È morto oggi a Roma Adriano Ossicini, partigiano, psichiatra, cristiano di sinistra, parlamentare del Partito comunista. Aveva novantanove anni. Lo ricordiamo con un estratto della sua intervista contenuta nel libro Highlander di Chiara Geloni (Memori, 2010).
CHIARA GELONI: A casa di Adriano Ossicini, senatore, ministro, medico psichiatra, professore universitario e tante altre cose che mano a mano diciamo. Figlio di antifascista e…
ADRIANO OSSICINI: Mio padre era uno dei fondatori del Partito popolare.
Ma lei ha conosciuto tutte le personalità più importanti della politica italiana, è vero che ha conosciuto anche De Gasperi?
È pubblicato un famoso colloquio che ebbi con De Gasperi durante il periodo in cui lui era in Vaticano, bibliotecario. Mio padre era stato uno dei fondatori del Partito popolare, e conosceva molto bene De Gasperi. Lui era stato responsabile del Partito popolare a Roma, perciò io conoscevo molto bene De Gasperi e tutti i popolari. Quando io mi misi a far politica ci fu un colloquio con De Gasperi con il quale si sancì che non ci saremmo mai incontrati perché io non volevo andare nella Democrazia cristiana ed ero contrario all’unità dei cattolici.
Lei è cattolico di sinistra. Non è mai stato né comunista né democristiano? Come ha fatto?
Sono stato fondatore di un partito che si chiamava la Sinistra cristiana, nel 1939 fine del 40, che è durato, con vari nomi, fino al 45, quando si è sciolto. Da allora non sono più stato iscritto a nessun partito, nonostante poi che per 30 anni sono stato parlamentare, sono stato sempre indipendente. Un cristiano di sinistra indipendente.
Lei non sarà mica uno di quei catto-comunisti che fanno arrabbiare Berlusconi?
No. Fra l’altro il catto-comunismo non esiste. È una bufala. Nella Sinistra cristiana, il partito che io ho fondato, in cui sono stato insieme a Rodano, a Napoleoni e così via, eravamo cristiani tutti; una parte si è iscritta al Partito comunista e una parte è rimasta indipendente. Alla fine di questa esperienza che è durata dal 39 al 45, e che è stata un’esperienza gloriosa, siamo stati in carcere, abbiamo fatto delle battaglia, la Sinistra cristiana si è sciolta.
Qui vedo la foto di un certo Adriano Ossicini, sovversivo, latitante, responsabile dell’omonima banda armata. È lei?
Sì. Questa foto me l’hanno regalata i miei studenti, prendendola da Via Tasso, quando ho compiuto 60 anni ininterrotti di insegnamento.
Per i non romani, a via Tasso c’era il carcere per gli antifascisti…
Sì, lì nelle celle ci sono le foto dei dirigenti della Resistenza. Io sono stato uno dei capi della Resistenza a Roma. A vederle non ci vado, perché sono tutte foto di morti e io sono l’unico vivo. La cosa non mi rallegra molto. Ero capo di un movimento della Resistenza e la polizia mi aveva schedato. Quando è caduto il fascismo io ero in carcere, a disposizione del tribunale speciale per la difesa dello Stato. Uscito, ho comandato una formazione partigiana a Roma e siccome ero latitante, la questura fece un bando in cui c’era una taglia che mi riguardava. E quella è la foto segnaletica della questura, ripresa da quella mia di Regina Coeli, quando mi hanno schedato, in cui mettevano la taglia e dichiaravano che dovevo essere catturato.
Quindi lei era in clandestinità.
Poi, su questa base, sono stato portato al Tribunale tedesco e condannato a morte in contumacia dal tribunale tedesco che stava a Roma, su segnalazione della questura italiana. Ovviamente non è stata eseguita la sentenza.
La vediamo. Poi lei ha partecipato alla battaglia di Porta San Paolo.
