Modena: “I nostri Comuni”, il Manifesto dei valori e delle idee della sinistra

Modena

Versione integrale: http://www.sinistramodena2019.it

(sintesi)

Nella primavera del 2019, in provincia di Modena, si voterà per il rinnovo delle amministrazioni di 34 comuni. Noi vogliamo esserci e quindi pensiamo sia giusto partire dicendo “chi siamo e cosa vogliamo”.
In questo Manifesto troverete il quadro dei valori che ci animano e le idee alla base dell’appello che rivolgiamo a tutti.
Siamo donne e uomini che fanno riferimento all’area culturale e politica della sinistra progressista, civica e ambientalista.
Vogliamo catalizzare e coalizzare la sinistra.
Cittadini, intellettuali, personalità uniamoci il campo unitario, politico e culturale della sinistra progressista, politica, civica e sociale. Per costruire, insieme, progetti e programmi di governo, all’insegna dello sviluppo sostenibile, della uguaglianza e della partecipazione.
Insieme per la sinistra e per fermare la destra nazionalista sui territori già al governo del Paese che sforna condoni edilizi, fiscali e ambientali, flat tax, paura e xenofobia.
Insieme per difendere la nostra Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza e dalla Lotta di Liberazione. E’ il tempo della Resistenza civile. E’ il tempo della riorganizzazione. E’ ora di ripartire.
Di nuovo, la sinistra.
PRIMA I PROGRAMMI PER LA NOSTRA COMUNITA’, POI IL CONFRONTO SULLE ALLEANZE, E SOLO DOPO IL CONFRONTO SULLE CANDIDATURE A SINDACO. TUTTO DECISO INSIEME. MAI CON LE DESTRE!
Il cambiamento che proponiamo si concreta anche nel mettere al centro i problemi della nostra Comunità. Partiamo dai problemi dei cittadini e dalla costruzione, insieme a loro, delle proposte, con un percorso aperto, plurale e partecipato.
Le proposte condivise saranno la base per un confronto con le altre forze politiche del campo largo dei progressisti di sinistra, dei democratici, degli ambientalisti e dei civici.
Solo dopo si parlerà di alleanze e candidature che si faranno solo se c’è un adeguato tasso di concordanza programmatica.
Noi con la destra, nelle sue varie declinazioni non faremo accordi. Mai.
Insomma, decideremo insieme. Tutto.
PRENDIAMO L’IMPEGNO A RIFIUTARE FINANZIAMENTI DI AZIENDE E A FINANZIARE LE NOSTRE LISTE SOLO CON CONTRIBUTI LIBERALI DI CITTADINE E CITTADINI
Per garantire il massimo di indipendenza e trasparenza noi riteniamo che la politica debba affrancarsi dal finanziamento delle aziende. Per la costruzione della nostra proposta e delle nostre liste alle amministrative del 2019, a tutela e presidio di totale libertà di azione, non accetteremo contributi e donazioni da parte di aziende, specie se queste hanno rapporti di fornitura con l’Amministrazione comunale, ma solo contribuzioni liberali dei cittadini.
PREMESSA POLITICA
Il 2019 sarà un anno decisivo per le sorti di governo dei nostri comuni. Sarà una prova molto difficile. Per tutto il nostro campo.

Siamo alle prese con un processo mondiale ed europeo che vede l’avanzata di una nuova destra nazionalista, capace di apparire come una risposta alla richiesta di protezione che viene da larghe fasce di popolazione, a partire dai ceti popolari e medio-bassi.
La sinistra, nella sua parte maggioritaria, per errori teorici e di scelte, non è stata in grado di comprendere le trasformazioni profonde della società indotte dalla globalizzazione liberista, non regolata ed, anzi, in alcuni casi, ha smesso di esercitare il suo ruolo di critica, ha smesso di pensare alla trasformazione della società. I lavoratori, i giovani e le donne sono le figure che più hanno pagato il “sonno della sinistra”.
Anche in Italia avanza un destra nazionalista cresciuta sugli errori capitali dei governi del centrosinistra di questi anni. Le risorse di finanza pubblica che si sono liberate, dopo la terribile crisi, sono state utilizzate male, senza fare investimenti pubblici per creare lavoro di qualità e senza finanziare il welfare e l’istruzione. Le disuguaglianze e la povertà sono aumentate a causa della mancanza di lavoro, del lavoro pagato meno e instabile, del de-finanziamento della sanità, della scuola e università e per l’assenza di piani di investimento nazionali, affidati anche agli Enti Locali oggetto di tagli insostenibili. L’ascensore sociale si è fermato da anni, i figli tendono a rimanere nella stessa posizione sociale ed economica delle famiglie di provenienza. Della ascesa della destra, seppure in un trend internazionale, è responsabile anche il centrosinistra, ma tra tutti è il Partito Democratico a portare il maggior carico di responsabilità. La stagione renziana ha disintegrato l’unità delle forze di sinistra e democratiche, dividendo il suo popolo, abbattendo ulteriormente i diritti del lavoro, dissipando risorse preziose in politiche di governo sbagliate e inadeguate, umiliando i corpi intermedi a partire dai sindacati sino alla <<rottura sentimentale>> della revisione e del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Dal voto del 4 di marzo è scaturito il governo giallo-verde in cui è chiara a tutti la egemonia leghista e, dopo 6 mesi, con un altrettanto chiara sofferenza dell’elettorato del Movimento 5 stelle, specie quello a cultura legalitaria, democratica o francamente di sinistra. A oggi i risultati di questo governo sono scarsi o, su alcuni fronti, nefasti. Al netto della propaganda sulla immigrazione al primo passo probante, la legge di bilancio, hanno mostrato il loro vero volto: condono edilizio e fiscale, flat tax, innalzamento delle soglie per lo sversamento a terra di inquinanti e assenza di risorse significative per gli investimenti pubblici, per la manutenzione dei territori, fragilissimi anche per gli effetti del “cambiamento climatico”, per la sanità sempre più privatizzata, per la scuola, la università e la ricerca. Delle cosiddette misure sociali come il reddito di cittadinanza e la “quota 100” per le pensioni al momento non abbiamo ancora proposte definite.
Ma al momento non esiste una opposizione vera e men che meno una proposta alternativa di sinistra. Questa sarà la sfida in cui la battaglia sui territori per il governo dei comuni ne sarà parte importante.
Gli effetti nefasti della globalizzazione capitalistica si sono abbattuti anche sui nostri territori senza che gli enti locali, svuotati di risorse dai patti di stabilità e competenze dal neo-centralismo, fossero in grado di attenuare o mitigare le enormi disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Tutto ciò ha accresciuto considerevolmente il numero dei poveri, ha aumentato il disagio sociale e rotto la coesione del nostro tessuto sociale. Scarsa crescita economica, aumento del lavoro instabile, poco pagato e in taluni casi alla mercé del caporalato, coesione sociale in netto calo, poveri e disuguaglianze in aumento, fiducia nella politica e nelle istituzioni in calo drammatico anche nei nostri comuni ci consegnano una situazione in cui la sinistra e il centrosinistra, fatto inedito dalla Liberazione in poi, non hanno più la certezza di prevalere.
La tradizionale difesa della autonomie locali, a cui eravamo abituati dagli ottimi amministratori della sinistra, è stata svenduta in nome di assi politici nazionali e ha lasciato spazio al neocentralismo degli ultimi anni. Un errore imperdonabile.
Non ci sono più certezze. Ci aspetta il mare aperto di una ricostruzione di un ampio fronte della sinistra progressista, civica e sociale, radicale con cultura di governo, aperta, plurale, libera da legami e collateralismi con i poteri economici di ogni tipo.
“Cambiamento vero” è la parola chiave della nostra proposta. Cambiamento rispetto al conformismo a carattere centrista degli ultimi anni di governo dei nostri territori, non in grado di affrontare efficacemente i nodi del conflitto che viviamo da anni, tra inclusi ed esclusi, tra sviluppo e ambiente, tra capitale e lavoro, tra diritti e negazioni.
Cambiamento e coraggio nel dire che il Pubblico, gestione o governance che sia, a seconda della strategicità del servizio o politica pubblica, è l’unico vero presidio per mantenere la coesione sociale e perseguire l’uguaglianza.

