Appello di Liberi e Uguali per la difesa della democrazia e dei diritti fondamentali in Brasile

Esteri

Liberi e Uguali esprime profonda preoccupazione per l’involuzione della convivenza civile in Brasile e per l’odio che si sta scatenando tra le classi sociali, preludio a possibili degenerazioni che potrebbero compromettere la tenuta della stessa democrazia costituzionale.

Dal 2016, allorché la Presidente Dilma Rousseff fu destituita con un impeachment – dai connotati esclusivamente politici –, che ha leso gravemente i cardini dello stato di diritto, è in atto in Brasile un processo politico-economico che tende a privare le classi popolari dei benefici ottenuti durante i dodici anni precedenti. Il periodo delle presidenze di Lula e Roussef fu caratterizzato da un poderoso processo di redistribuzione del reddito, che permise la fuoriuscita dalla povertà di decine di milioni di brasiliani. La crescita della economia di quegli anni fu accompagnata per la prima volta nella storia di quel paese da significative politiche sociali che accentuarono significativamente il benessere di larghi strati della popolazione, senza intaccare gli enormi profitti dell’élite economica. I progressi nell’occupazione, nella legislazione del lavoro, nella tutela dei diritti fondamentali, nella salute come nella educazione pubblica furono tali da configurare l’inizio di uno “stato del benessere” in un paese fino ad allora noto per la sconvolgente disparità tra ricchi e poveri. In quegli stessi anni, le statistiche delle Nazioni Unite indicavano che il Brasile era l’unico paese al mondo nel quale la forbice tra ricchezza e povertà diminuiva, in controtendenza rispetto a tutti gli altri paesi, compreso il nostro, nei quali invece si osservava che le politiche economiche dominanti avevano invece comportato l’ampliamento delle disparità sociali.

Ciò che sta avvenendo in Brasile negli ultimi due anni è la totale cancellazione di tali progressi, che avevano anche comportato armonia sociale e diffusa speranza per il futuro. Le misure involutive e antipopolari sono state numerose e comprometteranno il destino di decine di milioni di esseri umani negli anni a venire. Difficile citarle tutte, ma una tra queste va evidenziata per la sua peculiare perversità e perché non diffusa capziosamente all’opinione pubblica internazionale: è stata votata una legge costituzionale che proibisce per i prossimi venti anni ogni aumento del bilancio per ciò che riguarda la spesa pubblica per sanità ed educazione. Misura equivalente alla condanna di varie generazioni all’ignoranza e alla malattia.

In parallelo, sono in atto in Brasile diverse iniziative giudiziarie che meritoriamente si ripropongono di reprimere la corruzione, da sempre particolarmente accentuata, ed in particolar modo i legami spuri tra mondo politico ed economico. La più nota tra le inchieste di tale natura è quella denominata “Lava jato” impropriamente accostata all’italiana “Mani pulite”, con la quale – in quanto a metodi e garanzie di legittimità – ha ben poco a che vedere. Il principale accusato di tale inchiesta, come noto, è l’ex Presidente Lula che, dopo la negazione dell’Habeas Corpus da parte della Corte Suprema che ieri ha votato a strettissima maggioranza (6 a 5), rischia nelle prossime ore di essere costretto al carcere su mandato di un giudice monocratico.

Lungi dal voler commentare le sentenze della Magistratura di un paese amico, al quale l’Italia è legata da profondi legami di varia natura, tutto il procedimento giudiziario contro Lula appare ai nostri occhi di osservatori internazionali come assolutamente peculiare e, in ogni caso, evidentemente inserito nel clima sociale, politico ed economico sopra descritto. I tempi della giustizia brasiliana, che per propria ammissione sono tradizionalmente lenti (e prevedono quattro gradi di giudizio per la definitiva condanna), sono stati invece rapidissimi nel caso dell’ex Presidente, tanto da suscitare fondati sospetti che si voglia impedire la sua candidatura alle prossime elezioni per via giudiziaria. Inoltre, il giudice al quale è stata affidata l’inchiesta, Sergio Moro, (giudice monocratico arbitro del destino giudiziario di un ex Presidente) si è reso protagonista nel corso degli ultimi anni di numerosi episodi che deporrebbero contro la sua idoneità a giudicare: infrazioni alla legge, protagonismo pubblico con interviste su tutti i media, anticipazioni del suo giudizio affidate alla stampa, esplicita prossimità personale e convivialità pubblica con avversari politici dell’ ex Presidente. La cosa più preoccupante, in ogni caso, è che la Corte Suprema brasiliana – a suo tempo investita dei “casi” Moro – abbia riconfermato il giudice nella sua funzione, determinando in ampi settori della magistratura e della società profondo disappunto ed una diffusa sensazione di insicurezza giuridica, nonché incertezza del giusto processo. Inoltre, è fortissima l’ impressione esterna che le manette, in Brasile, abbiano una colorazione prevalentemente marcata a danno di esponenti del Partito dei lavoratori, laddove è opinione diffusa che la corruzione sia stata un cancro diffuso e addirittura endemico nell’intera società.

Infine, ricordiamo la gravità di alcuni episodi che hanno preceduto la sentenza della Corte Suprema di ieri: la violenza con armi da fuoco ai danni di seguaci di Lula che manifestavano pacificamente ed il preoccupante pronunciamento di alcuni generali con evidente proposito di influenzare la Corte.

Ciò che è in gioco non è solo il destino personale di un meritorio ex-Presidente che rischia il carcere al secondo grado di giudizio, a sette mesi dalle elezioni ed in un clima di guerra civile.

La democrazia brasiliana è a rischio e noi di Liberi e Uguali rivolgiamo un appello al popolo brasiliano ed alle sue classi dirigenti affinché si individui il cammino del dialogo sociale e della pacificazione nazionale, basati sul rispetto della legge e non sulla sopraffazione; sulla negoziazione e soluzione politica dei conflitti e non sull’autoritarismo, che porta inevitabilmente con sé la soppressione della democrazia e dei diritti fondamentali, valori supremi della nostra comune storia recente.

Roma, 6 aprile 2018