Oggi la portata e la velocità dei cambiamenti climatici, l’intensità, e l’aggressività dei fenomeni meteorologici stanno allarmando sempre più. I risultati insufficienti rispetto alle degenerazioni climatiche accrescono la mobilitazione dei cittadini, coinvolgendo moltissimi giovani, che in ogni angolo della Terra chiedono una più incisiva azione globale per fronteggiare le crisi climatiche. Si tratta di un deciso e convinto segnale: soprattutto i millennials non vogliono assistere in silenzio (e immobili) al continuo peggioramento del dissesto ambientale. Moltissimi sono scesi a manifestare in una sorta di piazza globale che abbraccia i quattro angoli del pianeta per indurre la politica ed economia alle rispettive responsabilità. Dando vita così a un nuovo volto dell’attivismo che ha donato nuova speranza per il futuro del pianeta.
Esempio assoluto è la studentessa svedese Greta Thunberg (15 anni e sguardo determinato) che ha iniziato con uno sciopero da scuola per il clima, fino a diventare la figura iconica del movimento – Global Climate Strike – ambientalista dei teenager di tutto il mondo. Durante il periodo elettorale delle elezioni politiche svedesi, ogni giorno (per tre settimane), si è posizionata sulla scalinata del Parlamento per manifestare il suo dissenso con il cartellone “Skolstrejk för Klimatet”. Successivamente ha proseguito lo sciopero ogni venerdì: al Governo di Stoccolma e ai Paesi ricchi chiede di ridurre le emissioni di gas serra nel rispetto degli accordi sul clima di Parigi. Greta è stata anche invitata a Katowice alla Cop 24. La sua protesta ha destato l’attenzione in tutto il mondo, tramite la diffusione sui social network è stato dato vita all’hashtag #FridaysForFuture. Le giovani generazioni hanno posto l’attenzione su un tema fondamentale: noi tutti viviamo a credito e a loro lasceremo un pianeta fortemente in debito, le conseguenze del debito ecologico potrebbero cagionare una crisi dalle conseguenze irreversibili (a differenza di quelle economiche).
Sull’onda delle proteste degli studenti di questi mesi, oggi ci sarà il Global Climate Strike For Future, lo sciopero globale per il clima: l’evento prevede iniziative in oltre 1.000 città (tra cui Roma, Milano e Torino) di più di 89 Paesi in ogni continente, con una mobilitazione internazionale pacifica e non violenta di milioni di studentesse e studenti di scuole di tutto il mondo insieme a cittadine e cittadini che condividono uno stesso obiettivo: porre la lotta contro i cambiamenti climatici al centro dell’agenda dai governi nazionali alle istituzioni internazionali, dalle municipalità alle associazioni imprenditoriali e sindacati.
Si deve tener presente che a Katowice non c’è stato un risoluto impegno dei governi contro la gravità della crisi climatica (è stato approvato solo il Rulebook). Durante Cop 24 non si è raggiunto un preciso impegno di tutti gli Stati per consolidare (e intensificare) entro il 2020 gli attuali obiettivi di riduzione delle emissioni in linea con la soglia critica del 1,5°C e, soprattutto, a garantire un adeguato sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo che devono fronteggiare gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici.
Il meteo estremo, infatti, ha un impatto concreto sulla qualità della produzione agricola (soprattutto su terreni fragili), con ricadute sull’alimentazione e quindi sulla salute. Intere comunità sono costrette a emigrare in fuga dalla siccità e da terre sempre più inospitali. Si generano, in questo contesto, con estrema facilità conflitti e crisi. È necessario, pertanto, un impegno a più livelli per evitare che i costi ambientali e sociali ricadano su chi vive in altri luoghi. Esigiamo, tentiamo in ogni modo di ottenere e deprediamo dalla natura molto di più di quanto non siamo in grado di darle. Il cambiamento climatico tende a variare il tasso di umidità dell’aria con conseguenze dirette sull’incidenza e la frequenza delle piogge, la fertilità del suolo e su ciò che dalla terra si produce. L’ingiustizia del cambiamento climatico è feroce: separa il mondo in vincitori (chi è causa dei cambiamenti climatici) e vinti (chi subisce gli effetti). Per garantire più equità nel mondo bisogna smettere di considerare la natura una risorsa qualunque e ridefinire un nuovo modello sulla base di quanto anche contenuto nell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco nella quale si afferma che: a cambiare devono essere i ricchi, non i poveri, e riscoprire una nuova coscienza basata sulla responsabilità di ogni essere umano verso gli altri.