Cambiamento e coraggio nella difesa del ruolo pubblico (Istituzioni e cittadini) dei “Beni Comuni”, come la salute, l’istruzione, l’acqua, l’aria, la qualità della vita, la dignità del lavoro, la democrazia e la partecipazione democratica. “Beni Comuni” che la nostra Costituzione prescrive siano intangibili e che invece vengono esposti alle logiche, talora avide e senza responsabilità sociale, dell’interesse privato come unico obiettivo. Lavoro, ambiente, istruzione, salute, diritti sociali, cultura, democrazia e partecipazione, legalità e autonomia della politica le principali faglie che hanno diviso il popolo della sinistra democratica politica, civica e sociale da cui ripartire, risalire la china e sulle quali approntare risposte inedite o ripristinare risposte “antiche” per tornare a governare con efficacia e giustizia i nostri territori.
LAVORO! DIGNITOSO, DI QUALITA’, PER TUTTE E TUTTI. I COMUNI HANNO UN RUOLO DIRETTO IMPORTANTE E DEVONO PROMUOVERE LAVORO DI QUALITA’
Il lavoro è, per noi, la faglia più importante in cui la sinistra politica è andata in crisi, si è separata dal suo popolo. Il lavoro ha progressivamente perso centralità, dignità e tutele. Da anni la competitività del Paese, e anche nei nostri territori, nella economia globalizzata finanziarizzata, si è giocata abbattendo salari, eliminando diritti in nome di una falsa flessibilità che sarebbe meglio chiamare precarizzazione. Tutto ciò non solo ha impoverito molti lavoratori, dipendenti e indipendenti specie giovani, reso le loro vite incerte, ma li ha anche privati di un altro bene supremo: la libertà. Senza un lavoro adeguato, magari senza accesso pieno al sapere o alla formazione continua, non si è liberi.
Tocca a noi, a tutti i livelli, operare per invertire questa drammatica situazione, che investe anche a Modena migliaia e migliaia di persone. Tocca a noi sovvertire il dogma secondo cui il liberismo è l’unica via per lo sviluppo e la libertà. Tocca alla sinistra riparare allo strame di diritti realizzato dalle politiche economiche degli ultimi anni (dal decreto Poletti alla abolizione dell’art.18) Scelte di politica economica e sociale che hanno indebolito i lavoratori e le lavoratrici e le loro rappresentanze all’interno delle imprese e nella società. Precarietà, lavoro somministrato, cottimo, caporalato, ricorso surrettizio alle partite IVA, tirocini, affitto di rami di impresa, forte ricorso al part-time, dumping contrattuale sono la rappresentazione del dissesto sociale e professionale di questi ultimi anni.
Nei Comuni in questi anni abbiamo assistito a massicce esternalizzazioni di servizi interni ed esterni. In buona parte rese necessarie dai tagli agli Enti Locali adottati, dai governi sia di centrodestra sia di centrosinistra. Scelte spesso obbligate, per i tagli, e talora consapevoli all’insegna dello slogan “più governo e meno gestione”. Tutto ciò si è tradotto in occasione per la riduzione dei costi di gestione, azzeramento delle complessità insite nella gestione e il governo e, nei fatti e spesso, in una riduzione consistente di salari e diritti. Sul piano amministrativo si può, quindi, fare non poco. Il nostro compito, per il lavoro, dovrà essere quello di fare scelte amministrative per sollecitare il sistema delle piccole e medie imprese, facendo crescere le realtà più innovative e di qualità, appoggiando senza mai rinunciare, con gli strumenti propri dall’urbanistica alle gare d’appalto, a privilegiare l’occupazione di qualità, contrastando i fenomeni di illegalità che attraversano anche la nostra economia.
La battaglia per il lavoro, quindi, si gioca sul fronte nazionale, regionale e locale.
Sul fronte nazionale fondamentali sono importanti le battaglie come il superamento del Jobs Act, la riconquista dell’art.18, lo ius soli/culturae, il superamento della Legge Bossi-Fini, il contrasto al “decreto sicurezza” di Salvini, la richiesta di un provvedimento di legge per riconoscere e regolarizzare migliaia di lavoratori e lavoratrici irregolari.
A livello regionale e locale occorre sostenere le iniziative messe in campo da Istituzioni e OOSS per sconfiggere questi fenomeni, richiamando le imprese e le Organizzazioni imprenditoriali (a partire da Confindustria) a comportamenti coerenti con quanto dichiarato e sottoscritto nelle diverse sedi istituzionali, con l’intento di tutelare il lavoro e la qualità del nostro tessuto produttivo.
Sul piano amministrativo va difesa e rilanciata della contrattazione di secondo livello, deve realizzarsi la lotta alla precarietà, va definito un adeguato piano occupazionale che tenga conto della possibilità di avere maggiori spazi per il turn-over, vanno garantiti il rispetto della clausola sociale e il riconoscimento dell’abolito art.18 dello Statuto dei Lavoratori, vanno re-internalizzati e gestiti direttamente o trasferiti allo Stato i servizi per lo svolgimento delle politiche strategiche degli Enti Locali, vanno superate in maniera definitiva le gare di appalto al massimo ribasso, va fatta una lotta senza quartiere al lavoro nero, irregolare, all’evasione fiscale e contributiva.

Gli Enti Pubblici devono, anche, usare tutta la loro moral suasion e il potere di indirizzo a carattere cogente nelle Società od Enti partecipati e controllati perché siano replicate le stesse politiche dirette di bilancio, del personale e nelle gare di appalto, precisi criteri, penalizzanti o premiali, per favorire il lavoro di qualità, anche nei confronti delle cooperative sociali.
La occupazione deve essere promossa anche dai comuni attraverso:
1. l’incremento dei servizi alla persona, anziani, handicap, servizi educativi e cultura
2. il superamento della precarietà in tutto il comparto pubblico
3. il mantenimento e la qualificazione dell’apparato produttivo e dei servizi
4. progetti di rigenerazione urbana con particolare riferimento al recupero di aree produttive e
commerciali dismesse e al riutilizzo di grandi insediamenti
5. piani per la messa in sicurezza delle costruzioni realizzate nel corso degli anni ‘50/’60/’80 coinvolgendo oltre alle proprietà Ordini professionali, Cooperative di abitazione, Fondazioni, Aziende partecipate;
6. la promozione di nuovi insediamenti produttivi o di servizi assumendo come parametri irrinunciabili la qualità del prodotto, del lavoro e dei diritti.
La riforma Monti ha liberalizzato le aperture degli esercizi commerciali. Tutto ciò ha sicuramente reso più agevole la gestione della spesa per molti cittadini e famiglie (molte di lavoratori) ma contemporaneamente ha portato un peggioramento delle condizioni di lavoro per i lavoratori del commercio. Il clima di dura concorrenza tra gli esercizi commerciali, specie i grandi commerciali, non ha consentito di vedere il lavoro domenicale o festivo adeguatamente retribuito e compensato con i riposi. Per noi la programmazione delle aperture commerciali deve tornare in capo ai comuni che devono avere l’obiettivo di programmare le aperture domenicali, attenuandone la frequenza, a rotazione, in modo tale da compendiare la comodità per i cittadini consumatori con la qualità della vita dei lavoratori del commercio.
Bisogna tornare a studiare, fare ricerca sui principali assi di intervento economico e sociali, del lavoro per la necessità di valutarne efficienza ed effetti finali sui destinatari: i nostri cittadini.
I “BENI COMUNI” DA DIFENDERE E DA RICONQUISTARE ALLA DISPONIBILITA’ COLLETTIVA PER LA DEMOCRAZIA E IL RECUPERO DI SOVRANITA’ DELE CITTADINE E DEI CITTADINI
I “Beni Comuni”, la loro difesa e, quando indicato, la loro riacquisizione al patrimonio collettivo, economico, culturale e politico sono il passaggio chiave per chiunque voglia tornare a dare una prospettiva di governo democratico secondo l’esclusivo interesse delle Comunità di appartenenza. I “Beni Comuni” vanno considerati come diritti fondamentali di “ultima generazione”, al pari dei diritti sociali e pertanto incastonati nelle leggi fondamentali e nella cultura giuridica e politica. I “Beni Comuni”, in tempi di globalizzazione non regolata e liberista, vanno difesi, quindi, tanto dal potere privato quanto dallo Stato, frequentemente esposto a crisi economico-finanziaria e “indotto” a privatizzare. Acqua, Ambiente, Salute, Cultura, Territorio, Trasporto Pubblico, Scuola e Università, Telecomunicazioni sono i “Beni Comuni” principali su cui esercitare una potente azione al servizio dei molti. Gli anni passati, vissuti anche a sinistra, sotto l’egemonia cultura e liberista, hanno visto estesi processi di privatizzazione, anche su monopoli naturali. Questi processi, solo in parte giustificati dalla carenza di risorse degli enti locali intrappolati in logiche economiciste, hanno trasferito o sottratto molte proprietà di tutti, trasferendo ricchezza e depotenziando o paralizzando la possibilità di confezionare politiche pubbliche dirette ed efficaci sul fronte della redistribuzione della ricchezza, della qualità della vita, dell’ambiente, della salute etc. In definitiva, i processi di privatizzazione insieme al calo dei salari e dei diritti, hanno contributo in maniera significativa all’aumento delle disuguaglianze e della povertà.
I “Beni Comuni” sono fondamentali per la democrazia e la partecipazione. La loro difesa è lotta democratica e lotta per la concretizzazione dei principi di libertà, solidarietà e comunità della nostra Costituzione.
E’ venuto il momento che le Amministrazioni Locali Pubbliche difendano, e laddove la esperienza di questi anni abbia portato a ritenere che sia prevalso l’interesse privato su quello pubblico, riprendano in mano gli strumenti per varare politiche efficaci attraverso il controllo democratico dei cittadini. Anche nel nostro territorio, progressivamente, abbiamo privatizzato o concesso che su alcuni “beni comuni” si impiantassero logiche esclusivamente o prevalentemente dedite alla generazione di profitto, talora anche attraverso un eccesso di finanziarizzazione. Va invertita la tendenza, per ragioni di efficienza, di efficacia e per sanare il vulnus democratico che vede i cittadini votare governi locali poi inermi dinanzi alla forza e alla potenza delle

