Addio a Campos Venuti, l’urbanistica come riformismo

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Giuseppe Campos Venuti, per tanti amici e compagni semplicemente Bubi, era nato a Roma il 3 agosto 1926, partecipando, giovanissimo, a 17 anni, alla Resistenza, poi al Partito d’Azione. È mancato domenica scorsa. Per lui sinistra ha significato laicità, spirito critico, curiosità verso l’altro, insieme a un saldo punto di vista fondato sui bisogni popolari. I tratti di Campos, gli elementi costitutivi di una biografia umana, politica e accademica. Amava il confronto, nelle più svariate circostanze, senza formalismi, anche lassù, a un passo dal cielo, in cima ai tetti di Bologna, nel suo studiolo di via Castiglione. Inforcava gli occhiali, si accarezzava piano la barba e ti spiegava le cose, in particolare che l’urbanistica non può che essere riformista, motore di cambiamenti sociali.

Capitai da lui, la prima volta, un certo pomeriggio di qualche anno fa, stavo preparando un libro a cura di Renzo Renzi che prese il titolo di Il sogno della casa. Modo dell’abitare a Bologna da Medioevo a oggi, uscito per i tipi della Nuova Casa Editrice Cappelli. Chiesi un contributo anche a Campos. Lo chiamai, mi disse: “Sono sempre in giro, mi lasci il tempo di scrivere, le assicuro che lo faccio, poi ci sentiamo”. E fu così. Per consegnarmi il saggio, L’edilizia popolare e la Terza Bologna, volle parlarmi. Il testo fu l’occasione per una riflessione e per un bilancio. Era scritto a matita, sul retro di fogli dattiloscritti, fotocopia di un precedente documento, a proposito di lotta agli sprechi e di risparmio ante litteram della carta. Un manoscritto che conservo. Una scrittura piana, distesa, chiara, una vera calligrafia.

Così l’incipit: “Da quando, con la rivoluzione industriale, la ‘questione dell’abitazione’ è diventata un nodo cruciale per la società, in Europa i lavoratori hanno strappato interventi pubblici più o meno consistenti per l’edilizia popolare. E i risultati di questi interventi rappresentano ancor oggi efficacemente il grado di civiltà delle diverse nazioni”.

E poi aggiungeva: “Queste scelte si sono poi rivelate essenziali per la nascita della Terza Bologna, la nuova città cresciuta negli ultimi 30 anni, che oggi ospita oltre un terzo dei bolognesi ed è riuscita a evitare i caratteri degradanti di gran parte delle periferie italiane. Insieme alla salvaguardia del centro storico e della collina e al decentramento del terziario e della mobilità, la politica di espansione programmata e qualitativa degli insediamenti, costituisce il fondamento dell’urbanistica riformista bolognese degli ultimi 30 anni: e agli interventi relativi all’edilizia economica e popolare, ne rappresentano forse la più evidente di tutte le realizzazioni”.

E ancora si soffermava sul tessuto ambientale: “Fra due facciate frontestanti si frappongono boschetti, prati, collinette erbose. Le recinzioni sono bandite, l’albero, il cespuglio, l’erba, diventano un servizio direttamente accessibile, ottimamente mantenuti, proprio perché solo così i cittadini si rendono consapevolmente responsabili della conservazione. In via della Spina a Fossolo, in via Marco Polo alla Beverara, in via del Beccaccino alla Barca, splendidi parchi si intravedono dietro la cortina degli edifici; che da un lato affacciano sulla strada sul parcheggio, sul piccolo giardino privato di protezione e, dall’altro, spaziano sul parco organizzato liberamente quasi naturale. Dalla strada e dai parcheggi il parco, posto all’interno, si scorge attraverso il portico di cui l’edificio è dotato. Questo infatti è un altro elemento caratteristico della nuova edilizia popolare bolognese: quando gli edifici superano i tre piani, il piano terra è tutto, sempre, sistemato a portico. Si continua così nella Terza Bologna la tradizione costituita da quaranta chilometri di portici antichi: c’è sempre la possibilità – e la speranza – che una piccola parte di questi portici sia domani occupata da negozi e botteghe, ma in ogni caso resterà la trasparenza ai piedi degli edifici, il verde continuerà a intravedersi al di là dei palazzi, bambini e anziani potranno sempre giocare e riposarsi al riparo d’inverno e d’estate”.

