Il populismo è un analgesico, la politica è la cura: e si possono alleare

| politica

Immaginiamo di avere una malattia. Un male curabile con difficoltà, non mortale, ma che ci faccia stare davvero a pezzi. Nessuno sa cosa fare. La nostra famiglia è disperata, e noi stiamo soffrendo. Temiamo di morire. Abbiamo due medici che analizzano il nostro caso. Uno vuole riempirci di analgesici, di morfina. Così, dice, il dolore passerà e noi potremo vivere come prima. L’altro, invece, vuole farci dolorosissime iniezioni di medicinali che è sicuro ci cureranno. Ma farà un male dell’anima, quella cura. Il male è la paura. Il populismo è l’analgesico. La politica, per come dovrebbe essere, è la cura.

“Una conclusione banale”, si opporrà chi legge questo articolo, “la critica del populismo è già stata affrontata in tutte le sue sfaccettature”. Chiedo pazienza. Voglio portare a una conclusione della metafora. Perché non si tratta di opporre le due cose. Come in medicina, la cura è necessaria. Ma l’analgesico, altrettanto.

Quello che non si riesce a vedere, arroccati in una sterile critica del populismo che sta allontanando la gente, che ci crede sempre di più, dalla cura, è che il populismo è un sintomo. Il populismo è la conseguenza di una società che sta sprofondando nelle sue paure.

La gente ha paura, è divorata dalle proprie incertezze. Noi lo siamo, dal venticinquenne precario che non vede un futuro, al pensionato che vede la sua pensione sbriciolarglisi tra le dita, tra tagli e costo della vita che sale.

E, francamente, tutto questo è giusto.

Il populismo è un analgesico rispetto a tutto ciò. Fa apparire soluzioni semplici, veloci e alla portata di qualche mese. Il problema è che usato da solo non basterà. Perché quando saremo abbastanza assuefatti da non percepirne più gli effetti, sarà in quel momento che ci renderemo conto di essere in punto di morte. Di contro, però, il populismo dovrebbe essere riabilitato. “Ma è una contraddizione!”, vi opporrete. No.

Quello che intendo è che alcune misure e visioni populiste informate, che possano sorreggere una politica basata sul puntare i problemi alla loro radice, non sono per forza nemiche. Un esempio.

L’immigrazione, alle condizioni in cui siamo oggi, è un problema; non è utile accusare i populisti di cavalcare semplicemente un’onda. Sarebbe ipocrita negare che il problema c’è. E una politica basata sull’ipocrisia non va lontano. Abbiamo bisogno, in quanto Paese, di non essere lasciati soli, di organizzarci per canalizzare al meglio questi flussi. Fino a questo preciso passaggio, quindi, il populismo ci ha aiutato a identificare un problema che c’è. L’errore sta nel permettere che il disagio e la paura, che hanno generato questa identificazione, diventino anche la soluzione. Ed è per questo che negare ospitalità, sempre e comunque, a oltranza, è la degenerazione del populismo. Perché fare una cosa tanto semplice è celebrare il trionfo della paura su ciò che ci rende umani.

La paura è una reazione umana. Può salvarci, perché essendo istintiva ci permette di identificare problemi che con la ragione avremmo faticato a trovare. In questo senso, il populismo può essere usato, ma usato bene, semplicemente per identificare i problemi che affliggono la popolazione. Migranti. Pensioni. Lavoro.

Il problema sorge quando cerchiamo di usarlo per prendere decisioni. Nessun analgesico può sostituire una cura. Mai.

Ed è questo che dobbiamo realizzare. Soprattutto per essere in grado di servire le persone che credono che coloro che usano questi mezzi per prendere decisioni possano davvero aiutarle. Vi stanno dando morfina. La soluzione non è facile, ma abbiamo imparato che le persone sono in grado di identificare alcuni problemi che le affliggono. Cosa che la politica ha dimenticato per troppo tempo. Ma non fidatevi mai di chi cerca di convincervi che è con la paura e la rabbia che costruirete un futuro. Con quei sentimenti, si può solo distruggere.

Usiamo il sentimento per trovare i problemi, e la ragione, l’informazione, per sconfiggerli. In questo senso, un buon populismo supportato da una buona politica può esistere.

Gabriele Grosso

Lavoratore millennial, classe 1990. Project Manager e Operations Specialist per Talent Garden. Metà vita a Milano, metà a Napoli, e una spolverata di Veneto. Sempre amato capire come le cose funzionano, dagli atomi alla politica. Fanatico dell’azione, convinto che una sola parola, al posto e nel momento giusto, possa cambiare tutto.