aziende che gestiscono. Per alcuni beni solo la natura pubblica può garantire uguaglianza di accesso e fruizione e per questo devono divenire inalienabili e inconcedibili.
AMBIENTE E QUALITA’ DELLA VITA: RICONVERSIONE ECOLOGICA DELLA ECONOMIA, DEMOCRAZIA ENERGETICA PER CITTA’ E MOBILITA’ DOLCE PER PAESI SOSTENIBILI.
I cambiamenti climatici sono una realtà, oltre alla esperienza di ognuno di noi ci sono evidenze scientifiche oramai solide. Questi costituiscono una minaccia reale attuale anche a causa della fragilità in cui versano il nostro territorio, le nostre case e le nostre infrastrutture. Abbiamo l’obbligo di accelerare le scelte per cambiare il nostro modello di sviluppo praticando ogni scelta, dall’urbanistica, alla mobilità sino alle scelte sociali nel segno della conversione ecologica dell’economia. La conversione ecologica della economia è un potente motore di sviluppo capace di creare nuovi posti di lavoro stabili e diffusi, di rilanciare eccellenze manifatturiere locali scongiurando quindi lo spettro della decrescita, in genere non congeniale ad una redistribuzione eguale della ricchezza. I cambiamenti climatici sono l’evidenza di una esacerbazione di un modello di sviluppo già oggi insostenibile per la qualità dell’aria, per la sicurezza idro-geologica del territorio e in definitiva per gli effetti sulla salute e sulla qualità della nostra vita.
Nei nostri comuni, su base regionale, provinciale e sovracomunale dobbiamo costruire un Grande Piano Verde che punti nel medio e lungo periodo alla decarbonizzazione e alla economia circolare. Anche localmente nell’obiettivo dell’affrancamento dalle energie fossili, dobbiamo incentivare, in ogni modo e su ogni fronte amministrativo, un nuovo modello di “democrazia energetica” l’autoproduzione di energia pulita, in cui cittadini e comunità siano consumatori, produttori e distributori di energia pulita. A partire dalle amministrazioni comunali che devono ricorrere (acquistare) all’utilizzo di fornitori di sola energia pulita, a partire dai propri cittadini.
La strategia del “consumo di suolo a saldo zero” appare, a legislazione vigente, come la migliore per sfuggire alle logiche “nimby”, dare flessibilità alla gestione urbanistica della città e preservare il grande valore delle aree agricole e vergini delle città. Le città nel perimetro urbano consolidato non vanno incapsulate, perché corpi viventi, in continua evoluzione e adattamento alle nuove esigenze di qualità di vita, di lavoro, di mobilità e di socialità dei propri abitanti. Nel perimetro urbano la densificazione appare una opzione utile anche per facilitare i sistemi di trasporto pubblico locale e la ottimale distribuzione di servizi pubblici e privati, mettendo fine alla nascita di ipermercati. L’approccio, scientifico e non ideologico, deve vedere valutazioni multidimensionali che tengano conto, prima di ogni scelta dell’interesse pubblico e generale che può essere garantito solo con valutazioni costi-benefici basati, basata sulla sostenibilità ambientale, sociale, economica e democratica.
I piani urbanistici generali (PUG) vanno integrati con i piani per la mobilità sostenibile (PUMS) per evitare, nel processo di densificazione, solo di riempire gli spazi vuoti. Mobilità dolce (pedonale e ciclabile) e pubblica locale devono divenire gli assi strategici veri per l’abbattimento delle emissioni di gas serra e polveri sottili, in una provincia attraversata da due importanti autostrade (la Autosole e la Brennero). La mobilità privata, sempre più congestionata e irrazionale, deve vedere politiche serie di dissuasione così come quella dolce deve vedere politiche di premialità e facilitazione. L’aumento delle “zone 30”, delle aree pedonali (vere e anche in zone non centrali), riduzioni di carreggiata, priorità stradali agli utenti deboli pedoni o ciclisti, sono altri strumenti utili, indispensabili alla costruzione di PUMS a forte impronta ambientale e salubri.
La mobilità sostenibile è una grande sfida. Noi proponiamo un “Servizio Metropolitano Modenese” fondato sui seguenti punti:
1. un sistema di TPL formato da
◦ un asse principale costituito dalla rete ferroviaria e dalle linee extraurbane e urbane strategiche ad alta frequenza (5-8 minuti) e alta capacità, che colleghi i principali poli attrattori, con corsie preferenziali, tecnologie elettriche innovative;
◦ un asse secondario costituto dalle linee extraurbane e urbane “minori”;
◦ un asse di servizi collettivi (taxi, car-sharing)

2. Un sistema ferroviario Carpi-Modena-Sassuolo-Maranello riqualificando la Linea Modena-Sassuolo
3. Un sistema di mobilità ciclabile basato su:
◦ radiali principali, nuove ciclabili in carreggiata superando il conflitto bici-pedone e l’idea che la carreggiata sia uso esclusivo dell’auto;
◦ percorsi secondari di collegamento;
◦ depositi protetti per biciclette nelle grandi strutture, per dipendenti e utenti (ospedali, centri commerciali, uffici, scuole, etc.);
◦ diffusione di porta-biciclette nel territorio urbano;
◦ estensione della ZTL e delle zone a 30 km/h.
Un polo fondamentale di questo sistema è una vera stazione intermodale che va realizzata, come già previsto, con lo spostamento dell’attuale Autostazione di viale Molza nell’area che si libererà a seguito alla creazione dello scalo merci a Marzaglia.
Le grandi opere previste per il nostro territorio, oggi, a contesto attualizzato non sembrano essere risposte finalistiche, adeguate e sostenibili.
La Bretella Campogalliano-Sassuolo, progettata in modo invasivo nel Parco del Secchia, non appare giustificata dalla necessità della economia del Distretto Ceramico e non ha un profilo di sostenibilità economica oltre il primo tratto, utile a collegare lo Scalo Merci di Marzaglia con il sistema autostradale attuale. Il potenziamento della rete su ferro attraverso il collegamento tra Marzaglia e Dinazzano, il completamento della Pedemontana e la messa in sicurezza della attuale superstrada è la soluzione per offrire uno sbocco, sostenibile, per le produzioni del Distretto e la mobilità ordinaria delle persone.
Anche la Cispadana non mostra un profilo costi/benefici accettabile. Il collegamento del Distretto bio- medicale con il sistema autostradale è una esigenza vera, riconosciuta da tutti, ma la realizzazione di una autostrada appare sovradimensionata ed eccessiva rispetto alla opzione di un collegamento stradale adeguato, agevole e meno impattante.
L’ambiente più salubre, la promozione e la tutela della biodiversità e della natura in generale compreso il contrasto alla caccia, la bellezza del nostro paesaggio, delle nostre tradizioni, delle eccellenze eno- gastronomiche che in questo contesto sono divenute un marchio della nostra terra, delle nostra creatività devono divenire un segno nuovo in cui fare convergere, economia, cultura, rapporti umani, costumi e abitudini.
Riduzione della produzione di rifiuti, riuso e riciclo sono l’unica per ridurne lo smaltimento e l’impatto ambientale. Il nostro territorio ha progressivamente, quasi, superato il sistema delle discariche (la scelta peggiore secondo la letteratura scientifica ambientale e medica) ed è presente un inceneritore che brucia rifiuti locali ed extra-provinciali. E’ chiaro che va cambiata la legislazione sui rifiuti che consente il libero mercato per i rifiuti speciali, che “premia chi brucia” ma non premia chi, con l’ambito regionale e con il libero mercato dei rifiuti speciali, non vede la diminuzione delle quantità di rifiuti bruciati, nonostante gli sforzi sulla differenziata. Questo risulta come poco incentivante per i cittadini che si impegnano sulla differenziata. La forma delle aziende uniche che raccolgono i rifiuti e smaltiscono gli stessi non sembra essere quella più orientata a ridurre la quantità di rifiuti inceneriti. Pur comprendendo, alla luce della legislazione europea, che impone competizione e bandi (annunciati da anni ma non realizzati) per il sistema integrato dei rifiuti, la genesi delle trasformazioni societarie, in una parte ampia del territorio provinciale, scelta negli anni passati, sino alla forme della grandi multiutility quotata in borsa, esposta ai mercati e agli azionisti anche extra- istituzionali, non appare, oggi, come la più adatta per realizzare gli obiettivi di aumento della differenziata di qualità, del riuso e del riciclo. Su queste scelte, compiute negli anni, della fiducia incrollabile nel mercato e della, spesso finta, competizione su monopoli naturali (come per l’acqua) va aperta una riflessione seria che non escluda anche il progressivo scorporo della gestione dei rifiuti (e dell’acqua) riportandola sotto la piena gestione pubblica. Tutto ciò non può non vedere, perché sia solo ipoteticamente realizzabile, una adeguata nuova legislazione di scopo da parte del Parlamento e della Regione.
Sempre sul tema rifiuti, il 40% dei rifiuti marini deriva dalle plastiche monouso. L’ecosistema marino, anche la salute umana visto che le microplastiche e le nanoplastiche sono state riscontrate nei pesci, è in pericolo. L’economia circolare ha bisogno anche di azioni locali. Per questo, tenendo anche conto delle recenti raccomandazioni del Parlamento europeo, un obiettivo deve essere l’eliminazione, nel più breve tempo

