo. Ma Lercaro ci chiede di fare un passo in avanti: come può essere anche profetica una Chiesa? La via della Chiesa è la profezia, dice il discorso del 1° Gennaio 1968; il papa lo riprende e dice la vita della Chiesa è la profezia. In ogni caso, la Chiesa non può che essere profetica. Cosa vuol dire? Innanzitutto va ricordato come la profezia sia un elemento costitutivo della crescita dell’Occidente; essa attraversa tutti i dualismi che l’hanno portato all’attuale sviluppo: Stato-Chiesa, peccato-reato, legge-coscienza eccetera. E il problema di oggi è che tutto questo è bloccato: “Siamo davanti a un enorme processo di omogeneizzazione in cui è l’anima stessa dell’Occidente a essere rimessa in causa: stanno venendo meno i punti di riferimento alternativi rispetto ai grandi poteri degli imperi e del capitalismo internazionale che si vanno fondendo in un monopolio unico politico-economico: non c’è altro spazio nell’accampamento” (M. Cacciari, P. Prodi, Occidente senza utopie, il Mulino, 2016, pag. 47).

E il monopolio unico politico-economico produce nel nostro mondo la distruzione dell’ambiente, disuguaglianze incredibili e inaccettabili, la terza guerra mondiale a pezzi; tutto questo attraverso la crescita vertiginosa dell’indifferenza. La profezia necessaria oggi deve anzitutto entrare nella dinamiche perverse del nostro mondo, per aprire feritoie dove si possano innestare e innescare i processi tanto cari a papa Francesco. Quindi, la profezia oggi deve avere le seguenti caratteristiche:

• sapere da dove trae origine (la parola che Dio rivolge, il Vangelo) e sapere dove si deve condurre tutta l’umanità, cioè verso la fraternità universale.

• essere popolare, cioè essere per il popolo, nel popolo e, possibilmente, dal popolo; il profeta deve rivolgersi sempre alle persone più dimenticate, deve condividere la vita della gente cui parla, deve condividerne il destino; e il profeta deve insegnare al popolo a gridare, a non far sparire i conflitti dentro l’omogeneizzazione di cui si parlava sopra. I movimenti di indignazione hanno lasciato spazio agli egoismi populistici: oggi si grida solo per rivendicare i propri interessi, non per dare al mondo un volto nuovo.

• essere essenzialmente rivolta contro la stratificazione e l’alleanza dei vari poteri. Chi comanda oggi il mondo è una domanda centrale per il profeta, perché è smascherando chi cerca di dominare gli altri che inizia la sua missione. In Apocalisse l’Agnello immolato è il Signore della storia, il vincitore della grande guerra contro il grande accusatore che sarà definitivamente sconfitto e con lui tutte le sue manifestazioni storiche, in particolare le strutture di potere cui dona la sua forza. Il profeta conosce questa dinamica della storia e la svela ai suoi ascoltatori. Dice Lercaro (op. cit.): “Certo la Chiesa – per non apparire invadente o parziale o imprudentemente impegnata nell’opinabile e nel contingente – deve affinare sempre più la sua purezza trascendente e il suo distacco da ogni interesse politico e persino dal metodo in qualche modo analogo a quelli delle potenze”. La profezia della Chiesa ha autorevolezza solo se slegata dai potenti della terra (Gaudium et spes, n. 76).

• essere capace di costruire la Storia. Papa Francesco dice che “la vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia” (EG 181). Poi afferma che la storia è giudice dei processi che costruiscono un popolo, e lo è in base a quanta pienezza di umanità vede costruirsi (EG 224, dove si cita un bellissimo testo di R. Guardini). Infine, troviamo scritto: “La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita” (EG 228). Il profeta, nella sua tavolozza, ha come colori principali la speranza, la pienezza dell’umano, la solidarietà: così costruisce la storia. Così la Chiesa aiuta la storia ad arrivare al suo fine. “Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha una immediata ripercussione morale il cui centro è la carità” (EG 177). Non possiamo salvarci da soli; essere cristiani è impossibile senza l’altro, senza il prossimo, senza essere capaci di avvicinarci e renderci prossimi al fratello. Tutto questo nasce da Dio, da Dio che è Padre e ama l’uomo di un amore infinito: da qui l’uomo capisce il senso del suo esistere. Occuparsi dell’altro non è, quindi, “una prospettiva antropocentrica ma teocentrica, caratterizzata non dalla ricerca di sé ma dalla perdita di sé per far dono della propria vita a Dio e ai fratelli” (A. Cozzi, R. Repole, G. Piana, Papa Francesco. Quale teologia?, Cittadella Editrice, Assisi, 2016, pag. 134). In questo dono di sé, ed è questa la scommessa più alta, l’uomo trova la sua fioritura, la sua pienezza. “Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice. L’accettazione del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica, provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri” (EG 178). Nel Vangelo il primato è l’uscita da sé; è lì che si trova anche il necessario per ogni discernimento sulla nostra vita, perché Dio così si è comportato, come ci ha svelato il volto del Figlio. La Storia si costruisce nell’incontro con l’altro. E la si costruisce con gesti concreti, rivolti ad aumentare la qualità della vita: il papa nella Laudato si’ ci propone, in questa prospettiva, di assumere “uno stile di vita profetico e contemplativo” (n. 222), affinché proprio la nostra vita sia una profezia in atto, una testimonianza di una vita radicata nel mistero di Dio.

