Si chiude una storia, apriamone una nuova. Il documento del XI Municipio di Roma. #ricominciodatre

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Documento/contributo di Articolo Uno MdP XI Municipio di Roma

Il 4 marzo si chiude una storia; il coraggio e la forza di aprirne una nuova.

Una forza di sinistra che parli al mondo che viene.

Le elezioni politiche e regionali del 4 marzo segnano la fine del modello di centro-sinistra con cui abbiamo risposto alle destre dagli anni ’90 in poi. E’ questo il primo dato inequivocabile che abbiamo di fronte. I dati sono impietosi. Anche volendo sommare tutte le liste di sinistra e del campo del centro-sinistra compreso il Partito Democratico non si arriva al 25 per cento. Dodici milioni in meno rispetto al 2006, quando Prodi vinse con l’Unione. Praticamente, un popolo.

Perfino la vittoria nella Regione Lazio appare più come l’ultimo baluardo di un mondo che non c’è più che come il possibile punto da cui ripartire per tornare a vincere. Non sfuggirà che quella vittoria, per giunta dimezzata dalla mancanza di una maggioranza in consiglio regionale, è dovuta a una congiuntura particolarmente favorevole (candidato presidente molto stimato, divisione nel centro destra) che non facilmente si potrà ripetere. In questa vittoria, comunque, è stato essenziale il nostro contributo, sia a livello programmatico che nella definizione del perimetro della coalizione.

Eppure viviamo in un Paese in cui abbiamo, nell’ordine:
• i livelli più alti di disoccupazione giovanile;
• un orario di lavoro superiore alla media europea;
• l’età pensionabile che sfiora i 70 anni;
• l’80 per cento delle pensioni che non superano i 1.000 euro;
• una tassazione che aumenta le diseguaglianze;
• un welfare che non si occupa dei minori e dei senza-lavoro;
• una precarizzazione che dal lavoro si estende al sociale;
• un servizio sanitario che non riesce più a garantire il diritto alla salute.

L’elenco potrebbe continuare, ma anche solo questi parziali punti ci indicano quanto bisogno ci sia di una forza che dia rappresentanza politica ai deboli. La sinistra serve a questo. A ribaltare, attraverso la lotta politica, i rapporti di forza creati dalla società capitalistica. Se la sinistra non assolve a questa funzione diventa un corpo estraneo. Questo è quanto è avvenuto non solo nel nostro paese, ma a livello europeo: le forze che si ispirano al socialismo hanno finito per cercare soltanto di limitare i danni delle politiche liberiste e di apparire alla fine contigue all’establishment.

In questo quadro, la nostra lista di Liberi e Uguali si è presentata agli elettori in ritardo, con i nove mesi di insensata rincorsa a Pisapia sul groppone, ma ha comunque generato grande interesse e attese. All’Atlantico si respirava un’aria nuova, c’era entusiasmo genuino. Da lì bisognava ripartire, puntando tutto sulla costruzione immediata di una rete sui territori a cui affidare, con una regia nazionale, le scelte più rilevanti a partire dalle candidature. Si è preferito una centralizzazione burocratica che, in molti casi, ha prodotto scelte difficilmente comprensibili.

Una serie di assemblee-teatro (quella in cui è stato presentato il programma, solo per ricordarne una) hanno generato sconcerto e delusione. Per non parlare della formazione delle liste. Così ci siamo presentati ai blocchi di partenza della campagna elettorale. E qui abbiamo puntato su due aspetti: da un lato Liberi e Uguali ha motivato la sua funzione costituiva nel recupero di un consenso in uscita dal Pd, dall’altro ci siamo fatti intrappolare in un dibattito astruso sulle alleanze future. Il tema delle alleanze non va dimenticato, ci mancherebbe, ma visto in un quadro di costruzione della nuova forza politica e rafforzamento del nostro profilo autonomo. Ci si allea sui programmi, non per mero calcolo elettorale. In buona sostanza ci siamo acconciati a svolgere una funzione suppletiva nei confronti di un Pd proiettato verso il baratro e per di più privi di un rinnovamento generazionale. Una contraddizione stridente con il nostro elettorato, composto da molti giovani. Per poi finire negli ultimi giorni decisivi per il voto intrappolati nel reticolato ben disposto dai media circa un nostro presunto impegno a sostegno di un governo di larghe intese esteso alla destra per arrivare al cambio della legge elettorale.

Poco sulle proposte, nulla sulle prospettive. Se escludiamo la lodevole quanto simbolica proposta di giungere alla cancellazione delle tasse universitarie, le stesse importanti indicazioni rivolte al Paese nell’ultima parte della campagna elettorale, quali la riduzione dell’orario di lavoro o la rimodulazione progressiva del sistema di tassazione, sono apparse tardive e timide per finire nella totale incomprensione popolare.

