Nel maxiemendamento del governo alla Legge di Bilancio resta la contestata norma proposta dal Movimento 5 Stelle che prevede una riduzione progressiva dei contributi diretti concessi dal governo all’editoria a partire dal prossimo anno fino all’azzeramento dei finanziamenti nel 2022. È previsto che nel 2019 il taglio alle imprese editrici riunite come cooperative dei giornalisti sarà del 20% della differenza fra l’importo spettante e la soglia di 500mila euro, la percentuale salirà al 50% nel 2020, al 75% nel 2021 fino al 100% nel 2022. Sarà poi varata una riforma che terrà conto “delle nuove modalità di fruizione dell’informazione da parte dei cittadini”.
I 59 milioni di euro contenuti nel “fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione”, che saranno azzerati tra il 2019 e il 2022, sono destinati solo a testate con certe caratteristiche (come i giornali cooperativi i cui proprietari sono i giornalisti e i poligrafici che ci lavorano). Tra queste testate ci sono Il Manifesto, Avvenire, Italia Oggi, Libero, Il Foglio, Il Cittadino, e molti giornali locali. Dal taglio ai fondi sono state escluse alcune testate delle minoranze linguistiche, quelli dei ciechi e dei consumatori, le testate all’estero.
L’emendamento (presentato dal capogruppo M5S al Senato) porterà a non accedere più ai fondi solo a diciassette delle testate più grandi sulle 52 ammesse al contributo (su oltre 18mila esistenti). Inoltre, è previsto anche un taglio del fondo per la convenzione tra il Ministero dello Sviluppo e Radio Radicale da 10 a 5 milioni di euro.
Diversamente da quanto affermato dal Vicepresidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi di Maio (anche attraverso un post con indicate nero su bianco – e sottolineatura con evidenziatore – le cose fatte), e dal Sottosegretario all’editoria Vito Crimi, il fondo per l’editoria non sarà cancellato. Ma sarà successivamente dirottato, direttamente dalla Presidenza del Consiglio, verso altri soggetti scelti tra una platea (non ancora identificata) appartenente al mondo del digitale e dell’innovazione. Perciò, alla fine sarà la stessa maggioranza al governo a stabilire i criteri del pluralismo.
Altro aspetto da considerare è che i tagli ai contributi diretti per sostenere l’informazione come bene pubblico favoriranno proprio gli oligopoli editoriali, oltretutto già in parte in crisi di vendite. Si deve sottolineare che la manovra del governo del presunto cambiamento è caratterizzata da molte affermazioni che intendono una cosa e relative possibili azioni che tendono al suo contrario. In questo caso specifico non si favorisce il pluralismo, ma ci si muove verso la sua trasformazione.
La campagna d’assalto contro la stampa ha generato una solidarietà trasversale tra le forze politiche. Il Presidente della Repubblica Mattarella ha rivolto svariati appelli per la tutela della libertà di stampa. Inoltre, l’ordine e il sindacato dei giornalisti Fnsi hanno ripetutamente manifestato le rispettive critiche.
Scorrendo la lista delle testate che possono accedere attualmente al fondo per il pluralismo si nota che non ci sono giornali governativi tout court. L’offensiva del governo giallo-verde, quindi, sembra rivolta soprattutto contro le voci critiche o in qualche modo fastidiose per la maggioranza.
Il risparmio generato dal taglio al pluralismo per l’anno 2019 sarà di solo 10 milioni di euro. È stato calcolato che quanto disposto dall’emendamento, che incide maggiormente sui quotidiani di idee, noprofit, locali (tradizionale fonte di informazione nel nostro Paese) e cooperativi potrebbe causare una crisi del settore con ricadute negative su mille posti di lavoro diretti e su un’indotto di diecimila persone in quattro anni.
Forme di sostegno diretto o indiretto all’informazione esistono in molti Paesi europei. La salvaguardia di testate, soprattutto locali, è presente anche negli Stati Uniti: l’estate passata 300 quotidiani hanno fronteggiato i ripetuti attacchi del presidente Trump chiedendo ai lettori di difendere insieme alle redazioni la libertà di stampa.
La scure contro il pluralismo e quanto avvenuto per l’approvazione della manovra può fornire un’oscura prospettiva sul futuro. Un Parlamento svuotato di funzioni e membri del governo impegnati più sui social network che nei luoghi istituzionali a fornire la loro personale versione su quanto è contenuto in una legge (quasi ologramma) o su un determinato fatto senza contraddittorio e mediazioni. Così stando le cose, a cosa servono più i giornali?
Invece che moltiplicare i punti di vista si privilegia la Rete riducendo (e comprimendo) il controllo della verità dei fatti, il contraddittorio e l’analisi di quanto realmente accade. Appare così che due tipologie di destre si siano saldate in questo governo, che unite trasformano il consenso elettorale in un’affermazione di potere nei confronti del quale è possibile mettere solo il ‘mi piace’ e/o ubbidire.
In questa prospettiva è necessario uno sforzo di impegno culturale e politico forte e coerente per contrastare la deriva in corso e proporre alternative necessarie a garantire un futuro diverso al Paese.