C’è un posto, a Roma, che tutti i romani e parecchi turisti conoscono: il “buco della serratura”. Sul colle dell’Aventino, a pochi passi dal Giardino degli Aranci, in piazza Cavalieri di Malta, poggiando l’occhio sul buco della serratura del portone del Priorato di Malta si ha una splendida vista del Cupolone di san Pietro che appare solitario in fondo al viale alberato. Suggestivo. Davvero. Sempre bello nei viaggi a Roma ritagliarsi un momento per godersi qualche scorcio della città. Anche se, questa volta più di altre, ho con disappunto notato la troppa incuria, la troppa immondizia. E mi sa che non è manco tutta colpa della Raggi, che certamente ha le sue responsabilità: ho la vaga impressione che buona parte della monnezza sta lì dai tempi del sindaco Nathan, quello del “non c’è trippa per i gatti”.
La ragione del viaggio non era però il voyeurismo monumentale o la verifica dell’efficacia della raccolta rifiuti capitolina, bensì la festa nazionale di Articolo Uno con relativa riunione del coordinamento nazionale. Cornice non particolarmente amena, l’ex mattatoio al Testaccio. Clima quasi torrido nonostante l’estate agli sgoccioli. Interessante il parterre, ospiti illustri, dibattiti di ottimo livello. Tema imperante, e un poco preoccupante, il futuro della sinistra e in particolare di LeU. Inutile negarlo, LeU sta segnando il passo. Il modesto risultato elettorale, le inevitabili ruggini e rimostranze, i tardivi pentimenti, l’atavica sinistra propensione a sottolineare i distinguo, non lasciano presagire nulla di buono. Si vive a sinistra, ma non solo, una sorta di spaesamento di fronte all’incontenibile prosopopea gialloverde. Intempestivi e inopportuni festeggiamenti al balcone, folle follemente inneggianti il demiurgo del Viminale, preoccupanti revival di antichi slogan che pensavamo dimenticati per sempre… Una sofferenza, un disagio quasi fisico. La sensazione di un populismo diventato invece popolare; o mera demagogia? L’apparentemente irragionevole e inconciliabile coalizione di governo che dalle evidenti e contrastanti diversità di visione, interessi e progetti trae la propria forza: maggioranza e opposizione al tempo stesso. La preoccupante cornice internazionale: lo spread, le borse, Junker e Moscovici, la Trojka, le agenzie di rating … tutti a complottare contro il nostro Paese. O ad avvertirci che lì davanti c’è il burrone? Temo piuttosto il deliberato progetto di uno scontro epocale con l’Europa che “tra sei mesi è finita”, travolta dal terremoto politico delle elezioni europee. Questo l’obiettivo, altro che “abolire la povertà”. A proposito, andrebbe riletto “Abolire la miseria” di Ernesto Rossi (ed. Laterza, 1946): il diritto a una vita civile per il solo fatto di essere uomini.
Il disagio, la sensazione di essere subalterni, ininfluenti, il timore di non toccare palla sono quasi palpabili nelle parole e nelle espressioni di tutti, anche nella riunione di coordinamento della domenica mattina, per fortuna al fresco di una sala attrezzata di aria condizionata, contraddistinta però da un carattere e da un’impronta subito tracciata da Roberto Speranza nell’intervento d’apertura: ci sono problemi, questioni aperte, visioni differenti, il progetto LeU vacilla ma non nascondiamo la polvere sotto il tappeto. Affrontiamo la questione con franchezza e altrettanta fermezza. Spero lo si faccia davvero, spero si abbia la forza di riconquistare credibilità. Non credo vi sia altra strada se non quella di una estrema chiarezza e sincerità. Possibilmente insieme. Non aiutano le fughe solitarie verso improbabili progetti di “sovranismo di sinistra”, i ritorni nel proprio rassicurante bozzolo, le reciproche accuse. Certo, la domanda che sale forte da ogni riunione, da ogni incontro, da ogni commento è UNITÀ, anche la piazza della manifestazione del Pd la invocava a gran voce. Ma quale unità? Non credo più all’unità delle sigle, delle segreterie, dei dirigenti; un’unità artificiale, creata in vitro per affrontare un’elezione. Non credo più all’unità altrettanto artificiale dello stringersi intorno al leader, magari eletto con democraticissime (?!?!) primarie (maledizione, un altro attacco di orticaria!). Meglio l’affermazione di valori, cultura, prospettive, identità sulle quali costruire alleanze. Cosa ben diversa dalle fragili ammucchiate preelettorali, unite nell’individuazione di un avversario comune, quando non nel tentativo di salvaguardare qualche posizione individuale.