possibile delle plastiche monouso, nelle strutture pubbliche non sanitarie o la loro sostituzione con plastiche totalmente biodegradabili.
ACCESSIBILE, DI QUALITA’, MODERNA E UNIVERSALE: E’ LA NOSTRA SCUOLA
La scuola, dai nidi alle scuole secondarie, è da sempre un bene strategico dei nostri territori. La qualità del nostro sistema formativo è un elemento centrale per la crescita individuale e collettiva della nostra società. Le politiche di genere e il ruolo delle donne dipendono molto dalla capacità di conservare e potenziare il sistema della scuola 0-6.
La scuola italiana è stata depauperata delle risorse necessarie per il suo funzionamento. Il più consistente taglio di risorse operato dalla Ministra Gelmini (Governo Berlusconi) non ha visto nessuna, o quasi, compensazione negli anni dei governi di centrosinistra. Siamo da anni agli ultimi posti in Europa per investimenti del settore, eppure nonostante le difficoltà, la Scuola ha affrontato, e risolto con un certo successo, sfide enormi come quelle dell’inclusione
Si è ritenuto di affrontare il tema Scuola con il classico approccio dirigista e regolatorio (cd “Buona Scuola”) aggirando le questione vere.
Il contrasto alla dispersione scolastica rimane una battaglia per l’uguaglianza fondamentale.
Abbiamo bisogno di una scuola popolata da insegnanti e personale Ata fieri dell’importante lavoro che svolgono, riconosciuti, stabili, pagati adeguatamente, che diano ai nostri figli il meglio delle loro capacità. Nella scuola si costruisce la qualità e la coesione della società.
L’alternanza scuola-lavoro deve vedere una completa revisione, per scongiurare fenomeni di utilizzo surrettizio in luogo di forza lavoro, per renderlo realmente al servizio dell’auspicabile collegamento tra scuola e mondo del lavoro senza ledere autonomia e indipendenza del sapere.
Serve un grande piano per l’edilizia scolastica in linea con il progetto di conversione ecologica.
I nostri nidi continuano ad offrire meno della domanda e questo influisce negativamente sulle scelte di vita, a partire dalla propensione alla procreazione, e lavoro delle donne. Il ricorso alle convenzioni con i privati ha allargato l’offerta ma rimane l’ostacolo della entità delle rette, in tempi in cui i salari si abbassano per la precarietà del lavoro e per una dinamica di competitività economica giocata sul valore lavoro. Occorre, quindi, insieme alla garanzia di un lavoro di qualità e adeguatamente remunerato, ampliare l’offerta di asili nido con rette inferiori alle attuali contrastando, quindi, la pericolosa tendenza della donna ad abbandonare il posto di lavoro (o a vederlo messo in discussione dal datore di lavoro) o a ricorrere, obtorto collo, al part-time per accudire i figli.
La scuola dell’infanzia nella nostra regione da anni garantisce la frequenza a tutti i bambini e le bambine. Trattandosi del primo investimento formativo, va resa sempre più qualificata e competitiva rispetto alla scuola privata, facendo intervenire lo Stato laddove i Comuni non riescono ad avere bilanci con risorse adeguate. La legge 107 (detta “Buona Scuola”) ha preteso di trasformare in azienda le scuole, creando competizione fra i docenti invece di stimolarli ad una cooperazione e condivisione degli obiettivi formativi per gli studenti. Il “Preside Manager”, assorbito completamente dalla rendicontazione economica e burocratica, senza tempo da dedicare alla promozione delle buone pratiche di insegnamento e alla formazione, che tutto decide ed impone dall’alto, sta generando, nel corpo insegnante, demotivazione e stress, riducendo lo stimolo alla sperimentazione didattico-metodologica che in altre epoche ha portato ad innovazioni formative eccellenti, come il tempo pieno e la scuola dei laboratori.
L’università e la ricerca nel nostro paese soffrono di un pesantemente sotto-finanziamento, che, unito ad un persistente blocco del turn over, ha portato a una contrazione complessiva del servizio, con un calo degli immatricolati e l’aumento della precarizzazione del personale docente e ricercatore. Alte tasse universitarie accompagnate da politiche insufficienti a sostegno del diritto allo studio determinano una selezione degli studenti per censo sempre più marcata.
Le amministrazioni che operano in territori in cui ci sono sedi universitarie devono intervenire su questo quadro in primo luogo favorendo la rimozione degli ostacoli maggiori al pieno esercizio del diritto allo studio. Questo significa operare in stretto coordinamento con l’Università per: garantire la disponibilità di alloggi a prezzi calmierati agli studenti fuori sede; programmare la mobilità nella città sede universitaria e con i Comuni vicini tenendo conto delle esigenze specifiche dell’organizzazione degli studi universitari; favorire la creazione di luoghi di ritrovo e di auto-organizzazione da parte degli studenti che diventino luoghi di elaborazione culturale, artistica e ricreativa.

I Comuni, anche in qualità di membri del Consiglio di Amministrazione di una Fondazione di origine bancaria, devono poi favorire la valorizzazione delle conoscenza e dei processi innovativi che possono emergere dall’Università, collaborando in particolare al potenziamento delle attività di Terza missione. Ciò significa, da un lato, favorire la trasformazione della conoscenza prodotta dalla ricerca in conoscenza utile a fini produttivi, che non deve essere esclusivamente guidata dalle imprese più autorevoli. Anche attraverso un adeguato disegno delle strutture di intermediazione e di supporto, che operano su scala territoriale. D’altro lato, non meno importante, favorire la condivisione di beni pubblici culturali (eventi, gestione di mostre e poli museali, divulgazione scientifica), sociali (che interessino ad esempio la salute pubblica, e altre attività a beneficio della comunità), educativi (nel campo della formazione continua, dell’educazione degli adulti) di consapevolezza civile (dibattiti e confronti pubblici su temi di attualità).
LA CULTURA, TRA COSMOPOLITISMO E DESIDERIO DI PROSSIMITA’. LA CULTURA, STRUMENTO DI CRESCITA, EMANCIPAZIONE E UGUAGLIANZA.
Stimolare il desiderio di partecipazione e far diventare la partecipazione culturale una pratica ordinaria, dettata dal più profondo bisogno: è questa la grande sfida per le politiche culturali pubbliche in un orizzonte complesso (complex foresight orizon) unitamente al no profit e alle industrie culturali e creative che operano secondo le logiche della responsabilità sociale della cultura, orientate dalla consapevolezza che non sono i pubblici a dover cambiare ma che è il sistema a dover adottare nuovi paradigmi.
Il filo conduttore di esperienze culturali che non sono autoreferenziali ma virtuose e promotrici di partecipazione si dirama attraverso alcune direttrici principali. Innanzitutto l’assunzione di responsabilità che i decisori politici e gli enti preposti ad attuare politiche culturali condividono con le imprese culturali sentendo preminente il dovere di investire energie e competenze per produrre benessere sociale. In secondo luogo accogliere la sfida di portare cultura e creatività fuori da dimensioni elitarie e autoreferenziali e da luoghi convenzionali di fruizione, di porle al servizio della società nei suoi aspetti più immanenti, di abilitarle a diventare leve risolutive di criticità sociali e asset valoriali per chi li produce e per chi ne beneficia. Infine, la condivisa consapevolezza di assumere una diversa concezione – e dunque adottare un rinnovato approccio – della partecipazione culturale: non sono i pubblici a dover cambiare ma è il sistema a doverlo fare.
In un sistema integrato fra decisore politico – soggetti privati – destinatari, diventa imprescindibile lavorare nella direzione della co-programmazione e co-progettazione culturale di sistema.
La cultura è un asset fondamentale non solo per lo sviluppo e l’emancipazione delle menti ma riveste un ruolo importante anche nel nostro sistema economico.
L’ente pubblico locale deve porsi l’obiettivo di sostenere con percorsi di valorizzazione le realtà esistenti sul territorio. L’impatto della cultura si trasforma in capitale sociale, sbocchi professionali, sviluppo e integrazione, scambio attraverso supporti a residenze artistiche.
Per noi la chiave è “fare rete”: rete territoriale (centro-periferia), rete istituzionali (fra soggetti che condividono il piano culturale della città) rete economica (soggetti imprese coinvolte nella ricaduta di filiera, e/o nella stessa progettazione ideazione) rete sociale (i destinatari che su diversi ambiti sono afferenti a ambiti sociali differenti).
Lo stesso decisore politico in ambito culturale deve riuscire a fare sintesi e coordinare in modo virtuoso l’ambito urbanistico, ambientale, del welfare, come si delineava prima, per dare in primis risposta a tendenze e indirizzi che sono quelli del futuro, ma anche per potere dare un senso complessivo all’azione dell’amministrazione.
La risoluzione del Parlamento Europeo ‘’Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa’’ coniugata con i principi ispiratori della Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa sul diritto di partecipazione dei cittadini alla cultura, possono rappresentare le grandi coordinate di riferimento su cui delineare un contesto di implementazione e sviluppo delle politiche culturali.
Altra fonte sono le ‘’Raccomandazioni’’ dei Colloqui Internazionali dell’edizione 2017 di “Ravello Lab” che consigliano, da un lato, un approccio di pianificazione strategica e di progettazione integrata e partecipata, e, dall’altro, la necessità di introdurre una nuova formula di impresa culturale, innovativa, sostenibile e in grado di tenere insieme risultati economici e valore sociale.

