Bernie Sanders ha recentemente annunciato la sua candidatura per la nomination democratica, in vista delle presidenziali Usa del 2020, nel corso di un’intervista a Vermont Public Radio, esprimendo l’auspicio di coinvolgere un milione di persone “in un movimento di base di persone pronte ad alzarsi e lottare contro il presidente più pericoloso della storia moderna americana”. Il Senatore del Vermont, classe 1941, ha uno stile da effervescente rivoluzionario della politica; definisce The Donald “un bugiardo patologico, un razzista, un sessista, un omofobo, uno xenofobo” paragonandolo a “una bomba nelle fondamenta della nostra democrazia che ci sta trascinando in direzione di un allarmante autoritarismo”. Si propone con un messaggio diretto “qui c’è da trasformare tutto un Paese, c’è da strutturare un governo basato sui principi di giustizia economica, sociale, razziale, e ambientale”.
Appassionanti le parole utilizzate nella mail inviata ai suoi sostenitori: “Voi e io, insieme, abbiamo avviato nel 2016 una rivoluzione politica. È giunto il momento di portarla a termine”. La Rivoluzione è rappresentata dall’istruzione gratuita, dalla sanità pubblica e in generale da una maggiore equità sociale.
Per Sanders sarà il secondo tentativo, dopo la sconfitta nella nomination democratica contro Hillary Clinton nel 2016. Proprio da quel contesto vuole ripartire: “Tre anni fa quando portammo avanti la nostra agenda progressista ci dissero che le nostre idee erano radicali ed estreme. Ebbene, tre anni sono passati e queste politiche sono sostenute più che mai dalla maggioranza degli americani”.
Assolutamente degno di nota l’inizio della raccolta fondi: quasi 6 milioni di dollari in 24 ore (da 220.000 donatori), tenendo presente che Kamala Harris ha raccolto un milione e mezzo ed Elizabeth Warren solo 225.000 dollari. L’importanza della cifra ottenuta da Bernie è sottolineata dal fatto che Trump ha sonato subito la carica chiedendo ai suoi sostenitori di “distruggere questa cifra!”. Sanders nel 2016 rifiutò i contributi dalle multinazionali, delle banche e dei miliardari preferendo il sostegno popolare, come più volte ribadito: “Loro potranno pure avere un sacco di soldi. Ma noi abbiamo un sacco di gente”.
Bernie è uno dei politici più seguiti, dimostrato anche dal numero di visualizzazioni del video in cui annuncia la sua candidatura: visualizzato da 400.000 persone su YouTube, 5 milioni su Twitter.
Nel 2016 il partito dell’asinello scelse Hillary Clinton, ma adesso molti si chiedono come sarebbe finita se a sfidare Trump fosse stato il senatore del Vermont. Sanders, indipendente affiliato al partito democratico, si è sempre definito socialista, ha strutturato il suo successo elettorale (con un respiro nazionale) nelle piccole città di campagna del Vermont (suo Stato di origine).
Sanders nella campagna del 2016 aveva raccolto un vasto successo tra gli elettori democratici più giovani e progressisti, grazie a un programma basato sull’assistenza sanitaria pubblica per tutti, l’aumento del salario minimo a 15 dollari, l’istruzione universitaria gratuita, l’aumento delle tasse per i più ricchi e la lotta ai cambiamenti climatici. Quindi, anche con la fumosa sconfitta alle primarie, Bernie ha rimodellato gli assetti del partito democratico spostandoli più a sinistra. Infatti, il suo programma è diventato il manifesto di tantissime candidate e candidati alle elezioni di Midterm. Un esempio su tutti: Alexandria Ocasio Cortez che si definisce socialista, e continua il cammino tracciato dal senatore del Vermont insieme a tante altre protagoniste della vittoria democratica alla Camera.
