Verso LeU. Ordine del giorno approvato dall’assemblea di Roma

Roma

Le ultime elezioni politiche segnano un punto di svolta nella vita politica italiana e ci consegnano il risultato più basso per la sinistra nel suo complesso dalla fondazione della Repubblica ed un inedito governo gialloverde, costruito sulla base di un contratto di governo siglato davanti ad un notaio da parte di forze contrapposte in campagna elettorale. La natura e la qualità della sconfitta, che ha imposto un cambio radicale di scenario politico, impone una riflessione profonda ed interroga le scelte degli ultimi decenni e, in toto, la cultura politica della sinistra italiana.

Gli effetti della globalizzazione

A quasi 30 anni dall’avvio del processo di globalizzazione dell’economia e dei mercati, un primo bilancio di questa complessa ed inedita fase storica diviene oggi indispensabile.

L’avvio del processo di globalizzazione pose a suo tempo le forze del lavoro e le loro rappresentanze politiche e sociali davanti ad una grande domanda: dove avrebbe portato un processo affidato alla spontaneità del libero mercato, anche per effetto di una circolazione di merci, persone e capitali mai conosciuta, stante il ruolo che via via veniva ad assumere il capitalismo finanziario?

In sostanza la globalizzazione accelerata e guidata dal mercato avrebbe provocato una grande opportunità per riequilibrare risorse, saperi e poteri o invece una nuova e pressante deregolazione in grado di determinare nuove e più massicce diseguaglianze?

La sinistra storica, tranne poche eccezioni, passa in blocco alla cultura del libero mercato. Il privato diventa culturalmente vincente sul pubblico. In Italia si smantella la scala mobile, (cioè uno dei principali meccanismi di protezione, anche attraverso la definizione del paniere dei prezzi dei beni di prima necessità, della parte più povera della popolazione e della parte più’ precaria del mondo del lavoro) e la privatizzazione a prezzi stracciati delle imprese pubbliche raggiunge vertici non toccati da nessun altro paese europeo.

L’impatto della crisi americana in Europa mette in difficoltà tutti i paesi, ma in particolare i più deboli e, tra questi, soprattutto quelli mediterranei. Le sofferenze del processo di unificazione europea hanno nella crisi del 2007 la loro causa prima.

Con l’indebolimento del ruolo guida degli Stati, e della politica sull’economia, si afferma una fase nuova e più avanzata del capitalismo mondiale che attraverso la deregolazione assoluta dei mercati e della finanza, unitamente all’entrata in vigore in Europa di Trattati mai sottoposti al consenso popolare, ha finito con il trascinare con sé i fenomeni di disoccupazione di massa che stiamo conoscendo: la mercificazione del lavoro, la precarizzazione sociale estesa ai ceti medi e laureati, l’accrescimento incontrastato delle disuguaglianze economiche e sociali, un divario di genere che in molti paesi compreso il nostro tende ad approfondirsi, una competizione basata unicamente sulla riduzione del costo del lavoro, sulle delocalizzazioni delle imprese, sulla compressione dei diritti individuali, collettivi e di cittadinanza.

L’Europa, basata sempre più sull’asse franco-tedesco e su procedure sovranazionali sempre meno democratiche, è apparsa un soggetto estraneo e nemico.

Il rinculo della mondializzazione dei mercati non poteva non provocare una forma di ri-territorializzazione degli interessi, esemplificata nella parola d’ordine “Prima gli Americani” di Donald Trump, il suo massimo sacerdote.

Nella tenaglia tra globalizzazione dei mercati e ri-territorializzazione degli interessi colpiti la sinistra rischia di rimanere stritolata e messa ai margini della storia. 

Un quadro di riferimento così complesso della situazione nazionale chiama in causa anche gli errori, i ritardi, le responsabilità della sinistra italiana.

Una sinistra che a più riprese ha avuto le sue possibilità di governare, ma senza mai riuscire ad invertire la direzione di marcia, ad andare troppo oltre il contenimento del debito pubblico, la riduzione del rapporto deficit-pil, la conquista di alcuni importanti diritti civili.

La stessa riflessione autocritica sul cosiddetto “tardo blairismo” non può essere considerata sufficiente oggi a colmare queste responsabilità.

La lettura della crisi economica.

L’errore politico di fondo della sinistra sta nel non aver svolto una analisi benché minima circa i caratteri della crisi scatenata dal capitalismo americano nel 2007.

