Mentre si consumava il dramma di Acquarius, archiviato dal gesto clamoroso della Spagna socialista di Sanchez, Salvini alle amministrative otteneva tre risultati significativi: la leadership assoluta del centrodestra, l’egemonia politica ed elettorale sull’area di governo, il monopolio della comunicazione nella strana alleanza gialloverde. Il tutto rafforzato dal consenso popolare che lo porta oggettivamente ad essere ad oggi l’autentico pivot della politica italiana.
È il Ministero degli interni il campo da gioco principale per governare qualsiasi processo politico nel nostro paese, nascondendo l’evidente affanno accumulato sul terreno dell’economia, dove già si misura lo scarto tra le promesse fatte (flat tax, reddito di cittadinanza, Fornero) e la durezza della realtà. Di Maio appare il più indebolito da questa partita, quello che paga il prezzo più grande alla scelta di far nascere il Governo Conte con l’apporto della Lega.
Ovviamente, trarne una lezione generale sarebbe comunque un errore di lettura: le elezioni amministrative sono sempre state un terreno ostico, dove il radicamento pesa molto e dove l’esplosione di liste civiche ha arginato di molto la forza mobilitante dei grillini. Lo spazio della sinistra e del centrosinistra sembra all’apparenza tenere meglio rispetto al 4 marzo, anche se va notato che l’altissimo astensionismo in uscita dal M5S non viene riassorbito dalle candidature progressiste. Indubbiamente, alcune vittorie, a partire da Brescia o dai municipi di Roma, sembrano dire che c’è una lieve reazione laddove le proposte elettorali sono unitarie e credibili allo stesso tempo, una voglia di rimettersi in campo di un’area diffusa di militanza, ma il contesto è assai peggiore rispetto a cinque anni fa, dove le coalizioni e liste progressiste avevano vinto praticamente ovunque.
E il secondo turno nei principali capoluoghi, soprattutto nell’Italia centrale, rischia di essere un passaggio a vuoto, con roccaforti storiche che potrebbero finire a destra. Il dato interessante sul piano politico potrebbe essere la saldatura definitiva al ballottaggio tra gli alleati di governo. Insomma, se i Cinque stelle voteranno la Lega per puntellare definitivamente la maggioranza parlamentare potremmo trovarci di fronte a uno scenario completamente nuovo. Con il blocco di centrodestra sostenuto dai grillini che apre un nuovo ciclo di governo dei territori, aderente al quadro nazionale e destinato in un tempo medio a mescolarsi. Il consociativismo governativo che si fa anche consociativismo amministrativo.
Nel frattempo, a sinistra va aperta una discussione rispetto alla crisi di un modello di buon governo locale che già da qualche anno comincia a mostrare la corda. Le amministrative che fino a qualche tempo fa erano un terreno a noi congeniale oggi diventano un test ancora più scivoloso per un campo in crisi e minoritario. Difficoltà a rinnovare classi dirigenti territoriali e a mettere in campo innovazioni sul terreno ambientale, urbanistico, sociale. Continuiamo ad apparire come un pezzo di ceto politico che coltiva le clientele, che allontana l’esigenza di risanamento morale, che concentra il potere nelle mani di piccoli gruppi professionali e imprenditoriali. Il nodo, come tre mesi fa, sta ancora qui.
Anche davanti al governo più a destra di sempre o riparte un processo di rigenerazione vero o rischiamo di restare marginali a bordo campo a commentare una partita giocata da altri. Ai ballottaggi dovremo provare a fermare dove è possibile questa marea nera che sta salendo, combattendo contro la saldatura del blocco grillino e del blocco leghista. Ma dal giorno dopo si deve aprire una discussione vera. Innanzitutto per LeU che dovrà affrontare la sua sfida congressuale, con coraggio e determinazione, coltivando sicuramente l’autonomia, ma provando a ricostruire un’ambizione di governo necessaria per costruire l’alternativa.