Specie per i giovani, vanno fatti investimenti su progetti che permettono di trasformare luoghi di trasmissione del sapere in luoghi aperti, flessibili, fruibili da più soggetti e radicati nel territorio, che significa rispondenti alle esigenze del territorio, che si riconoscono nelle politiche, perché intercettati nello sviluppo delle stesse. Le città, i comuni stanno cambiando. Talora casualmente, senza programmazione. Tutto appare concentrato sugli aspetti urbanistici, di rigenerazione, sui contenitori, dimenticandosi, spesso, dei contenuti e dei temi culturali in particolare, che spesso risultano pertanto parcellizzati, frammentati e asfittici, senza un respiro strategico. Dobbiamo tornare a programmare partendo da questi ultimi, con la ossessione dello sviluppo culturale informato ad alcune coordinate integrate imprescindibili: sviluppo urbanistico, ambiente, welfare, centro-periferia.
Nei nostri territori esiste un vasto patrimonio di entità, associative e di impresa, che impongono, proprio nella idea di una strategia unica, alleanze, collaborazioni e partenariati per la programmazione e la gestione dei beni e sevizi collegati alla cultura. Natura pubblica, per noi prevalente come garanzia di perseguimento degli obiettivi generali e collettivi di un “bene comune” come la cultura, entità associative e di impresa e comunità insieme in progetti e modalità di gestione volti a legare patrimonio, diritti umani e democrazia. E’ l’uso aperto, fruibile e la genesi democratica che conferiscono qualità al diritto alla buona cultura e alla conoscenza configurando uno diritto di “nuova generazione”, come l’acqua, la salute, la scuola, l’ambiente. I diritti culturali, il patrimonio, la diversità e la creatività sono ormai componenti fondamentali dell’incrocio tra sviluppo sostenibile, cultura e città.
La cultura, come ci dice l’Agenda ONU 2030, è un elemento imprescindibile nelle nuove città sostenibili. Creatività e innovazione culturale al servizio della crescita, della responsabilità, della integrazione, del senso di comunità e del futuro condiviso sono elementi centrali nella idea di città e comunità sostenibili. Gli aspetti culturali sociali e civili, tra cui “la partecipazione attiva alla vita culturale, lo sviluppo delle libertà culturali individuali e collettive, la salvaguardia di eredità culturali tangibili e intangibili, la protezione e la promozione di diverse espressioni culturali”, sono sempre più componenti fondamentali dello sviluppo umano, sociale e civile di città ed aree intere in chiave sostenibile.
Solo richiamandosi agli obiettivi di Agenda 2030 si possono delineare le linee guida di quella che deve essere una sfida per il nostro futuro:
● 4.7 si riferisce all’obiettivo di assicurare che tutti gli studenti acquisiscano le conoscenze e le abilità necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile, incluso, tra l’altro, attraverso l’educazione alla cittadinanza globale e l’apprezzamento della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile;
● 8.3 riguarda la promozione di politiche orientate allo sviluppo che supportino le attività produttive e, tra gli altri, la creatività e l’innovazione;
● 8.9 e 12.b si riferiscono alla necessità di ideare e attuare politiche per promuovere il turismo sostenibile, anche attraverso la cultura e i prodotti locali, e alla necessità di sviluppare strumenti di monitoraggio adeguati in questo settore;
● 11.4 sottolinea la necessità di rafforzare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo.
Ogni città, ogni amministrazione sviluppa una politica degli eventi. Dal grande evento a eventi di piccole dimensioni. L’obiettivo deve essere l’integrazione, in una logica culturale che non può fondarsi sul “mordi e fuggi”, ma che si riflette e interagisce con i settori culturali della città.
In campo culturale il festival risulta sempre di più la scatola per propria natura flessibile, ecumenica, indefinita e versatile, nella quale fabbricare nuovi linguaggi espressivi senza dimenticare la valenza politica, commerciale e sociale dell’arte.
FERMIAMO LA PRIVATIZZAZIONE STRISCIANTE, PER NOI LA SALUTE DEVE ESSERE PUBBLICA E UNIVERSALE. SERVONO NUOVE RISORSE PER GARANTIRE PARITA’ DI ACCESSO E CURA A TUTTI. SERVONO NUOVE RISORSE PER MANTENERE QUALITA’ E SICUREZZA DEL NOSTRO SISTEMA SANITARIO REGIONALE.
E’ in atto una privatizzazione strisciante del Sistema Sanitario Nazionale causata dal de-finanziamento. Il sistema sanitario pubblico e universale, orgoglio della nostro territorio, pur mantenendo livelli di qualità apprezzabili mostra, anche da noi, un progressivo arretramento. L’aumento della spesa privata (out of pocket) assoluta e relativa rispetto a molti paesi sviluppati, evidenzia che le cittadine e i cittadini per assicurarsi esami e cure devono ricorrere a risorse proprie. Ovviamente chi non le possiede è costretto a rinunciare a esami e

cure. Sempre di più le assicurazioni e il cosiddetto welfare aziendale (la cosiddetta “seconda gamba” a disposizione solo dei lavoratori di grande e ricche aziende) divengono sostitutivi e non integrativi, come si prometteva. Entrambi i sistemi “privati” mostrano anche forti criticità di appropriatezza delle strategie di prevenzione e cura proposte che si traducono spesso in fonte di ulteriore carico per il Sistema Sanitario Nazionale. A fronte di una popolazione che vive di più (ma non aumentano, parallelamente, gli anni privi di malattia), di tecnologie e farmaci sempre più costosi assistiamo ad un preoccupante calo delle risorse. Calo delle risorse e blocco del turn-over sono alla base del calo di personale (con stipendi fermi da anni per contratti locali e nazionali fermi o negletti), migrazioni dei professionisti migliori nel privato, tagli, non sempre scientificamente ineccepibili, dei posti di ricovero ordinario o giornaliero specie in aree disagiate, distribuzione dei servizi in maniera non ottimale che costringe i cittadini alla mobilità privata (e costosa), liste di attesa ancora problematiche nonostante le ingenti risorse conferite ai privati, stipendi per dirigenti e personale sanitario, tecnico e amministrativo fermi da anni sono l’ubi consistam del netto decremento della natura pubblica e universale del nostro sistema salute. Ci vogliono risorse economiche dalla fiscalità generale, dallo Stato centrale, da impiegare e investire per garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, per l’assunzione di personale oramai scarso e invecchiato, per l’acquisto di tecnologie e farmaci per garantire equità di accesso e pari opportunità di cura a tutti i nostri cittadini e cittadine. Senza nuove risorse il resto passa sotto la voce “razionalizzazioni” ma va letto come “razionamenti”. Non meno rilevante è il tema della mancanza di medici (40.000 è la stima) che da qui a pochi anni porterà a carenze gravi di figure specializzate nei territori, negli ospedali e negli ambulatori. Va fatta una riflessione seria sul numero chiuso a Medicina, vanno aumentati i fondi per il diritto allo studio e va aumentato il finanziamento del fondo per i posti nelle scuole di specializzazione, specie nelle branche più carenti, perché è essenziale e perché non si possono fermare le legittime aspirazioni professionali dei laureati in medicina.
I segni preoccupanti non mancano anche nel nostro territorio: quando un sistema sanitario avanzato, come il nostro, realizza una sala operatoria o un hospice per malati terminali con cene di beneficenza (ovviamente nulla da dire sui professionisti e sui cittadini che le stanno realizzando ai quali va ammirazione e riconoscenza) vuol dire che abbiamo problemi seri, anche sugli investimenti essenziali per la qualità delle cure.
Dobbiamo riprendere in mano le parole d’ordine degli anni passati, la cultura e l’unità di intenti che ci hanno portato a costruire un sistema di prevenzione e cura della salute considerato al top da molte agenzie pubbliche nazionali e internazionali, per efficienza di costi, equità di accesso e universalismo.
LA COESIONE SOCIALE E L’UGUAGLIANZA SI OTTENGONO SOLO CON UN SISTEMA DI WELFARE UNIVERSALE. POLITICHE SOCIALI SPECIFICHE ED EFFICIENTI PER CONTRASTARE LE INGIUSTIZIE SOCIALI
La giustizia sociale
La cittadinanza sociale che si esprime mediante un sistema di protezione collettiva per tutto l’arco di vita è chiamata a nuove e inedite sfide come le:
• trasformazioni socio-demografiche, come l’allungamento della speranza di vita (con una conseguente crescita del bisogno di assistenza pensionistica e sanitaria), la riduzione della natalità, l’aumento dell’instabilità delle convivenze, l’aumento dei flussi migratori e delle difficoltà di inserimento di masse eterogenee di migranti;
• trasformazioni economiche e del mercato del lavoro, come la liberalizzazione dei mercati, la diminuzione dei posti fissi e una maggiore instabilità ed eterogeneità occupazionale;
• trasformazioni istituzionali che riflettono un indebolimento delle capacità regolative degli stati nazionali e favoriscono forme di decentramento territoriale, sostenute dalla Commissione Europea.
In questo quadro siamo di fronte a due visioni: una che affronta i problemi attraverso monetizzazioni, con logica paternalista e restringendo sempre più i confini degli interventi, l’altra che vede l’impegno ad allargare e innovare le protezioni necessarie in una società che cambia velocemente.
Intendiamo lavorare per un nuovo welfare che, senza dimenticare la necessità di scelte coerenti a livello nazionale per combattere le disuguaglianze territoriali, sia da intendersi, come vero e proprio investimento sociale fondato sulla partecipazione, la condivisione e su nuove forme di solidarietà.
Pensiamo ad un welfare basato sull’universalismo delle prestazioni che riduca radicalmente le disuguaglianze, capace di produrre oltre che protezione realizzi coesione sociale e inclusione.

