Il decreto sulla dignità del lavoro e dell’impresa è un’occasione persa.
Se il Governo voleva ridurre il precariato, il decreto appena uscito dalle commissioni parlamentari non lo fa.
Non lo fa con il contratto a termine, dove la giusta riduzione a 24 mesi viene contraddetta dalla scelta di porre le causali non all’inizio del primo contratto come logico ma dopo i 12 mesi, con la conseguenza già in atto di ridurre la possibilità di avere proroghe o rinnovi.
Non lo fa con la scelta di ampliare le prestazioni nel turismo e in agricoltura mediante una sorta di voucher, a scapito dei contratti stagionali che danno più garanzie e dignità al lavoratore ed un minimo di coperture di integrazione salariale e non lo fa spostando in questi settori le responsabilità della certificazione dall’impresa al lavoratore.
Le stesse scelte in materia di delocalizzazioni, impegno giusto, sono scritte in modo tale da aprire contenziosi e problemi interpretativi. Inoltre se è corretta e da condividere la scelta di aumentare le indennità nei casi di licenziamenti illegittimi, è sorprendente la totale chiusura operata nei confronti della richiesta di reintrodurre la tutela della reintegrazione ovvero l’Articolo 18.
Se infine si considera che le vere forme della precarietà (tirocini, falsi stage, false cooperative, contratti pirata e lavoro nero) sono totalmente rimasti fuori dall’ambito del provvedimento, è facile concludere che un conto sono i proclami ed un altro i fatti.
Lo scrive Guglielmo Epifani su Facebook.