Ma la salvezza della sinistra non sono le primarie. La democrazia è più complessa

| L_Antonio

La crisi della sinistra è solo un’appendice della più generale crisi della democrazia. Per tante ragioni, ma per una in particolare: fuori da un tessuto democratico attivo, partecipativo, associativo, vibrante di passione la sinistra è senza un contesto, in un certo senso è priva di senso. Così che la politica si trasforma in un delirio leaderistico e comunicativo, e perde le fattezze di impresa collettiva, che è poi la principale ragione sociale della sinistra medesima. Non sappiamo quanto ne siano consapevoli un po’ tutti. Né sappiamo quanto questo intreccio sia ritenuto essenziale e fondante. È un fatto che la fortuna della sinistra arride quando il tessuto democratico, partecipativo, le istituzioni rappresentative, la rete delle associazioni, il sistema dei partiti sono in salute. Ed è un fatto che, quando le forze economiche e la destra intravedono e tracciano una strada verso il potere, questa è sempre sgombra da criteri democratici di partecipazione. Anzi, il ‘popolo’ sub specie di destra è più che altro un coacervo di impulsi reconditi e di rabbia indirizzata alla cieca, tutto meno che il ‘popolo’ virtuoso definito dalla Costituzione, che esercita la sovranità nei “limiti” stabiliti dalla Costituzione stessa. “Limiti” che sono opportunità, ovviamente, non impedimenti.

Cos’è la democrazia in fondo? Un sistema di regolazione del conflitto, che vede protagoniste le figure sociali, i partiti e le istituzioni in una sorta di concerto pubblico. Conflitti regolati, non esclusi o ‘ridotti a uno’ da qualche potere munito di scarponi chiodati o di ottime risorse mediatiche. Perché semmai questo è il disegno della destra: cancellare i corpi intermedi, svuotare i partiti, mutare i Parlamenti in aule sorde e grigie. In tal caso rimarrebbero in campo solo il Capo (o i Capi), da una parte, e il popolo dall’altra. Reciprocamente e direttamente dialoganti. Dialogo solo apparente, in realtà monologo che dal vertice si spalma sulla base sempre più mediatizzata. Ecco la forma-base del ‘populismo’: tabula rasa delle istituzioni – base e vertice in cortocircuito mediatico. Per un verso, c’è una politica che si scheletrisce e che si mette al servizio dell’economia (diciamo degli spiriti animali) e dei suoi potentati, da cui auspicare di trarre risorse e buoni auspici per il futuro. Per altro verso, c’è un cittadino ridotto a consumatore compulsivo e a mero utente mediatico. In questo scenario minimale la sinistra muore per asfissia, perché in tale frangente non riesce a proporre nemmeno una nota del proprio spartito, che prevede invece un’articolazione del conflitto, un dibattito pubblico, istituzioni pronte alla sintesi e un sistema dei partiti capace di tenere stretti e in positiva tensione società e politica.

Appare evidente che, per rimediare a questo cupio dissolvi, sia necessario intraprendere una strada che non debba essere una versione di sinistra delle politiche di destra. Ad esempio, non si tratta di riformare la Costituzione e la legge elettorale (ultradecisionista grazie a un premio maggioritario) in anticipo rispetto alla destra, perché anticipandola la metteremmo in un angolo e le spunteremmo le armi. Idem sulle questioni dell’immigrazione. Non è così. Se si gioca ad anticipare la destra, è facile che le si spalanchi la strada invece di sbarrarla. La sinistra deve fare la sinistra, e deve puntare alla ricostituzione di quel tessuto democratico oggi strappato. Smetterla coi Capi, coi post, coi tweet, con le dirette social, con la religio dei sondaggi, e puntare sulle persone in carne e ossa, sulle loro domande, sui loro disagi, sulle loro sofferenze e sulla loro partecipazione libera, attiva, organizzata, associata alla vita pubblica. La comunicazione deve mettersi al servizio della politica, non viceversa. La comunicazione deve essere ancella. Ci vorrà più tempo ma pazienza, perché sarebbe tempo ben speso. E la sinistra deve rimettere in capo a tutto chi lavora, chi studia, chi cerca un’occupazione, chi è emarginato, chi è sfruttato, chi è ultimo. Figure sociali, classi, ceti non ‘popolo’ urlante. Dibattito e lotta, non grida impulsive, non rabbia diffusa. Regolare il conflitto vuol dire renderlo produttivo – scatenarlo contro le istituzioni vuol dire, invece, soltanto deviarlo dall’obiettivo. Una Repubblica funziona se il conflitto è indirizzato al bene comune, se è bene comune, non se deflagra e trascina tutto in un abisso. La sinistra ha questo scritto nel DNA, non le primarie: di intervenire sulla crisi e di ripristinare le condizioni democratiche dello sviluppo, della pace, della solidarietà. Non c’è scelta. È l’unico modo possibile, difatti, per fare davvero giustizia.

 

Alfredo Morganti Giorgio Piccarreta

Alfredo Morganti è da sempre appassionato di politica e di sinistra. Ama scrivere. Suona la batteria. Da qualche tempo si è scoperto poeta. Giorgio Piccarreta è funzionario del Comune di Roma. Coltiva orti, letture, l’amore e, fin da piccolo, la passione per la politica. Di sinistra.