Sì. C’è una foto anche di questo. È emozionante perché vicino a me c’era un mio amico che si chiamava Persichetti e un minuto dopo è stato fulminato da una pallottola ed è cascato morto. Era un professore del Visconti, di storia dell’arte, ed era un granatiere. Perché io partecipai a questi combattimenti insieme ai granatieri. Tanto è vero che poi quando Ciampi fece fare nell’anniversario il ricordo, fece fare a me la prolusione. Perché ero l’unico comandante non militare vivente che potesse ricordare quei combattimenti di Porta San Paolo.
Finisce il fascismo, finisce la Resistenza, nel frattempo lei trova il modo di laurearsi in medicina e vive questa carriera politica un po’ anomala sul confine tra i democristiani e i comunisti.
Però all’opposizione. Ossia, io ero di formazione cristiana, di sinistra non di stampo comunista, però partecipo all’opposizione, cioè ero contro la Democrazia cristiana, ero contro un governo moderato. E poi, per la mia formazione cristiana, trovavo pericoloso anche, sul piano religioso, il fatto che si chiedesse ai cattolici, in quanto tali, di essere in un partito…
Come ha vissuto il Concilio, questa fase un po’ imprevista, in cui soffiava lo spirito…
Ma molto bene, anche perché io ero legato molto a un certo don De Luca, un famoso prelato, uomo di grande cultura, che era diventato collaboratore di papa Giovanni. E perciò io ho conosciuto tramite lui papa Giovanni e ho vissuto anche le fasi prima del Concilio Vaticano secondo. Questo prete formidabile, purtroppo si ammalò e lo assistevo anche come medico, al Fatebenefratelli, che era il mio ospedale. Stava morendo e lo venne a trovare il papa. Perciò io ho assistito anche a questo colloquio interessante, sul Concilio che stata per aprirsi dopo pochi giorni, fra papa Giovanni e don De Luca. Don De Luca gli diceva: santità, questa scommessa del Concilio è importante, ma è pericolosa. E il papa: don Giuseppe, se il Padre Eterno c’è ci dà una mano, se non c’è che lo facciamo a fare il Concilio…
Una convinzione come la sua, della non obbligatorietà, dell’unità politica dei cattolici, per la Chiesa è una conquista che avviene durante il Concilio, così come il protagonismo dei laici…
Debbo dire però una cosa: io sono stato contro l’unità dei cattolici e reputo di aver fatto bene. Però bisogna molto ben distinguere come essa fu vissuta da De Gasperi nella prima fase e come fu vissuta dalla fine di De Gasperi in poi. De Gasperi era un laico e bisogna tener conto che lui in qualche modo era obbligato da Yalta – me ne resi conto da alcuni colloqui che avevamo avuto. In Italia c’era bisogno di un governo stabile, e lo poteva garantire soltanto la Democrazia cristiana. Questo è un dato di fatto. La mia era un’obiezione morale, però debbo rendermi conto che in fondo lui obbedì a una realtà. Non c’era una classe politica che potesse governare, se non quella che lui con l’unità dei cattolici riusciva a portare avanti. Perciò io gli riconosco il fatto che pur essendo la mia battaglia giusta, lui in qualche modo, per tutto il periodo in cui è stato al governo, è stato laico. Tanto è vero che si oppose all’operazione Sturzo…
Il tentativo di aprire a destra…
… litigò col papa e la cosa più importante è che quando lui vinse a mani basse le elezioni, Dossetti voleva che facesse il governo da solo, lui disse: no, mai da soli. Dopo, morto lui, la classe che deriva dall’Università cattolica, i Fanfani e compagnia bella, i Rumor, non erano laici. Ma De Gasperi e la classe popolare sì, bisogna essere molto chiari in questo senso, se no confondiamo le cose.
Oltre e De Gasperi che mi sembra, da come ne parla, sia stato un punto di riferimento …
Era un uomo moralmente formidabile.
… altri esponenti politici che ha conosciuto, che l’hanno colpita, dalle due parti, dai due campi…
Ma, per certi aspetti, ho avuto due persone con le quali ho avuto profondi rapporti politici. Con De Gasperi, ero amico di famiglia. E poi, devo dire, sono stato amico personale di Berlinguer. Era un’amicizia profonda, cominciata molto presto, prescindendo dalla politica, con la moglie, con i figli. Le trovo due persone, non solo politicamente, ma moralmente straordinarie, anche se io ero certamente legato a Berlinguer politicamente, anche se non comunista e oppositore di De Gasperi. Ma trovo che siano due persone che dicano che in questo Paese si può essere di differenti posizioni politiche ma anche profondamente capaci di una grande umanità.