Nonostante ciò – e pur registrando un risultato deludente – più di un milione di italiani ci hanno dato il loro consenso. Troppo poco per essere soddisfatti, senza dubbio. E’ l’ennesima prova che senza grandi ambizioni i risultati non arrivano. Abbiamo parlato troppo del mondo che sta finendo, poco del mondo che viene, quasi per niente di come vorremmo che fosse. Ora è il momento di cambiare marcia. Secondo noi le condizioni per farlo ci sono.

L’avvio della fase costituente per la costruzione di una forza politica della sinistra italiana – inclusiva, unitaria e di governo – inevitabilmente sospeso dall’impegno straordinario per la campagna elettorale, non è più rinviabile. La stessa impegnativa riflessione avviata nel Pd dopo l’esito elettorale per ricostruire un nuovo centro-sinistra ci sollecita a riprendere questo cammino e non già ad acconciarci in ipocriti quanto rinunciatari ripensamenti. Non è tempo per le delusioni e i sogni infranti, così come non è tempo di opportunismi o cambi di casacca dopo essere stati eletti. Una nuova sinistra e un nuovo modello di centro-sinistra possono tornare, infatti, a essere credibili e vincenti soltanto se capaci di parlare a tutto il Paese e avendo finalmente chiaro che partito e alleanza non sono sovrapponibili: al partito compete la rappresentanza, all’alleanza il compito di costruire la necessaria sintesi unitaria e programmatica, per offrire una guida autorevole e stabile al Paese. Cosa fare. Partire dalle nostre radici e costruire idee nuove e soluzioni nuove che parlino al bisogno inconsapevole di sinistra che oggi esprime il popolo, dare vita a pratiche comunitarie e partecipative, con un nuovo partito della sinistra e del lavoro.

Occorre:
1) Avviare immediatamente una fase costituente delle idee su due livelli che devono interagire. Non chiusa alle forze che hanno lanciato Liberi e Uguali, ma aperta agli altri, cominciando dal PD e dalla sua crisi, alle esperienze di base, politiche, sindacali, associative e sociali che alle ultime elezioni non siamo riusciti a coinvolgere, al mondo cristiano che guarda alla sfida di Papa Francesco, a tanti giovani che vogliono partecipare. Non si tratta di sommare qualche altro zero virgola, ma di dare un respiro differente al nostro progetto. Se davvero pensiamo che sia necessaria una forza di sinistra nel nostro paese non si può prescindere da questo percorso.
2) Partire dai territori, con la strutturazione di un partito radicato nelle nostre città che torni non solo a parlare con quei ceti meno abbienti che non riusciamo più a rappresentare, ma metta in atto azioni concrete che rappresentino la società che vogliamo costruire. Le nostre sezioni devono essere percepite non come luoghi della politica tradizionale ma come centri di aggregazione. Allo stesso tempo occorre dare alla nostra azione quotidiana un “cielo” un quadro valoriale e simbolico che ci porti di nuovo a immaginare una società alternativa a quella capitalista. Va ricostruita su basi differenti una sinistra europea che esca dall’inganno del liberismo e torni a osare. Il contributo dell’Italia non può mancare in questo percorso.
3) Definire regole democratiche sulla rappresentanza che non solo rendano trasparenti i processi decisionali, ma consentano di selezionare una nuova classe dirigente non per fedeltà, ma per capacità e competenze. Il rinnovamento non è una questione anagrafica, ma di sostanza. Non possiamo avere ancora una classe dirigente che ha sulle spalle una stagione costellata di errori e sconfitte. Non si tratta di rottamare nessuno, ma tutti dobbiamo avere la consapevolezza che un passo in avanti collettivo passa attraverso la costruzione di gruppi dirigenti, dal territorio al livello nazionale che abbiano lo sguardo rivolto al futuro e le spalle sgombre dai pesanti fardelli della lotta politica recente. Insomma serve un atto di generosità delle formazioni politiche di partenza che si devono mettere in gioco davvero, aprendosi al confronto. L’errore più grave sarebbe di chiudersi nei propri recinti (un po’ miseri e malridotti), facendo finta di nulla. Se Leu si trasforma in un partitino controllato dai suoi eletti e, ci permettiamo di aggiungere, se il PD in nome di una tregua post-elettorale balbetta, il risveglio la mattina delle possibili prossime ravvicinate elezioni anticipate sarà assai più amaro di quello non felice del 5 marzo.

Se vogliamo che la nostra storia non finisca il 4 marzo, se vogliamo costruire la sinistra che serve all’Italia dobbiamo guardare al mondo che viene e batterci per cambiarlo davvero. Una sinistra che riparta dalla sua vocazione costituzionale, che non si accontenta della testimonianza ma usa le leve del governo per renderci davvero più Liberi e Uguali, rimuovendo gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La convocazione degli attivi territoriali deve aprire questa fase. Il congresso costituente deve avere il compito di chiuderla.