Uno dei suoi rovelli, il rapporto tra mobilità e pianificazione. In un suo altro saggio, Il mio lungo percorso verso la metropolizzazione, su “Metronomie”, rivista promossa, per la Provincia di Bologna, da Fausto Anderlini (n. 31, 2005), Campos sviluppa una riflessione nella quale non manca di chiarire quello che ai suoi occhi è stato il difetto dell’impostazione urbanistica degli anni Sessanta, quello di “aver puntato di fatto sulla motorizzazione di massa, considerata in quanto tale un obiettivo di ‘emancipazione sociale’ e di aver così trascurato di prestare attenzione alla rete di trasporti su ferro, favorendo soltanto la rete viaria per il traffico su gomma”.

Una visione che portò all’abbandono del tram su rotaia per sostituirlo con la malintesa modernizzazione del bus su gomma. “Aver provato a rovesciare questo difetto, senza riuscirvi, – osserva Campos – questa fu la mia sconfitta…”. Una confessione significativa, espressa con la consueta franchezza, lo indusse ad auspicare, con sempre maggior forza, una radicale “cura del ferro”, che egli intravide nel Servizio ferroviario metropolitano, mutuato dall’S-Bahn tedesca, avviato poi a metà degli anni Novanta, contestualmente ai lavori per l’Alta Velocità.

Assessore all’Urbanistica nella giunta guidata da Giuseppe Dozza tra il 1960 e il 1966, giunse a Bologna, da Roma, insieme alla moglie Gloria Chilanti, molto attiva a favore della scuola insieme a monsignor Giovanni Catti, alla quale si deve un libro singolare: Bandiera rossa e borsa nera, diario della Resistenza di un’adolescente.

Poi fu consigliere regionale tra il 1970 e il 1975, ma, diviso tra politica e studi, ad un certo punto, senza mai abbandonare l’interesse per la politica, virò su questi ultimi, sino a diventare professore emerito presso il Politecnico di Milano, Visiting Professor presso l’Università di Berkley (1984); insignito della laurea honoris causa dall’Università di Valladolid (1996); tra il 1992 e il 1993 presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica, prima di diventarne presidente onorario; nel 1999 medaglia d’oro del Presidente della Repubblica tra i benemeriti della scienza e della cultura; dal 2000 al 2001 presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici; nel 2006 Nettuno d’oro della città di Bologna; nel 2012 Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana.

Giuseppe Campos Venuti è stato anche un battagliero esponente della società civile, specie negli anni della giunta Guazzaloca. Siamo all’inizio del 2002 quando esplodono i girotondi, di cui si fa momentaneamente interprete Nanni Moretti. Nel clima provocato a Bologna dall’appello della “sveglia” Campos dice alcune cose:

1) occorre un’idea di città;

2) quest’idea dipende, in primo luogo, dalla pianificazione urbanistica;

3) occorre un disegno di area vasta collegato a due indicazioni strategiche: il policentrismo e il decentramento metropolitano.

La Provincia recepisce le sue sollecitazioni, lo coinvolge e lui accetta di collaborare al Piano territoriale di coordinamento provinciale, così si chiamava, e lo fa in modo disinteressato, cioè gratuito. Tra i suoi suggerimenti, coerentemente con la sua ispirazione, prima le infrastrutture per la mobilità, quindi Servizio ferroviario metropolitano e Passante autostradale a nord.

Ecco: un governo come l’attuale, sui temi dell’urbanistica riformista, della lotta alla rendita fondiaria, della cura del ferro, con priorità sul trasporto pubblico e sull’intermodalità, sino ad un’edilizia popolare di qualità, dovrebbe considerare la figura di Giuseppe Campos Venuti non già come una testimonianza del passato ma come un’indicazione per il futuro.

 

Marco Macciantelli

Allievo di Luciano Anceschi, dottore di ricerca in Filosofia, già coordinatore della rivista “il verri”, agli studi e alla pubblicazione di alcuni libri ha unito l'impegno politico di amministratore pubblico.