“Fare politica” è un concetto semplice, ma nel vuoto di politica, appunto, questo concetto si è perso. Nel migliore dei casi, ci si muove secondo astrazioni mediatiche, nel peggiore non ci si muove affatto. Eppure è lapalissiano che l’efficacia di una iniziativa presa dall’opposizione non è mai quella di prendere le distanze, cacciarsi in un atteggiamento solo negativo, o peggio gettarsi in bocca manciate di popcorn, esaltando trionfalmente la propria impotenza o inconcludenza. Nessuno racconta tutta la storia, peraltro, ossia che il cinese che attende sulla riva del fiume il cadavere del proprio nemico, alla fine vede passare il proprio, di cadavere.
“Fare politica”, dunque, sia in epoche normali sia in epoche eccezionali (ma l’attuale ci sembra un’epoca persino subnormale) è la regola. E in cosa consiste? Innanzitutto, nel primato dell’agire rispetto all’atteggiamento che punta alla propria soddisfatta autoesclusione. La politica è agire, e poc’altro. Questa azione è rivolta contro l’avversario, un avversario concreto, reale, storicamente (epocalmente!) determinato. Di esso dobbiamo cogliere punti di debolezza, contraddizioni, aporie, individuarne le certe vulnerabilità. Evitando se possibile il contrario, ossia il suo rafforzamento, consentendogli in pratica di porsi al riparo o saturarsi le ferite. L’atteggiamento ‘popcornista’ è, al contrario, l’esaltazione del non-fare politica. Si sostanzia di tante chiacchiere sui social e di prese di posizione da palco, nella speranza di un’adesione del pubblico alla propria retorica. Ma così dimentica l’avversario, lo dimentica nei fatti, nella sua consistenza concreta, anzi lo lascia libero di scorrazzare con tutte le proprie debolezze.
“Fare politica” è tenere l’altro a distanza di boxe, come si direbbe tecnicamente. Cioè a portata di guantone. Se così non fosse, come si fa a colpirlo quando è il momento? L’atteggiamento da popcorn è quello di chi si mette, invece, a fischiare tra il pubblico oppure a ostentare disdegno. Adesso, tutto si può dire del governo meno che sia un esecutivo ‘naturale’, ossia nato da convergenze profonde, storiche, di lunga data. Il ‘contratto’ è esattamente l’assenza di una ragione storico-politica. In realtà esso è nato per forza, ponendo accanto soggetti che altrimenti non si sarebbero nemmeno guardati in faccia, tanto è diverso il loro corso politico. Semmai, una saldatura sarebbe stata possibile nel tempo, se tutto fosse andato bene per loro. Ma così non è stato e nemmeno sarebbe stato possibile prevedere un tale trionfo. L’atteggiamento giusto di chi ‘fa’ politica, allora, è quello di portarsi a portata di boxe, fare in modo che l’avversario apra la guardia, studiarne le debolezze, affondare colpi persino nella sembianza di profferte politiche.
ABC della politica, niente più. Ma in tempi duri per la cultura, anche l’abecedario è un testo mirabile, forse lo è per primo. Si tratta talmente di un ABC, che vale anche per il modo in cui il PCI (e tutti i vecchi partiti) stava nel sistema politico, mai da spettatore disinteressato, mai da ‘cinese’ che ostenta la propria purezza a onta dell’esclusivo male altrui (e quando ciò è accaduto per tutti i vecchi partiti è andata male o si sono indeboliti). Mai e poi mai i partiti della Prima Repubblica si comportavano da sciocchi consumatori di popcorn, come certi ragazzi che oggi scambiano il Parlamento per una multisala.
Questo è tanto più valido nell’attuale ‘vuoto’ di politica e di partiti. Da qualche parte, d’altronde, si deve pur ricominciare. E forse ricominciare dall’ABC non sarebbe male, anzi sarebbe persino auspicabile. Riportare fuori dai media la politica, sarebbe un modo per riconquistare quel ring concretissimo che oggi ci manca (non vuol dire impedire una relazione politica-comunicazione, ma impedire che la politica stessa sia ancella dei paradigmi comunicativi). Ridare ‘corpo’, ‘vita’ alla politica lo si può fare anche nell’assenza iniziale di veri partiti, perché no? La nuda vita che sbarca dai gommoni, l’umanità che non è umanità, le donne e gli uomini senza diritti, le sofferenze, i disagi, l’orrore, la fame non aspettano i nostri popcorn, non attendono le nostre attese.
La politica, d’altra parte, nasce prima dei partiti moderni, e probabilmente proseguirà oltre di essi (a meno di catastrofi ecologiche o guerre galattiche), anche se è palmare che, senza partiti, tutto si fa più duro, in primis le mediazioni indispensabili alla nostra democrazia. Ma ‘fare politica’ è soprattutto la ricerca di mediazioni ‘dure’ – e mettersi a portata di guantoni è la forma più alta di mediazione, quella conflittuale, quella della lotta. Ora, una politica senza lotta, senza conflitto, di pura visione, di pura audience, di puri like, di solo consenso mediatico ma priva di sostegno effettivo, una politica che si agita senza un vero agire, a che serve? A nulla. Ci è persino dannosa. Se non vai a colpire il fianco scoperto, se non ti avvicini all’avversario, se non lo punti, l’attesa sarà vana, i popcorn andranno di traverso, la politica sarà ancora più vuota di oggi. Perché il vuoto non ha un ground zero, un ultimo esito, ma c’è sempre un vuoto più vuoto di quello che oggi ci inorridisce e fa vincere la destra.