Il richiamo alla crisi del ‘29 è stato soltanto un artificio retorico.

Ne’ le consapevolezze via via acquisite, come ad esempio quella sul carattere non ciclico ma strutturale della stessa, sono state successivamente in grado di correggere significativamente la rotta. Abusando di uno schematismo, si può affermare che aver definito inizialmente questa crisi la più grave dopo quella del ’29, dando di conseguenza ad essa il carattere di una crisi generale e non selettiva, una crisi che avrebbe colpito indistintamente persone, nazioni e continenti, è equivalso a metterci nelle condizioni di difenderci con gli occhi bendati.

Una crisi che ha accresciuto a dismisura la ricchezza dei già ricchi, che ha messo in fila alla Caritas anche gli occupati, che ha portato a quattro milioni i poveri assoluti e a dieci milioni quelli che rischiano di finire in povertà che, cioè, ha visto spostare massicciamente la ricchezza prodotta verso i piani alti della società, non soltanto è stata e rimane una crisi selettiva pagata soprattutto da chi il lavoro ha perduto e più in generale dalle forze del lavoro, dalle donne e dalle giovani generazioni, ma anche una crisi di sovrapproduzione destinata a perdurare in assenza di coraggiose scelte in campo economico e sociale.

Le risposte senza cambiamenti

A queste difficoltà, ritardi ed errori, la sinistra italiana ha solo abbozzato una reazione, senza riorganizzare il suo pensiero, il suo campo e le sue forze.

In assenza di una coraggiosa rimessa in discussione delle scelte compiute, del ruolo e della funzione del Pubblico, per di più in presenza di una rivoluzione digitale che assume la dimensione di un cambio di paradigma generale, di un capitalismo finanziario che ridimensiona il peso e il ruolo del capitalismo industriale, ha pensato che fosse sufficiente riprodurre “contenitori” ispirati a modelli politici e culturali di altri paesi. Bipolarismo e poi bipartitismo, partiti organizzati sostituiti da partiti elettorali, elezioni primarie nelle quali i passanti eleggono il segretario di un partito che diventa “scalabile” e “leaderistico” e nel quale la comunicazione diventa gran parte di se’. In buona sostanza un susseguirsi di risposte occasionali mai accompagnate dalla rivisitazione di un progetto organico, da una lettura aggiornata della società, da una capacità e da una rinnovata volontà di restituire rappresentanza a quella parte del Paese a cui la sinistra storica aveva saputo negli anni offrire la possibilità di riscatto.

Lo stesso atto di nascita del Partito democratico è stato viziato da un’impostazione “liberal” mentre nel mondo scoppiava la più grande crisi del capitalismo degli ultimi decenni. Questo è stato il “Lingotto”.

La vicenda che stiamo attraversando è l’ultimo tratto di una storia che va riletta quindi in modo critico. L’esito di queste elezioni ed il sommovimento di destra, xenofobo e populista che agita l’intera Europa, mette sul banco degli imputati l’intera ideologia “mainstream” della sinistra che negli ultimi 30 anni ha dominato la scena in Europa.

La nascita di Articolo Uno MDP e la scelta di LeU

In queste difficili condizioni, in presenza dei prevedibili quanto ormai inevitabili sbocchi a destra e verso formazioni populiste, in assenza di una risposta credibile della sinistra verso i ceti popolari, prendendo atto dell’impossibilità di fermare la deriva centrista verso la quale il PD precipitava, dopo aver difeso le fondamenta del sistema costituzionale italiano nel referendum del 4 dicembre 2016, ha preso avvio la fase costituente per la riorganizzazione del pensiero politico e di una forza autonoma della sinistra italiana.

Essersi trovati nell’immediato davanti ad una difficilissima consultazione elettorale senza aver avuto la possibilità di disporre dei tempi necessari per gettare le fondamenta di una soggettività politica, si è mostrato un ostacolo superiore alle nostre possibilità. Perfino la sofferta vittoria nella Regione Lazio rischia di apparire più come l’ultima ridotta di una alleanza un tempo vincente che un possibile punto da cui ripartire per aprire una nuova prospettiva politica.

Aver presentato una lista e condotto la campagna elettorale senza aver definito un progetto con i suoi valori e senza aver offerto una necessaria radicalità nelle proposte politiche e nelle modalità di costruzione del nuovo soggetto, altro risultato non avrebbe potuto raccogliere se non quello di affermare una presenza nei due rami del Parlamento. Ma forse è anche utile riconoscere che oltre a questi limiti e difficoltà c’è stato anche un di più del quale probabilmente non abbiamo saputo tenere conto a sufficienza: i tempi scelti per dare avvio al nostro movimento di Articolo Uno MDP. Più precisamente, era sul Jobs Act che si doveva decidere il nuovo inizio della Sinistra del lavoro.