Sanders non ha mai rinunciato alla sua caratterizzazione socialista, in una campagna elettorale quasi continua. In questi ultimi mesi nel dibattito pubblico e politico americano la parola socialista è rimbalzata a più riprese. Non ultimo poco prima della discesa in campo di Bernie lo stesso Trump aveva detto che gli Stati Uniti non saranno mai uno stato socialista. Anche la portavoce della campagna per la rielezione di The Donald, Kayleigh McEnany, ha commentato – in modo sprezzante – la candidatura del senatore del Vermont.
Sanders, come emerge anche dal video della candidatura, lancia una campagna fortemente connotata: tasse per le grandi aziende e miglioramento delle condizioni delle classi povere e medie, Green New Deal (che coniuga lotte ambientali e sociali), lotta ai cambiamenti climatici, assistenza sanitaria universale, lotta contro le diseguaglianze, attenzione ai possibili impieghi delle tecnologie. È il padre della rivoluzione contro l’establishment, perciò ha buone possibilità di battere Trump sul suo campo di battaglia, rendendo reali e concrete le istanze della popolazione. Nelle passate elezioni presidenziali, Hillary Clinton è stata identificata come una candidata dell’establishment, di Wall Street, e dei grandi interessi, mentre il super ricco Trump è passato per l’outsider.
Proprio in uno dei suoi libri Bernie Sanders estrinseca il significato della sua idea di rivoluzione politica, che consiste nel pensare in grande: non riguarda una particolare elezione, un candidato, ma la creazione di un movimento capace di trasformare il Paese.
Indubbiamente Bernie ha già ottenuto una grande vittoria: aver imposto un’agenda più progressista al partito democratico, che lo aveva contrastato nella corsa alla nomination 2016.
Il palco della nomination è già molto affollato (ad oggi 15 candidature), e sono presenti già personalità in vista: Kamala Harris (California) ex procuratore generale, Elizabeth Warren (senatrice del Massachusetts) anti Wall Street, Cory Booker (New Jersey), Kirsten Gillibrand (New York) pasionaria del #MeToo, Howard Schultz Ceo di Starbucks. Molti dei democratici che si stanno candidando alla nomination hanno appoggiato le proposte politiche di Sanders. Solo per fare un esempio: il voto del Senato per il termine della guerra in Yemen.
Bernie Sanders caratterizzerà la sua campagna, oltre che sui temi del precedente programma, su programmi incisivi come il Social Security e una maggiore redistribuzione della ricchezza, un Green New Deal per salvare la Terra e generare lavoro qualificato e dignitoso, il riposizionamento in politica estera degli Stati Uniti come promotori di pace e soluzione dei conflitti.
Dal discorso di Bernie del maggio 2015, sulle rive del lago nei pressi di Burlington, gli Stati Uniti sono profondamente cambiati: i movimenti per il salario minimo hanno ottenuto alcune vittorie; hanno preso forza i movimenti femministi, pacifisti, ambientalisti; la stragrande maggioranza della popolazione è favorevole alla politiche di welfare e protezione sociale.
Bernie Sanders con coerenza ha portato avanti le sue battaglie contro non solo Trump ma da prima contro Clinton, Bush e Obama; delineandosi attualmente come alternativa contro il neoliberismo e il populismo in stile Trump. Secondo molti sondaggi è il politico più popolare degli Usa, questo aspetto potrebbe garantire una maggiore partecipazione al voto (l’astensione ha favorito Trump). Inoltre, come ampiamente dimostrato, Bernie è “ben attrezzato” per le attuali campagne elettorali basate su slogan e uso efficace di tutti i sistemi di comunicazione.
In attesa della (ri)conferma del momentum di Bernie, è diffusamente sentita – non solo negli Stati Uniti – la necessità di ricreare una connessione tra cittadini e politica, coinvolgere in un dialogo continuo elettori ed eletti, contrastare con idee concrete le vaghe (e semplicistiche) proposte delle destre, ridurre l’individualismo selvaggio e l’esclusione.
Nota: chi lo desidera può leggere questo articolo con in sottofondo una delle tracce dei Red Hot Chili Peppers, che nella precedente campagna tennero un concerto a Los Angeles dal titolo “Feel the Bern” .