Al Consiglio europeo di maggio, i Capi di Stato e di Governo si troveranno sul tavolo la Strategia climatica europea di lungo termine da approvare e su come rispondere al segnale di allarme espresso a Katowice dal Segretario Generale dell’Onu António Guterres. Per poter contenere il riscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C, come affermato dall’Emissions Gap Report delle Nazioni Unite, abbiamo solo 12 anni. Pertanto, come affermato recentemente dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Siamo sull’orlo di una crisi climatica globale, per scongiurarla occorrono misure concordate a livello globale”. Perciò, gli impegni di riduzione delle emissioni al 2030 sottoscritti a Parigi devono essere fortemente e convintamente incrementati, in modo da poter raggiungere un livello globale di emissioni del 55% più basso rispetto a quello registrato nel 2017. Superare la soglia critica di 1,5°C avrà gravi conseguenze a livello globale, ma avrà impatti catastrofici per le comunità più povere e vulnerabili del pianeta. I prossimi dodici anni, quindi, saranno cruciali.
Un’azione climatica in linea con gli obiettivi di Parigi può far crescere, inoltre, l’economia, creare nuovi posti di lavoro e migliorare la qualità della vita.
Sono necessarie, su questa linea, partnership tra L’Europa e gli altri Paesi anche per trovare soluzioni scientifiche e mettere a sistema conoscenze. Serve un forte protagonismo e vitalità dell’Europa (rivedere anche gli obiettivi al 2030 in coerenza con la soglia di 1,5°C) in vista, tra l’altro, del summit sul clima convocato dal Segretario Generale dell’Onu Guterres, per settembre 2019 a New York.
Il 2018 è stato un anno nero per la qualità dell’aria nelle nostre città, con il conseguente deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia europea (insieme a Francia, Germania, Ungheria, Romania e Regno Unito) per non aver fatto abbastanza per l’inquinamento atmosferico da pm10. I limiti giornalieri previsti per le polveri sottili o per l’ozono (35 giorni per il pm10 e 25 giorni per l’ozono) sono stati superati in molti capoluoghi con la conseguenza che i cittadini hanno dovuto respirare aria inquinata per circa 1/3 dell’anno. Sono necessarie misure strutturali capaci di affrontare efficacemente questa situazione.
L’ecologia può rappresentare uno strumento fondamentale per riconoscere i reali bisogni umani, rendendo obsoleti quelli creati e ampiamente diffusi per rendere le persone soggette al potere della forma degenerata del capitalismo più incontrollato; garantendo n questo modo un’amministrazione concreta e solidale dei beni della natura.
Nelle piazze la politica ritorna nei luoghi fisici abbandonando l’inconsistenza del virtuale, riconnettendo un mondo fatto di energia e di visione per un futuro diverso. La politica di sinistra ha bisogno di riscoprire un forte radicamento territoriale, per ricollocarsi nella società e ricostruire una dimensione collettiva e partecipata. In questa nuova dinamica il digitale può avere un effetto moltiplicatore delle connessioni nel mondo reale. Serve logicamente poi un’elaborazione politica che traduca questa massa critica sviluppata dal basso in azione concreta tramite programmi, progetti, realizzazioni e gestioni.
Il modello di sviluppo capitalistico collide fortemente con la salvaguardia dell’ambientale, e non può essere lo spunto per garantire dignità ed equità a livello globale. Oltre a rispettare gli accordi internazionali sul clima bisogna puntare sulla ricerca e sulla formazione. Sia in ambito economico che scientifico oggi emergono soluzioni in direzione delle tecnologie del risparmio, verdi e rigenerative. Uno stile economico meno aggressivo, più intelligente, basato sul concetto: che operare in modo più intelligente consente di ottenere un maggiore rendimento in riferimento al patrimonio che si ha a disposizione. Prendendo ad esempio la nota citazione di Gandhi: “La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di pochi” è possibile un nuovo sistema di produzione basato sulla diffusione sistematica delle decisioni e del potere di intervento. Questa sarà la caratteristica rivoluzionaria della democrazia strutturata dalla green economy: coinvolgere nella epica sfida climatica gli abitanti che popoleranno la Terra nei prossimi anni, conseguendo il consenso necessario a una svolta basata anche su piccoli atti quotidiani di tutti, dalla produzione all’alimentazione, dalla conoscenza agli stili di vita.