Verso LeU

Il milione di voti conquistati nelle elezioni del 4 marzo sono pochi per dire che eravamo sulla strada giusta, ma sono anche troppi per dichiarare chiusa questa esperienza. Di fronte all’inedita offensiva politica che ci viene dall’ alleanza Lega 5 stelle, non possiamo pensare di aspettare che passi lungo il fiume il cadavere del fallimento del governo. E neppure solo agitare lo spettro della minaccia fascista.

Li battiamo solo se abbiamo qualcosa di meglio da offrire. Serve un nuovo programma fondamentale, la costruzione di un progetto di alternativa sociale economica, culturale

Abbiamo il compito di costruire un soggetto politico che abbia il coraggio della necessaria discontinuità con il passato recente e remoto, che abbia la forza di rimettere in discussione gli assetti di un’intera sinistra che deve ripensare se stessa, che sappia riprendere un percorso di connessione con i ceti popolari.

Il ruolo e la funzione della sinistra è quello di reagire alle enormi disuguaglianze create dal capitalismo su scale globale, di rilanciare un welfare universalistico e nuovi diritti del lavoro e di protezione sociale alla luce delle trasformazioni innescate dal capitalismo digitale.

Serve riprendere in mano la bandiera della sovranità della politica sull’economia, delle istituzioni democratiche sulla tirannia dei mercati riaffermando il primato dello stato e del pubblico, negli indirizzi economici e sociali, nella funzione regolatrice del mercato. Ribaltare lo schema secondo il quale i mercati governano, i tecnici amministrano, i politici vanno in televisione. Uno “Stato innovatore”(per dirla con le parole di Mariana Mazzuccato), in grado cioè di ridare ruolo strategico alla progettazione pubblica dello sviluppo e della coesione sociale e territoriale del paese.

La sinistra italiana deve ripensarsi all’interno della dimensione europea, una dimensione che va profondamente riformata nelle sue Istituzioni, nei suoi poteri e nelle sue politiche, sostenendo la rivisitazione di parte dei Trattati in vigore e l’ampliamento dei poteri europei in materia di difesa, immigrazione, fiscalità, orari di lavoro, politiche di sviluppo. Deve misurarsi con l’obiettivo della nascita di una Civitas europea democratica, inclusiva e sociale. Servirebbero veri partiti sovranazionali per ricostruire e democratizzare l’Europa come un nuovo spazio politico. Guai a rinchiudersi nella dimensione nazionale, di piccole patrie che difendono i propri confini!

La sinistra deve ripensarsi tenendo insieme la difesa dei diritti sociali e del lavoro con quella dei diritti civili e politici.

La attuale e inedita alleanza di governo si fa interprete di una domanda di protezione, che nasce dalla paura dalle trasformazioni sociali e dalla crisi economica, e la trasferisce in termini di chiusura anche sul piano della concezione dei rapporti tra uomini e donne e delle politiche di genere: Basti pensare al modo in cui nel contratto di governo sono affrontate le politiche contro la violenza e cioè in una chiave meramente securitaria e repressiva, o il fatto che le politiche di conciliazione siano un tema che riguarda solo le donne, a cui sono affidati in via esclusiva i compiti di cura all’interno di una famiglia chiusa e tradizionale, da tutelare e proteggere. Qui non c’e solo una storia e dei diritti da difendere ma la necessità di una cultura politica che affronti le questioni poste dalla libertà femminile in termini nuovi e come parte essenziale della propria visione del mondo.

Ci serve un partito inteso come un vero e proprio laboratorio di cultura politica, per affrontare in maniera avanzata le sfide del lavoro, della riconversione ecologica, della produzione e del consumo, dei saperi e della scuola, dei diritti individuali e collettivi, delle migrazioni e del rapporto tra culture diverse, della pace. Che faccia i conti in profondità con le questioni inedite poste dall’autonomia e della libertà femminile. Con i temi della rappresentanza e della democrazia.