Erano in qualche modo simili?
Sì, perché erano…per usare una frase di Montale “scabri ed essenziali”. Insomma tutti e due pensavano la politica come fatto etico.
E Moro?
Moro l’ho conosciuto, ci volevamo bene – conoscevo anche la moglie. Ma ci andavo scarsamente d’accordo perché non riuscivo mai a capire bene, con chiarezza… Moro era una persona molto intelligente, molto capace, però, differentemente da De Gasperi e da Berlinguer che erano sic sic e non e non, non sapevo mai bene chiaramente cosa volesse. Moralmente era una persona molto autorevole. Ero molto amico di Andreotti, perché eravamo amici da ragazzini, giocavamo a palla insieme, anche se con caratteri differentissimi…
Era la romanità che vi univa…
Sì, appunto. Poi come carattere eravamo antitetici. (…)
Di tutta questa storia, il Partito democratico rappresenta un compimento o un tradimento?
Nessuna delle due cose. Secondo me in fondo il Pd non è mai nato. Lo dico in modo affettuoso…
Non è ancora nato…
Sì, non è ancora nato. Nel senso che è un tentativo di unire forze provenienti da due grandi tradizioni che si sono spente, la democrazia cristiana e la comunista, in una situazione politica estremamente confusa. Confusa perché, non è colpa di nessuno, ma la crisi fondamentale che ha fatto andar via i partiti tradizionali, non è riuscita ancora a presupporre una politica che in qualche modo somigliasse a quella… nella costruzione di partiti fatti in un certo modo. Il fatto che i partiti siano rimasti per forza gruppi di opinione, nella destra anche gruppi mercantili, crea difficoltà a delineare partiti in qualche modo che abbiano la possibilità di dare un discorso nuovo anche organizzativo. È difficile, difficilissimo. Non c’è dubbio che Berlusconi rappresenta, vista la crisi dei partiti, un tentativo di sostituire alle forme tradizionali dei partiti, una politica di mercato. In quel senso è imbattibile. E noi dovremmo riuscire a ritrovare forme non di vecchio tipo, ma partiti veri, in cui il partito abbia un struttura, degli orientamenti, ma non è facile. Non è colpa di nessuno. Non è facile… due grandi tradizioni come quella democristiana e quella comunista, sono tutte e due da recuperare avendo avuto una profonda crisi. E la crisi dove è cominciata e dove è finita, perciò io non mi meraviglio di queste difficoltà, spero che siano superate presto, ma non mi pare ci sia l’aria che vengano superate presto. (…) Bisogna arrivare ad avere un partito, non c’è ancora. Io spero che ci si arrivi, ma ancora non c’è. Difatti io dal 1945 a oggi non ho mai ancora avuto un partito.
E continua a non averlo.
Spero di averlo un giorno o l’altro. Prima di morire. Ma per adesso non ce l’ho. (…)
Senatore, per concludere questa bellissima chiacchierata, a parte le sue cose future, le sue cose intime, in che cosa ha speranza. Che cosa si augura per i suoi secondi novant’anni?
Tre cose. Primo: per tutti i mie nipoti e i miei figli, ai quali dedico questo libro: “Il prezzo della libertà”, perché sono nati in un paese libero: questa libertà faticosamente conquistata da parziale diventi molto più ampia. Un secondo problema è familiare: cioè che questa armonia di gruppo familiare possa durare serenamente. E una terza è culturale: che finalmente si riesca ad avere in questo Paese un dialogo vero. Che tutto sommato ci si ponga, non solo politicamente, ma scientificamente, sul piano del capire che il dialogo significa quello che diceva Voltaire: anche se non sono d’accordo su quello che dici, difendo che tu possa dirlo, senza che nessuno te lo impedisca.