La storia, una di quelle storie vere che sembrano una favola, è quella della regina Adelaide, bellissima e giovanissima vedova del re d’Italia Lotario, morto probabilmente avvelenato nella sua capitale, Pavia, qualche giorno prima del Natale. Re d’Italia, se corre l'”Anno domini 947″, è effettivamente una parola grossa: un titolo, più che un vero e proprio regno da amministrare. Un ruolo importante tra duchi e vescovi dell’Italia centro settentrionale, più meno legati da alleanze e vassallaggi, e il diritto di parlare da pari a pari con sovrani e nobili franchi e bavaresi tra cui l’aspirante al titolo imperiale, il primo, il Grande, degli Ottoni, e con l’altra figura chiave della politica di quegli anni, il papa di Roma.
C’è dunque una regina vedova, e c’è un pretendente al trono, Berengario di Ivrea, che forse ha assassinato Lotario e si insedia a palazzo deciso a chiudere la partita costringendo la regina a sposare suo figlio. C’è un lago (di Garda) e c’è un fiume (il Po), e c’è un oscuro miles intelligente e fedele al vescovo di Reggio Emilia, Adalberto Atto, che ha finito da poco di costruire un castello imprendibile e destinato a diventare leggendario, la Rocca di Canossa.
E qui comincia il romanzo, Anno domini 947 appunto, che Roberto Seghetti ha inopinatamente dedicato a questa antichissima “storia italiana”.
Di Seghetti, giornalista di lungo corso – si è occupato a lungo di di economia, di sindacato e di politica, è stato dirigente della Federazione nazionale della stampa e di recente capo ufficio stampa del Partito democratico con Bersani segretario – tanti di noi conoscono la scrittura elegante e pulita ma davvero pochi, e chissà se lui stesso, sospettavano questa vocazione per il romanzo storico. Attorno ai personaggi reali, ritratti con delicatezza e finezza psicologica, l’autore di Anno domini 947 inventa una teoria di uomini e donne del popolo, cavalieri nobili d’animo se non di origine, fraticelli cavalieri e soldati, fanciulle fedeli ed eroiche, donne generose e astute, e paesaggi notturni e chiese di campagna e una Roma che riconosciamo e guardiamo con gli occhi dei nostri eroi, falsi pellegrini, splendente nelle sue memorie grandiose e nella sua fatiscenza e brutalità quasi contemporanee. E c’è perfino il mare, visto con lo sguardo incredulo di quei viaggiatori padani.
Alla fine, ed è la sfida più difficile per chi scrive un romanzo storico, ci credi. La vivi davvero questa avventura medievale, un po’ vera e un po’ inventata, coi suoi ritmi e i suoi linguaggi, la sua quotidianità e il suo tempo più lento del nostro ma altrettanto pieno di possibilità e di avventure. E ti perdi un po’ in questa lontana vicenda di sentimenti e di potere, anche se a volte torni a intravederne l’autore e l’amico, come nello sguardo che la vera regina Adelaide e il suo cavaliere inventato Guelfo si scambiano al banchetto, quando tutti i traditori che si erano messi al servizio di Berengario vengono a omaggiare la sovrana tornata sul trono. Perché la storia si ripete, e Bob Seghetti lo sa bene.
Anno domini 947, di Roberto Seghetti
NeP Edizioni, 18 euro