Crediamo in un welfare universalistico che sviluppi salute attraverso la prevenzione e la cura, che rivaluti la domiciliarità e valorizzi le residue capacità delle persone rendendole il più autonome possibile.
Le caratteristiche di questo nuovo welfare dipendono dalla mobilitazione dei cittadini a favore di nuove forme di partecipazione e solidarietà a livello locale, ma anche, allo stesso tempo, dalla capacità degli attori pubblici di integrare le esperienze locali innovative in un quadro di diritti sociali universalistici orientati a contrastare diseguaglianze e discriminazioni, impegnandosi così concretamente alla realizzazione i principi costituzionali posti a presidio e garanzia della piena cittadinanza e del diritto di ogni persona di perseguire il proprio progetto di vita.
Politiche delle casa
Le politiche pubbliche per la casa sono essenziali, sono uno dei pilastri fondamentali per tutte le strategie di coesione sociale, di uguaglianza e pari opportunità specie per la fasce di popolazione più povera.
La povertà, la riqualificazione e rigenerazione urbana delle città e delle periferie, l’aumento dell’offerta abitativa a canone sociale, sono le questioni che devono essere messe al centro dell’agenda politica locale e nazionale. C’è bisogno di dare una casa a costi sostenibili ai giovani, spesso con lavoro precario, alle giovani coppie, ai lavoratori e agli studenti che vengono nella nostra città.
Va riaffermata la centralità del ruolo calmieratore e sociale dell’edilizia residenziale pubblica che deve dare risposta abitativa alle famiglie economicamente più deboli. Il canone deve essere rapportato al reddito per garantirne la sostenibilità. In questo appare fondamentale continuare a sviluppare l’Edilizia Residenziale Pubblica, programmando anche il mix sociale all’interno dei quartieri per facilitare l’inclusione, per evitare i ghetti e il degrado.
Per dare risposte all’emergenza abitativa è importante anche, sviluppare ulteriormente a livello locale “l’Agenzia Casa dei Comuni” con affitto calmierato, cercando alloggi sfitti dai privati, dagli enti previdenziali, dalle banche, dalle cooperative e ditte edili. E’ importante incentivare questo canale con l’utilizzo di sconti fiscali e con l’applicazione di varie garanzie per il proprietario. L’Agenzia Casa sembra essere la modalità ideale per dare risposta, anche, alla domanda, oggi inevasa ed esosa, di alloggi/stanze da dedicare all’affitto per studenti universitari, introducendo una forma di “affitto concordato per studenti”.
Va ripristinato il fondo sociale per l’affitto e il fondo per la morosità incolpevole con finanziamenti adeguati e strutturali. Serve una politica territoriale che ponga l’accento sulla qualità dell’abitare, del vivere e del buon uso del territorio.
Social housing per l’affitto permanente e di lunga durata e co-housing, sono forme dell’abitare che rispondono ad obiettivi sociali e comunitari che devono vedere la promozione e il sostegno pubblico, delle amministrazioni locali, provinciali e regionali.
LA QUALITA’ DELLA DEMOCRAZIA PASSA DALLA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI. DEMOCRAZIA DIRETTA, DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, DEMOCRAZIA DELIBERATIVA PER LA SOVRANITA’ PIENA DEI CITTADINI. LA DEMOCRAZIA A BASSA SOGLIA.
Da diversi anni si discute della crisi del sistema rappresentativo e della conseguente necessità di garantire una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica della comunità, partendo dal presupposto, ormai intollerabile, della sempre minore partecipazione dei cittadini alle elezioni e quindi alla distanza tra elettori ed eletti. La minore partecipazione degli ultimi anni, a tutte le elezioni comprese le amministrative, la crisi della politica e dei partiti hanno portato i Comuni a non vedere rappresentate le intere comunità, nei propri consessi elettivi ed esecutivi. Per anni democrazia rappresentativa e diretta sono state proposte come forme contrapposte di democrazia: è venuto il momento di superare questa contrapposizione, introducendo forme di cooperazione e integrazione con l’obiettivo supremo di aumentare la sovranità dei cittadini attraverso l’incremento della partecipazione, sia che essa si esprima in forma delegata sia che si esprima in forma diretta o financo deliberativa. Istanze, petizioni, delibere di iniziativa popolare, istruttorie pubbliche, referendum consultivi (senza soglia), abrogativi o propositivi (a soglia pari al 50%+1 dell’affluenza alle ultime elezioni), assemblee o comitati di quartiere con funzione propositiva o, talora, deliberativa, sono strumenti da modulare, a seconda della grandezza dei comuni, per realizzare un “sistema integrato di democrazia a bassa soglia”. I Quartieri o Rioni vanno rifunzionalizzati, dopo la cancellazione ad opera delle destre, non possono essere solo delle emanazioni decentrate delle amministrazioni con funzioni amministrative decentrate ma

vanno investiti e rese protagonisti di processi partecipativi, specie sui temi della urbanistica, della mobilità, della cura del territorio, della sicurezza, dei servizi, della socialità e della cultura e più in generale della qualità del vivere. Senza partecipazione attiva diretta dei cittadini, non solo nei partiti e nei movimenti di riferimento, singola o associata sono elementi imprescindibili senza i quali il senso e lo spirito di comunità non si realizzano. Attraverso la qualità della democrazia e la partecipazione passa anche, oltre alla legittimazione, la effettività e la realizzabilità delle scelte amministrative, che si giovano anche del processo di generazione delle scelte. Più un processo di generazione di una scelta amministrativa è ampio, partecipato e condiviso in fase di processo più è alta la qualità di quella scelta e la possibilità che si inveri.
La Costituzione attribuisce ai partiti un ruolo fondamentale nella democrazia di tutti i giorni, nella dialettica politica e nei processi di definizione delle scelte. Non abbiamo condiviso la penalizzazione del loro ruolo che si è voluto, demagogicamente, creare con l’abolizione di ogni forma di sostegno pubblico. A livello locale ai partiti, ai movimenti, ai comitati referendari nazionali e locali formalmente costituiti va data la possibilità di utilizzare gli spazi o le sale civiche senza oneri, facilitando quindi l’accesso e condizionandolo, sul modello di molti comuni in Italia, alla dichiarazione di rispetto integrale delle Costituzione Repubblicana e Anti-fascista nata dalla Resistenza e dalla Lotta di Liberazione. Anche questo contribuisce a realizzare quel sistema di “democrazia a bassa soglia” al servizio della sovranità e della partecipazione citato in precedenza.
Un altro vulnus democratico, sempre in chiave demagogica, è stato il progressivo svuotamento di risorse, personale e democrazia degli Enti Province che si è realizzato con il processo, bocciato dagli italiani il 4 dicembre 2016, della revisione costituzionale e della Legge Delrio. Le Province continuano a riscuotere tasse dai cittadini, come prima, e ad assumere decisioni politiche in importanti materie come la scuola, la viabilità, l’urbanistica senza il controllo democratico diretto dei cittadini. Al più presto va ripristinata la elezione diretta del presidente e del consiglio.
Questi cambiamenti fondamentali, sul fronte della democrazia diretta, daranno l’opportunità a chiunque, comitati o associazioni, partiti, movimenti o gruppi di singoli cittadini, di promuovere delle iniziative e misurarsi con il consenso democratico sulle proposte che avanzeranno, certificando in modo chiaro la volontà dei cittadini stessi a prescindere dai proclami dei social media che stanno diventando uno specchio deformato della volontà popolare e democratica del nostro paese e della comunità modenese.
Associazionismo di diverso tipo a carattere civico, sociale, ambientale ma anche la partecipazione sporadica del singolo cittadino o gli “spazi sociali” con finalità mutualistiche o culturali al servizio della nostra Comunità, costituiscono un grande serbatoio democratico delle nostre terre che hanno diritto a cittadinanza, luoghi pubblici (anche fuori dalle burocrazie formalistiche, in trasparenza di scelte), ascolto, interazione e partecipazione nella definizione delle scelte amministrative.
Sul modello di quanto è avvenuto in comuni della nostra regione (Bologna) vanno introdotte forme di mutualismo collaborativo tra cittadini, gruppi di cittadini e amministrazione volti al recupero e custodia di luoghi della città abbandonati, stabili degradati da portare a recupero con un patto partecipativo di collaborazione che preveda lo scambio recupero e “concessione/utilizzo” dello spazio stesso.
LA LEGALITA’ E IL CONTRASTO ALLE MAFIE SONO OBBIETTIVI DI LIBERTA’ E UGUAGLIANZA
La corruzione, le mafie, l’illegalità sono determinanti che impattano sullo sviluppo, sulla libertà individuale ed economica, sulla trasparenza, sulla qualità del lavoro e dell’ambiente e quindi, in definitiva, sulla competitività generale di un territorio. Combatterle oltre che un obbligo morale è un imperativo per garantire un futuro prospero alle nostre comunità.
La legalità costituzionale da cui discendono precise disposizioni di etica pubblica, articoli 54 e 97 della Costituzione, il rispetto delle leggi sono presidi e garanzia di libertà e uguaglianza. Le piena attivazione delle Amministrazioni locali, dalle professioni e dalla Società Civile sono essenziali in questa battaglia.
Tutti gli studi, a aprire dagli anni ’90 sul clan dei casalesi nell’edilizia e le inchieste e le sentenze della Magistratura dimostrano, senza ombra di dubbio, che i nostri territori sono oggetto di interesse e di attività delle mafie. La recente sentenza Aemilia, con 118 condanne, certifica che le mafie, dei colletti bianchi ma non solo, sono da tempo presenti e attive in diversi campi delle economia e della Pubblica Amministrazione, lambendo o in alcuni casi con la complicità, organica o sporadica, della politica. Una politica, nei nostri territori, nei decenni passati, resistente o tetragona alle lusinghe mafiose ma oggi esposta e disposta alla collaborazione anche perché alla ricerca di risorse per finanziarsi.