• sapere riconoscere i momenti decisivi della storia umana: lì occorre essere presenti, lì occorre parlare. Per Lercaro questo era chiarissimo; non ci si può fermare neppure davanti alla possibilità di non essere capiti: “Il profeta può incontrare dissensi e rifiuti, anzi è normale che, almeno in un primo momento, questo accada: ma se ha parlato non secondo la carne, ma secondo lo Spirito, troverà più tardi il riconoscimento di tutti. È meglio rischiare la critica immediata di alcuni che valutano imprudente ogni atto conforme all’Evangelo, piuttosto che essere alla fine rimproverato da tutti di non aver saputo – quando c’era ancora il tempo di farlo – contribuire ad evitare le decisioni più tragiche o almeno ad illuminare le coscienze con la luce della parola di Dio”. Bergoglio sa leggere, lui pure, le sfide del mondo attuale; sa riconoscere i temi urgenti dell’oggi, verso i quali indirizzare la sua parola e quella della Chiesa. Pensiamo all’economia della quale dice “questa economia uccide” (EG 53) e ne svela tutta la strutturale perversione, ma contemporaneamente ci invita a cercare un’altra economia, un’economia che porti vita in abbondanza all’umanità. “La parola profetica ha tempi e momenti precisi e da qui in tali casi deriva l’urgenza”. (F. Mandreoli, La Chiesa non può essere neutrale, in G. Lercaro, op. cit.).

• infine, il profeta deve saper generare novità nella storia: progresso, sviluppo, rivoluzione, profezia, utopia, visioni. E forse l’elenco delle parole potrebbe continuare. Ma è necessario costruire ed elaborare nuovi paradigmi che aiutino, oggi più che mai, l’umanità ad uscire dalle sue secche. Recentissimi e diversissimi libri possono aiutare a capire questo compito (penso a R. Bregman, Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale, Feltrinelli, Milano, 2016; a E. Giovannini, L’utopia sostenibile, Laterza, Bari_Roma, 2018; a Z. Bauman, Retrotopia, Laterza, Bari Roma, 2017. Il filo che unisce questi libri, e certamente altri, è il desiderio di indicare nuove e percorribili vie all’umanità che hanno davanti, a partire dallo sviluppo economico, all’attenzione ai poveri, alla costruzione di un mondo solidale e senza frontiere).

In questo ogni riflessione del papa gesuita è pastorale: la teologia del popolo e l’attenzione ai poveri sono due elementi chiave del pensiero di Bergoglio che ci mostrano come da sempre lui abbia in mente una teologia dell’evangelizzazione, una teologia pratica e utile a cambiare il mondo. Per questo si capisce che, all’interno di una profonda attenzione al Concilio, il papa argentino ha sempre avuto una predilezione per la Gaudium et Spes: sia per il suo procedere induttivo sia per la necessità di affrontare i temi sociali dentro una nuova cultura di ascolto e di amore per il mondo. Se, quindi, Bergoglio è un profeta e desidera una chiesa profetica e se davvero le sue parole trasudano Vangelo (senza necessariamente citarlo), la sua è automaticamente teologia; sta a noi comprenderla in questo modo. Per questo il Dossier che abbiamo nelle mani è ancor più prezioso: ci indica con chiarezza come scoprire le vie nuove in cui il Vangelo può presentarsi oggi. Si tratta di collaborare con Dio che annuncia: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 1,5).

“Qual è il compito della Chiesa in questa fase specifica della storia? Si trova, per Przywara, all’inizio del libro della consolazione del profeta Isaia: ‘Consolate, consolate il mio popolo’ (Is 40,1). Il compito profetico della Chiesa è quindi quello di interpretare il tempo della crisi e, in quel tempo, consolare il popolo. Il discernimento dei segni dell’azione di Dio è in Bergoglio particolarmente sintonico con la prospettiva di Przywara. Si tratta della triplice insistenza sulla comprensione vitale della misericordia, sulla lettura del tempo attuale come tempo in cui molti sono i feriti delle violenze della storia e delle società, sulla modalità – quella preferenziale e urgente – con cui la Chiesa è chiamata ad inserirsi in questo con l’annuncio e la pratica della misericordia di Dio” (F. Mandreoli, Papa Francesco: una riflessione metodologica sull’orizzonte e su alcune radici “europee” della sua teologia, pag. 58-59). È in questo senso che la comunità dei credenti è invitata ad essere “ospedale da campo”: la profezia, cioè ciò che collega Dio e l’uomo, diviene così operativa per consolare e curare il popolo. Il profeta sa che proprio nei conflitti il suo parlare apparirà ancora più chiaro; sa anche che deve correre il rischio di non essere compreso o, al limite, di apparire eretico: denunciare dottrine che si sono consolidate nel tempo, in nome di una riscoperta del Vangelo, è una profonda necessità. Abbiamo una concezione troppo idealizzata di inerranza della tradizione teologica. Le novità di Amoris Laetitia sono da giudicare in base alla loro consonanza col Vangelo e non in base alla loro vuota coincidenza con la prassi consolidata. Ai teologi papa Francesco chiede di essere pionieri, essere scopritori di vie nuove, nel dialogo con le culture, con le altre religioni, nell’incontro con ogni uomo. Chiede questo, credo, per sentirsi accompagnato in strade che lui sta già percorrendo. E cerca compagni di viaggio in tutti coloro che piangono sulle ferite dell’umano.

Matteo Prodi

Nato nel 1966, laureato in Economia e Commercio all’Università di Bologna nel 1990, è stato ordinato presbitero nel 1997. Dall’anno accademico 2008-09 è professore invitato alla FTER nell’ambito della morale sociale. Nel 2010 ha conseguito il Dottorato in teologia presso la FTER con una tesi su Felicità e strategie d’impresa. Persona, relazionalità ed etica d’impresa. Da Ottobre 2010 Collabora con l’Università di Bologna per il Seminario su Etica d’impresa. Nel Febbraio 2018 ha pubblicato il libro "Votare, oh, oh!" per l’editrice Aracne, una agile guida per riflettere sulle scelte politiche.