Aperti e attenti al dialogo con tutto ciò che di significativo si muove a sinistra e limpidi nell’ispirazione di fondo che ha dato vita alla nostra impresa: la ricostruzione di un partito popolare e di sinistra in grado di restituire rappresentanza e speranza ai milioni di italiani disposti a battersi per la liberta, l’uguaglianza, la solidarietà nel solco della Costituzione repubblicana e  al contempo in grado di proporsi come motore della costruzione di un nuova alleanza per tornare su nuove basi a governare il Paese.

Tutto questo dobbiamo farlo come Liberi e Uguali consapevoli delle nostre forze e della funzione che possiamo svolgere, con il massimo grado di apertura, in un percorso democratico autentico, senza paracadute per nessuno superando definitivamente i soggetti di partenza per aprire una nuova storia.

Il contributo dell’Area metropolitana di Roma.

La nostra iniziativa e la nostra organizzazione devono essere in grado di accompagnare con determinazione questo processo politico.

Al contempo devono essere in grado di produrre una proposta politica all’altezza della centralità e del rilievo nazionale di Roma e al tempo stesso delle sfide dell’area metropolitana segnata sempre di più da un evidente squilibrio tra la capitale e la vasta area che la circonda.

Per fare questo dobbiamo costruire forme di organizzazione e direzione che siano in grado di intervenire nella città di Roma e negli altri territori che ne valorizzino le specificità, favoriscano la partecipazione e permettano la costruzione di proposte e iniziative.

Ma non è sufficiente agire sul piano dell’organizzazione se non siamo in grado di riflettere e ragionare su come tornare ad intrecciare i bisogni reali delle persone con la proposta politica.

Le elezioni del Comune di Roma, tra due anni e mezzo, possono essere il primo vero impegno politico programmato di medio termine del nuovo Partito. L’inadeguatezza dell’esperienza di governo dei cinque stelle ha reso palese la fragilità e l’ambiguità di quella proposta politica. Le ultime elezioni amministrative hanno infatti dimostrato che vincere è possibile e che LeU nonostante tutto dove si presenta sta in campo. Tuttavia è necessario impostare il lavoro fin da adesso, coniugando operativamente Organizzazione, Elaborazione, Azione.

In tema di Organizzazione è necessario costituire un gruppo di lavoro tematico che avvii la discussione sulle forme e pratiche della politica, come favorire la partecipazione, come costruire insediamento e radicamento della nostra proposta nell’area metropolitana.

In tema di Elaborazione è necessario avviare gruppi di lavoro:

  • Per un’area metropolitana sostenibile. Un modello di sviluppo basato sulla qualità, che valorizzi l’ambiente e la qualità della vita, la rigenerazione urbana, la mobilità sostenibile.

  • Per il Lavoro. Per una nuova e sostenibile politica industriale, come riconnettiamo un mondo del lavoro frammentato e precarizzato, come incontriamo e sosteniamo le grandi e piccole vertenze.

  • Per una città accogliente. Welfare, politiche sociali e beni comuni, sicurezza e accoglienza. È necessario interpretare il disagio sociale e riproporre un’idea di città accogliente che si basi sulla sicurezza sociale.

  • Per il sapere e la conoscenza come strumenti di libertà. Università, ricerca e cultura nell’area metropolitana. Il sapere e la conoscenza come condizioni di cittadinanza e strumenti imprescindibili per progettare uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile.

  • Per una nuova governance dell’area metropolitana. Dobbiamo essere i promotori di una stagione di cambiamento: reintrodurre l’elezione di primo grado per la Città Metropolitana, rideterminarne i poteri legislativi e regolativi e trasformare le amministrazioni municipali in Comuni dotati di piena autonomia.

In tema di Azione. E’ necessario “stare” nel conflitto sociale sia esso di natura locale, che municipale, che sindacale; vanno presidiati e alimentati i processi di socializzazione dei conflitti evitando che il partito si pieghi però verso radicalismi sterili e inutili o si adagi sull’idea di una sinistra minoritaria e di mera testimonianza; è necessario andare oggi, lontani da scadenze elettorali, nei luoghi di lavoro in cui le crisi aziendali determinano disagi collettivi; davanti alle scuole e le università, nei mercati, nelle piazze è necessario denunciare anche con piccoli presidi le dinamiche di potere ed economiche delle guerre in corso.

Questi sono gli impegni a cui chiamiamo tutte/i, perchè è necessario lavorare su LeU per il rilancio e l’allargamento dell’esperienza fin qui condotta, con l’obiettivo di proporre un nuovo punto di analisi e soluzioni adeguate evitando l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti e la deriva politicista degli ultimi mesi.