Per noi i beni confiscati alle mafie vanno conferiti ai Comuni che devono provvedere alla restituzione ai legittimi proprietari: i cittadini, attraverso l’uso sociale. Anche nei governi locali ci opporremo in ogni modo, in linea di principio e per il rischio di riacquisto da parte delle mafie stesse, alla vendita nel mercato di questi beni.
Le gare di appalto della PA sono uno dei punti principali in cui la criminalità organizzata può trovare un locus minoris resistentiae per infiltrarsi e fare affari. Il “massimo ribasso” è forse la porta di entrata di maggiore pericolosità. Le white list, l’offerta economicamente vantaggiosa, l’inserimento di criteri premiali per il lavoro regolare e sicuro, la penalizzazione per chi ricorre al sub-appalto e altre misure di questo tipo rappresentano valide barriere alla penetrazione delle mafie e delle imprese inaffidabili.
Non meno importante è l’attività di divulgazione, educazione e formazione alla legalità e al contrasto alle mafie. Insieme allo studio della Costituzione e alla educazione civica sono un caposaldo irrinunciabile. Docenti, studenti e cittadini vanno resi edotti dei pericoli della corruzione, delle mafie e resi protagonisti di una grande azione di generazione di una vasta e diffusa cultura della legalità e antimafia.
Nelle tradizionali attività della criminalità c’è il gioco d’azzardo clandestino che insieme a quello legale (lo Stato biscazziere) sta devastando la vita e la salute di migliaia di nostri concittadini. Sul cosiddetto azzardo legale (VL, Slot e “gratta e vinci”) vanno potenziate ed estese le politiche di prevenzione e riduzione del danno sin qui definite dalla Regione e dai Comuni a partire dalle norme di distanza dalle scuole e dai luoghi sensibili, dalla tracciabilità del gioco con tessera sanitaria.
Particolarmente pericolose appaiono le nuove mafie straniere dedite alla tratta di esseri umani, prostituzione, allo spaccio e all’usura. Il carattere transnazionale commisto ad elementi di dipendenza legati alla trascendenza e ai riti di provenienza (Africa sub-sahariana e America Latina) rendono particolarmente insidiose queste organizzazioni. Vanno contrastate con adeguate attività di intelligence delle forze dell’ordine che anche per questo, oltre che per il presidio ordinario del territorio, vanno potenziate adeguatamente.
La attività di prevenzione e contrasto della corruzione, delle mafie e della illegalità si giova, oltre che di un profilo etico alto della politica e dei politici, anche di scelte pratiche e comportamenti trasparenti e rigorosi da parte delle Pubbliche Amministrazioni, del mondo delle professioni, delle associazioni economiche di categoria. Pratiche di prevenzione previste nei Piani Anti-corruzione obbligatori della PA e codici etici degli amministratori (sul modello della “Carta di Pisa o di Avviso Pubblico”, reti associative e di cooperazione per la riduzione delle stazioni appaltanti, gestione degli appalti senza ricorso al criterio del massimo ribasso, limitazione dei sub o sub-sub appalti, ispezioni sui cantieri di lavoro alla ricerca di irregolarità e/o lavoro nero, codici etici degli ordini professionali e delle associazioni di imprese e osservatori provinciali sugli appalti, promozione nelle scuole, nelle università e nei comuni della cultura della legalità, partenariati con le associazioni che si occupano di legalità e di contrasto alle mafie sono strumenti indispensabili per fare prevenzione e contrasto della corruzione e illegalità.
I comuni più piccoli spesso non hanno le competenze o il personale per approntare dei Piani Anti-corruzione efficaci e, non infrequentemente, si limitano a fare un “copia e incolla” o ad una applicazione burocratica e quindi inefficace. Le competenze, le capacità e le buone pratiche dei comuni più grandi devono divenire patrimonio di tutti. Le sedi in cui questo deve avvenire è un ente sovraordinato come la Provincia o le Unioni dei Comuni dove costruire “Reti dei Responsabili Anti-corruzione” per l’applicazione integrale ed efficace delle norme previste sin dal 2012. Va costituito un Tavolo provinciale in cui Istituzioni, imprese, ordini professionali, università, sindacati, associazioni riconosciute, che si occupano di promozione della legalità e contrasto alle mafie, trovino interazione e cooperazione. Anche ai politici vanno offerti percorsi di sensibilizzazione e formazione.
Anche qui, nei nostri territori, oltre alle white list che si sono dimostrate efficaci nella ricostruzione post- terremoto, abbiamo bisogno che le associazioni di imprese e gli ordini professionali adottino codici etici stringenti. La concorrenza sleale che passa dalla corruzione di un funzionario pubblico è un fenomeno nefasto che danneggia la economia sana e condiziona negativamente lo sviluppo economico del nostro territorio.
LA SICUREZZA DEI NOSTRI CITTADINI PASSA DA UNA GIUSTIZIA CHE ASSICURI PENE ADEGUATE E CERTE, DAL RINFORZO DELLE FORZE DI POLIZIA SUL TERRITORIO, DALLE RISPOSTE SOCIALI, URBANISTICHE, CULTURALI E DALLA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI.

A fronte di statistiche ufficiali che certificano una tendenza al calo, da anni, dei reati di ogni tipo, compresi quelli predatori, che interessano le fasce più esposte di popolazione, la insicurezza è diffusa ed è un problema delle nostre comunità. La genesi di queste paure è complessa e non è scevra dalla influenza della insicurezza sociale legata alla instabilità e della precarietà del lavoro e dal peggioramento complessivo delle condizioni di vita delle persone. La genesi multifattoriale richiede risposte di diverso tipo, preventivo, alle persone, sul contesto urbano, sulla sua vivibilità, sulla salubrità e sul decoro, di contrasto territoriale e di intelligence delle forze dell’ordine e della magistratura, sulla certezza delle pene anche per i reati, cosiddetti minori. Lo stato della giustizia, il sottodimensionamento delle forze di polizia sul nostro territorio (mancano circa 90 poliziotti rispetto a 15 anni fa!), lo stato dei mezzi e degli strumenti in uso alle forze di polizia sono obiettivamente una delle cause principali del deficit di risposta sul contrasto e intelligence. Spaccio di droga, furti, scippi, prostituzione, usura, frodi sono le tipologie di reato che più spaventano i nostri concittadini. Vogliamo essere chiari: per la loro natura, complessità, transnazionalità, ricorso alla finanza di supporto, contiguità con le mafie italiane e straniere, non c’è misura civica urbanistica, ambientale o partecipativa che possa vicariare il ruolo delle indagini e del contrasto che solo la magistratura e le forze dell’ordine possono svolgere. Agli Enti Locali tocca svolgere il ruolo, sicuramente rilevante, delle misure per la qualità della vita, della socialità, della partecipazione con l’obiettivo di riprendersi degli spazi urbani, spesso degradati, inattuali, oggi frequentati o utilizzati dalla delinquenza. Questi territori debbono tornare a programmare le proprie politiche urbanistiche, sociali, della cultura, degli spazi per l’associazionismo e la cittadinanza attiva al servizio della qualità della vita e della sicurezza dei cittadini. L’occasione, per la parte di programmazione urbanistica, è costituita dai nuovi Piani Urbanistici Generali dei comuni, da realizzare secondo la Legge Urbanistica Regionale 24/2017, per il 1 gennaio 2021.
SPAZI DI SOCIALITA’, AGGREGAZIONE, SPORT DI BASE E MUTUALISMO: DA UN MODELLO COL TEMPO DIVENUTO ECCESSIVAMENTE BUROCRATICO ED ECONOMICISTA AD UN MODELLO SOCIALE APERTO
Il livello di pratica sportiva a Modena, ed in tutta la provincia, sia a vocazione agonistica che a vocazione di sport per il benessere, è ancora alto, in termini di praticanti e di pluralità di offerta, nonostante le minori disponibilità economiche delle famiglie. Il modello sportivo ed, in generale, associativo modenese, negli anni di un volontariato che si esprimeva contemporaneamente sia sul piano politico che su quello sociale, si è giovato molto, in termini di coesione sociale, degli spazi e di strutture pubbliche edificate o trasformate in Polisportive/Polivalenti. Questo modello, salvo poche eccezioni e con non pochi sacrifici etici (spazi concessi a banche e sale slot) e di finalità pubblica (forte presenza di gestioni private profit), è oggi in profonda crisi. Il profilo, in alcuni per necessità di bilancio e ciò va compreso, è divenuto con gli anni sempre più economicista e burocratico al punto da costituire uno sbarramento per molti giovani e cittadini intenti in attività sociali, culturali, mutualistiche, associative di diverso tipo. Calo del volontariato, meccanismi di affiliazione e costi delle attività (iscrizioni, visite mediche etc), trafile burocratiche ed una certa ricerca della “omogeneità o della compatibilità politica” con il sistema politico e culturale hanno progressivamente ristretto il campo della partecipazione e della fruizione di questi importanti presidi territoriali. E’ venuto il tempo di aprire queste strutture e di crearne delle altre, provando a costruire meccanismi più aperti, fruibili, meno selettivi a realtà ritenute marginali (tipo centri sociali), introducendo anche forme di mutualismo sociale, sanitario, culturale e di autogestione compatibile. Attualmente gli spazi di proprietà pubblica che ospitano realtà associative non sempre vedono assegnazioni legate alla consistenza, al tasso di attività e alla rilevanza pubblica. In uno schema di apertura, con la sola discriminante di rispetto per i valori della Costituzione Repubblicana nata dalla Lotta di Liberazione e quindi dell’antifascismo, vanno rivisti gli stessi criteri di assegnazione, privilegiando il perseguimento di obiettivi a maggiore impatto sull’interesse pubblico di tipo sociale, culturale, aggregativo, sportivo di base.
Altri spazi di attività e socialità possono essere generati se si coniuga la necessità di recupero di aree e strutture degradate di proprietà pubblica o privata in concessione al pubblico e affidate a cittadini che con la Amministrazione stringono un “patto di collaborazione” (sul modello di quanto avvenuto in questi anni a Bologna). Questa può divenire una vera e propria politica urbanistica, un asset strategico dei nuovi Piani

