A qualcuno piace caldo? Il futuro del pianeta è davvero molto vicino

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Domenica scorsa, in Canada, nel villaggio di Lytton (200 km da Vancouver) è stata registrata la temperatura record di 46.6°C – è stato superato così il precedente record risalente a 84 anni fa. Questo fenomeno è paragonabile a una vera e propria cappa di calore, con l’aria calda imprigionata come in una pentola a pressione. Più di quaranta località canadesi hanno stabilito nuovi record climatici, e questi livelli di calore, definiti pericolosi dalle autorità locali, rimarranno tali per molti altri giorni.

Il Canada soffocato da quasi 50°C è il simbolo rovente della crisi climatica provocata dall’uomo e dalle emissioni di gas serra. Assistiamo a più riprese, pertanto, all’avanzata inesorabile di un nuovo clima, fatto di onde di calore sempre più potenti e anomale. La Terra si sta riscaldando sempre di più a causa dei cambiamenti climatici e lo fa soprattutto ai Poli.

Non molti giorni fa sulla piattaforma ghiacciata Amery un enorme lago ghiacciato (tra i 600 e i 750 milioni di metri cubi) si è sciolto, e la sua acqua si è dispersa nell’oceano. Il lago era costituito da acqua proveniente dalla superficie degli oceani sciolta durante l’estate e accumulata per decenni sotto uno strato di ghiaccio formatosi nei periodi invernali. La sua scomparsa – osservata dalle immagini provenienti dai satelliti NASA Landsat 8 e ICESat-2 – è connessa a un fenomeno chiamato idro-frattura. Questo evento rappresenta uno dei pericoli relativi alla diffusione dell’idro-frattura derivante dalla crisi climatica, che provoca il collasso delle superfici ghiacciate, l’incremento dell’acqua sciolta dai ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari.

La crisi climatica colpisce anche la Siberia. Infatti, dall’ultimo monitoraggio dei satelliti Copernicus dell’Esa è emerso che in alcune aree la temperatura della superficie terrestre ha raggiunto la temperatura record di 47°C.

Veramente a qualcuno piace caldo il futuro? Il punto è che il clima sta cambiando più velocemente di quanto possiamo adattarci.

In questo quadro preoccupante si inserisce la bozza del rapporto dell‘Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che sarà reso noto nella sua versione definitiva in agosto. “Il cambiamento climatico trasformerà radicalmente la vita sulla Terra nei prossimi decenni, e questo accadrà anche se gli esseri umani riusciranno a domare le emissioni di gas serra”, così viene specificato nel documento, e che “le soglie di pericolo sono più vicine di quanto si pensasse e le terribili conseguenze derivanti da decenni di inquinamento sfrenato da carbonio sono inevitabili nel breve termine”. E in conclusione viene affermato che “il peggio deve ancora venire, incidendo sulla vita dei nostri figli e dei nostri nipoti”. Il pianeta e il suo ecosistema sono in grado di adattarsi, noi no, sottolinea il documento elaborato dall’Ipcc: “La vita sulla Terra può riprendersi da un drastico cambiamento climatico evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi. Ma i nostri attuali livelli di adattamento sono inadeguati per rispondere ai futuri rischi climatici”. Le proiezioni per il 2050 – anche in uno scenario favorevole con un incremento di solo 2°C  – rivelano che decine di milioni di persone rischieranno di subire le conseguenze della fame cronica e 130 milioni potrebbero sperimentare la povertà estrema. Nello stesso torno di tempo le città costiere più esposte vedranno centinaia di milioni di persone a rischio di alluvioni.

La sveglia sta suonando con una suoneria assordante, ma sembra che non venga udita da chi dovrebbe prendere decisioni significative verso la transizione energetica, ripensare un modello di sviluppo e bloccare definitivamente la deforestazione.

Senza contare che la cementificazione senza limiti delle nostre città ha reso i luoghi in cui abitiamo estremamente caldi. Materiali artificiali come asfalto e cemento assorbono grandi quantità di calore, causando un aumento delle temperature percepite che provoca disagi fisici e ambientali. Per sconfiggere queste ‘isole di calore’ sarebbe necessario interrompere l’abbattimento indiscriminato degli alberi. Poiché, molti studi sottolineano come gli alberi e la loro messa a dimora possano aiutare a raffreddare le isole di calore urbano. È necessario riflettere sul fatto che le zone verdi aiutano ad abbassare la temperatura dell’aria dai 2 agli 8°C, a ridurre l’utilizzo dei condizionatori del 30% e far risparmiare dal 20% al 50% sui costi sul riscaldamento. Inoltre un solo albero può mediante assorbire fino a 20 kg di CO2 all’anno, e i grandi alberi sono ottimi filtri di agenti inquinanti.

Infine, la legge europea sul clima (che fissa l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra al 2030 del 55% rispetto ai livelli del 1990, per raggiungere poi la neutralità climatica nel 2050) firmata in questi giorni, pur rappresentando un discreto primo passo, pone obiettivi inadeguati a contrastare – in modo efficace – le crisi climatiche. Il tempo per i vecchi modelli è scaduto, il momento di cambiare è adesso con una chiara visione del futuro.

Fosco Taccini

Pensatore innovativo e lettore onnivoro (a volte con sottofondo rock), scrive per riflettere in profondità e con creatività. Adora immergersi nella natura e nella politica per osservare e comprendere con attenzione ogni dettaglio. Social, grafica. Responsabile Cultura di Articolo Uno Umbria.