L’attuale governo del cambiamento sta portando il Paese a una condizione che è quasi ottimistico definire pericolosa. Occorre una forza di sinistra alternativa, non di testimonianza ma che ponga al proprio orizzonte il governo del Paese. Una prospettiva complessa e ambiziosa ma ineludibile. Ma occorrono strumenti adeguati. In primo luogo un partito. Strumento spesso considerato desueto e sorpassato dalla storia, ma indispensabile per rappresentare settori della società, organizzare progetti e programmi, selezionare i dirigenti politici; e così “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 della Costituzione).
Non mi affascinano le strutture, le forme organizzative; ancor meno le procedure. Decisamente detesto costruzioni affidate a strumenti tanto in voga quanto poco chiari nel loro utilizzo, misterioso ai più, delegato a pochi abili esperti. Ci manca solo qualche algoritmo! Utilizziamo tutti gli strumenti ma lasciamoli al loro ruolo strumentale.
Non voglio considerare finita l’esperienza di LeU, né disperdere quanto abbiamo costruito. Forse poco ma fondamentale. Primo fra tutti il solo vero gruppo di opposizione di sinistra in Parlamento. Però chiariamoci, con franchezza, serietà, onestà, politica e intellettuale. Definitivamente. Non credo saranno gli incontri tra segreterie a risolvere la questione. I territori, piccoli o grandi, dovranno dire la loro, portare a conoscenza le esperienze locali, raccordarsi ancora di più con i dirigenti nazionali. Un lavoro maledettamente difficile e complicato che porti ad una scelta definitiva. Presto. Il tempo sta per scadere. Importanti appuntamenti elettorali incombono, partecipiamo o stiamo a guardare, magari dal buco della serratura, cosa succede?
Una fase costituente non può prescindere da una chiara definizione delle prospettive, dei fondamenti. Discutiamone apertamente e delimitiamo l’area, definiamone i contorni, l’identità, fissiamo quei paletti entro i quali prenda forma e si chiarisca quello che vorrei fosse il manifesto del nuovo partito. Il manifesto di una sinistra nuova. Le basi ci sono. Le ho ascoltate a “Fondamenta” ed è passato più di un anno; le ho sentite ripetere nel week end romano in tanti interventi; le ho trovate, nero su bianco, nell’intenso documento di Visco. Parole chiare, correttamente declinate. Il socialismo, finalmente affrancato dalle aberrazioni degli anni Ottanta, vera e realistica alternativa al liberismo che ha creato ingiustizie e disuguaglianze. L’ecologia, occasione di sviluppo e unica chance di sopravvivenza per un pianeta avvelenato. La fiscalità progressiva, perché semplicemente chi ha di più maggiormente contribuisca al bene di tutti. La sinistra finalmente non più subalterna al neoliberismo, che riconosca l’errore di avere ceduto all’illusione del mercato che dispensa benessere per tutti. Lo Stato, di nuovo centrale nel suo ruolo di motore di sviluppo e garante di protezione e servizi. L’Europa, solo orizzonte possibile, unica possibilità di superare la fragilità di stati nazionali sempre più marginali e insignificanti nel loro isolamento. Nuove e più corrette regole europee che affrontino questioni irrisolvibili dai singoli stati nazionali, economia, immigrazione, giustizia, uguaglianza, diritti…
Mi permetto una citazione, poche righe tratte dal lungo articolo di Vincenzo Visco: La questione di fondo è che la ricchezza collettivamente prodotta, con il contributo di imprese, lavoratori, manager, scienziati, governi, va ripartita tra tutti, e non diventare appannaggio di pochi. Per questo occorrono forti poteri pubblici, e questo è il messaggio fondamentale che un nuovo socialismo deve trasmettere.
La nostra storia continuerà. Lo spero. Qualche altro viaggio a Roma. Splendori e miserie della città, contrastanti viaggi ferroviari tra avvolgenti sedili del FrecciaRossa e manopole per la regolazione della temperatura dei vagoni letto che ho appurato essere finte; esclusive sale d’attesa VIP e servizi igienici che chiudono alle 21.30… Sempre che dopo porti e aeroporti non chiudano anche le stazioni ferroviarie.