Urbanistici Generali previsti dalla nuova legge regionale (24/2017) in cui recupero/rigenerazione, utilità sociale e partecipazione dei cittadini trovano una sintesi ad alto valore aggiunto pubblico.
I COMUNI DIGITALI
La rete, internet è stata una rivoluzione che ha ridefinito lo spazio pubblico e privato, i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Il mondo è divenuto accessibile, ha accresciuto potenzialità di crescita individuali e collettive, ha generato opportunità di conoscenza ed economiche in un contesto potenzialmente democratico, anche se insidiato, specie sui social media, da società che attraverso la rete accumulano dati personali, sanitari, di consumo, di abitudini da utilizzare, senza consenso, per fini speculativi. Al netto dei, potenzialmente gravi, problemi legati all’utilizzo dei dati rastrellati e profilati per finalità speculative senza consenso o per fini di interferenza politica, il diritto alla rete, senza alcuna discriminazione tra cittadini e imprese deve esser garantito a tutti. Le nuove tecnologie offrono straordinarie opportunità di crescita, di interazione con la Pubblica Amministrazione, di limitazione della mobilità privata inutile (telelavoro etc), di apertura al servizio del nuovo modello di sviluppo da pensare per le nostre comunità.
Oggi l’accesso al web è da considerarsi come uno strumento importante perché attiene alla effettività dei diritti fondamentali.
Le nostre comunità devono vedere investimenti volti a consentire l’accesso libero e paritario alla risorsa rete. Ogni persona ha il diritto alla protezione personale dei dati che la riguardano per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza per cui vanno impedite gestioni private di dati sensibili o utili a profilare comportamenti consumeristici o politici.
IMMIGRAZIONE: UNA NUOVA LEGISLAZIONE PER UNA GESTIONE RAZIONALE E UMANA
Anni di politiche estere dell’occidente in Africa (nel Maghreb o sub-sahriana) e nel Medio-Oriente hanno prodotto guerre e povertà che hanno mosso milioni di donne, uomini e bambini verso l’Europa. Se a questo si aggiunge l’effetto della demografia, dei cambiamenti climatici, della desertificazione, il calo dei fondi per la cooperazione e lo sviluppo calati considerevolmente negli anni, le migrazioni appaiono un evento pressoché inevitabile e stabile, seppure alternante in entità e tipologia. Non siamo, quindi, dinanzi ad un fatto episodico od emergenziale ma dinanzi ad un fenomeno con il quale bisognerà attrezzarsi stabilmente. In questi anni, con le grandi sanatorie di irregolari dei governi di destra e dal 2004 con la Legge Bossi-Fini, il nostro Paese ha deciso di non governare con intelligenza e pragmatismo il fenomeno. Si calcola che in Italia ci siano 500.000- 600.000 irregolari. Proprio in questi giorni è stato approvato il Decreto Salvini che attraverso misure, chiaramente incostituzionali, produrrà ulteriori irregolarità e marginalità, a causa della cancellazione dei permessi umanitari e la riduzione ai minimi termini del sistema Sprar, gestito dai comuni, sin qui il miglior sistema pubblico di integrazione. Il risultato di queste politiche, largamente propagandistiche, buone per fare consenso, solleticando i peggiori istinti xenofobi e razzisti, mettendo poveri contro poveri. In un quadro di questo tipo parlare dei Centri per il Rimpatrio (CPR) come misure utili alla gestione del fenomeno della irregolarità, create ed alimentate ad arte perché utili alla propaganda e al consenso della destra salviniana, anche bloccando esperienze come quelle di Riace e Mimì Lucano, è surreale. I CPR, a Modena li abbiamo sperimentati col disastro del CIE, sono una misura cosmetica, dai costi umani e dei principi costituzionali, intollerabile. Al CPR a Modena noi diciamo no!
Il fenomeno migratorio va gestito con intelligenza, razionalità, umanità e rispetto delle, nuove regole, che questo Paese dovrebbe darsi. Abbiamo bisogno di una nuova legge che preveda il rispetto delle regole e garantisca percorsi di integrazione, gestiti dagli Enti Locali, sul modello Sprar. Va varata al più presto una norma nazionale che regolarizzi chi in questo Paese lavora, spesso in nero nei campi o nei cantieri edili, trasformi in cittadino con diritti e doveri, chi paga le tasse, i bambini nati in Italia con un percorso di studi elementari nel nostro Paese (ius soli/culturae), chi accudisce i nostri anziani. Vanno velocizzati i tempi per la risposta alle domande di cittadinanza, va concesso il diritto di voto amministrativo a chi risiede nel nostro regolarmente da più di 5 anni, paga le tasse allo Stato e nel comune in cui è residente. I permessi di soggiorno andrebbero gestiti dai comuni, in collegamento con la Polizia di Stato, che verrebbe sgravata da questo lavoro, Iiberando unità per la sicurezza. I contributi previdenziali e fiscali di lavoratori e imprese di stranieri immigrati

sono lì a dimostrare che il fenomeno, se gestito, ha enormi potenzialità, anche in termini di utilità per tutti. Questo insieme di misure produrrebbe una prima importante divisione tra chi nel nostro Paese è arrivato per lavorare e per un progetto di vita e chi ha altri propositi, non sempre commendevoli.
Gli effetti dell’incostituzionale, definizione del CSM, decreto Salvini, che ripropone la disparità di trattamento giuridico previsto dalla Legge 13/2017 (Minniti/Orlando), saranno subitanei e nefasti. Avremo molti più irregolari nelle nostre strade. L’ANCI e i sindaci, di ogni estrazione politica, hanno segnalato che avremo un rischio alto di recrudescenza di marginalità e fenomeni diffusi di illegalità. Si offrirà alle organizzazioni criminali “manodopera”, emarginati in condizioni di privazione, senza una dimora, senza assistenza sanitaria, senza percorsi di istruzione e formazione, senza residenza anagrafica. Una irrazionalità, una sciagura.
Il securitarismo per affrontare il tema immigrazione è una risposta inutile, spuntata, priva di logica. Il securitarismo è un approccio perdente che aumenterà la sensazione di insicurezza, che molti hanno, legato alla immigrazione (ma forse, come detto è proprio questo quello che vogliono le destre).
L’Europa, su questo tema, ha mostrato tutta la sua inadeguatezza e il suo scarso spirito solidaristico e di condivisione. In questa gara di indifferenza si sono distinti in particolare gli Stati guidati dagli alleati nazionalisti di destra di Salvini, dell’Est Europa. A testimonianza che l’egoismo nazionale nazionalista delle destre, tipico della posizione politico-culturale del salvinismo, è la causa non la soluzione dei problemi. Il tratto di Dublino, firmato dal Governo Berlusconi, va cambiato nel senso della condivisione del carico migratorio sul nostro Paese, frontiera sud d’Europa.

 

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