Scuola: perché è necessario ripartire dalla Costituzione. Salvatore Salzano (Pavia)

Pavia

A che serve la scuola? È da questa domanda che dobbiamo ripartire. Il Novecento è stato segnato dal ruolo che i sistemi di istruzione hanno avuto nei rispettivi Paesi. La scuola è stata sia strumento di creazione del consenso, come nei regimi totalitari, che strumento di crescita e integrazione, come nei sistemi democratici, come è esplicitamente richiamato nella nostra Costituzione, che alla Scuola assegna dignità al pari delle altre istituzioni del Paese.
La Costituzione assegna alla Scuola un compito vitale: far crescere cittadini capaci “di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”, e lo fa promuovendo “lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, affermando che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, dettando “le norme generali sull’istruzione”, e istituendo “scuole statali per tutti gli ordini e gradi.”
La Scuola non è un mero strumento di avviamento al lavoro, non serve a formare lavoratori ma cittadini. È evidente che ciò non può prescindere dal fornire, con la pubblica istruzione, anche strumenti spendibili nel mondo del lavoro, perché questo è un mezzo imprescindibile per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, ma occorre dare anche il dovuto peso alla formazione del cittadino, educandolo alla tolleranza, al rispetto, alla partecipazione democratica, fornendogli una solida cultura che lo renda libero e consapevole del proprio ruolo. Quest’ultimo aspetto è stato invece disatteso negli ultimi venti anni di politiche scolastiche.
È vero che la scuola della fine del Novecento richiedeva un intervento di modernizzazione, ma questo doveva essere fatto rilanciandone la sua funzione costituzionale.
Invece si è attuata nei confronti della Scuola una politica figlia della stessa subalternità culturale al neoliberismo che abbiamo visto trionfare in altri settori: dalle politiche del lavoro al welfare.
Concetti teoricamente condivisibili, come efficienza, merito, autonomia di organizzazione, assunzione di responsabilità, valutazione di sistema, apertura verso il mondo esterno, sono stati declinati secondo la più estrema delle concezioni liberiste, assoggettando la scuola a valori tipicamente aziendali, nell’accezione negativa che si può attribuire a questo termine e in questo contesto. Ciò ha portato a confondere il riconoscimento del valore degli insegnanti con un sistema a punti per attribuire improbabili premi in denaro; a confondere l’importante ruolo di guida e di stimolo del dirigente con quello di un manager aziendale; l’autonomia organizzativa con la partecipazione ad un mercato concorrenziale per reperire “fondi e utenza”; il dovere di inclusione con l’abbassamento degli obiettivi culturali. Ciò ha portato a valutare la scuola solo sulla base di risultati ottenuti in indagini quantitative internazionali, che non possono cogliere, se non in misura del tutto marginale, il contributo che la Scuola dà al Paese.
Non è stata solo la Buona Scuola di Matteo Renzi a distruggere il rapporto di fiducia che, tradizionalmente, la sinistra aveva costruito con il mondo della cultura e tra gli insegnanti in particolare. Sono stati anni di politiche che hanno umiliato gli insegnanti e la Scuola, di tagli, di impoverimento culturale, di burocratizzazione sempre più marcata, in cui si è delegittimata l’importanza della cultura fino all’assurdo di contrapporre la osannata scuola delle competenze alla scuola delle conoscenze, sottolineando, forse non troppo inconsciamente, che la scuola in cui si studiava era una scuola che formava degli incompetenti.
È arrivato il momento di invertire questa tendenza, e ridare alla Scuola la dignità che merita: ce lo chiede il Paese, che avrà bisogno di tanti ottimi Italiani per affrontare un futuro quanto mai incerto.