“Il Ministro Calenda deve capire che il fenomeno della delocalizzazione delle attività produttive è un tema non di oggi rispetto al quale l’Italia appare completamente indifesa. La legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) aveva previsto che le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato in un Paese non appartenente all’Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento, decadono dal beneficio stesso e hanno l’obbligo di restituire i contributi in conto capitale ricevuti. Appare, tuttavia, evidente come l’effetto applicativo di questa norma sia fortemente limitato da due presupposti precisi: il primo, che l’impresa abbia delocalizzato la propria produzione dal sito incentivato a un Paese non appartenente all’Unione europea; il secondo, che la delocalizzazione abbia comportato una riduzione del personale pari almeno il 50 per cento. Per quanto riguarda il primo punto bisogna osservare che la crisi italiana ha rafforzato la delocalizzazione soprattutto nell’Europa orientale e la destinazione preferita, non sono più i Paesi extraeuropei ma l’oriente europeo. Il secondo punto riguarda, invece, il fatto che tale delocalizzazione debba comportare una riduzione del personale pari almeno al 50 per cento, il che ovviamente non assicura quell’esigenza di salvaguardia e di protezione sociale dei livelli di occupazione dell’impresa che abbia avviato procedure di delocalizzazione della propria attività produttiva.Bisognerebbe, dunque modificare la normativa, come peraltro proposto durante questa Legislatura in Parlamento prevedendone l’estensione anche alle imprese che delocalizzano la propria produzione dal sito incentivato in uno Stato anche appartenente all’Unione europea, con conseguente riduzione o messa in mobilità del personale. Inoltre, bisognerebbe intervenire alla stregua delle linee tracciate dalla cosiddetta «legge Florange» in maniera tale che le imprese italiane ed estere con almeno 1.000 dipendenti non possano delocalizzare la propria produzione dal sito incentivato presso uno Stato anche appartenente all’Unione europea con conseguente riduzione o messa in mobilità del personale, prima di aver trovato un nuovo acquirente che garantisca la continuità aziendale e produttiva, nonché il mantenimento dei livelli occupazionali dell’impresa stessa. Nel caso di mancato rispetto di tale obbligo, le imprese interessate dovranno restituire i contributi ricevuti negli ultimi cinque anni, con applicazione degli interessi legali, nonché corrispondere al soggetto erogatore del contributo il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 2 per cento del fatturato conseguito negli ultimi cinque anni.Questo fondo potrebbe essere destinato alle lavoratrici ed ai lavoratori vittima di delocalizzazione, mettendo loro a disposizione contributi per rilevare l’attività dove e’ stata abbassata la saracinesca. Evidentemente, al Ministro Calenda, la triste vicenda ed il relativo epilogo della vertenza k-flex non ha insegnato proprio nulla. Spente le telecamere, archiviata la questione. Per me non è così”. Cosi’ Francesco Laforgia capogruppo di Mdp a Montecitorio ed esponente di Liberi e Uguali.