Lettera aperta a un millennial, mio coetaneo

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Caro Marco, parliamoci tra “giovani”: abbiamo più o meno la stessa età e apparteniamo, come sai, a una generazione erroneamente ritenuta apatica e disinteressata alla politica: erroneamente, perché lo scorso 4 dicembre sia tu che io siamo andati a votare per bocciare una riforma costituzionale che reputavamo sbagliata e pericolosa per la democrazia, e come noi milioni di nostri coetanei: al punto che fra i giovani il No ha prevalso addirittura con l’81 per cento, oltre venti punti in più della media nazionale.

Ho riflettuto su questi dati, in quanto il voto referendario è stato accostato da molti analisti ai tragici esiti della Brexit e dell’elezione di Trump, senza tenere conto del fatto che, se avessero votato unicamente i giovani, la Brexit non ci sarebbe stata e in America avrebbe prevalso Sanders mentre Renzi sarebbe stato archiviato in via definitiva. Come ha spiegato papa Francesco, dunque: “Questo tempo non è un’epoca di cambiamento: è un cambiamento d’epoca”. Dopo trent’anni di egemonia culturale liberista, in cui sono stati gettati alle ortiche quattro decenni di crescita, sviluppo e avanzamenti sul terreno dei diritti sociali, ci siamo infatti riscoperti tutti più soli, più fragili e ormai del tutto privi di punti di riferimento.

Non a caso, caro Marco, l’intero Occidente è pervaso da spinte regressive e da un pericoloso vento di destra che gonfia le vele di soggetti come il Front National e altre formazioni sovraniste, il cui primo obiettivo è distruggere un progetto europeo che dev’essere modificato radicalmente ma non certo smantellato. Tuttavia, come avrai notato, questa stagione incerta ha prodotto in molti di noi anche il desiderio di recuperare valori troppo a lungo trascurati da una sinistra che sembrava quasi vergognarsi di essere tale: il senso di comunità, l’importanza della collettività, lo stare insieme, il prendersi per mano, lo spirito di sacrificio e la fiducia nel prossimo. E a chi sostiene che questi siano princìpi del passato, tu giustamente rispondi che questi sono i cardini della Resistenza, esibendo con orgoglio la tessera dell’A.N.P.I. che hai deciso di prendere lo scorso 25 aprile: non credi più nei partiti ma la politica ti piace ancora, e nell’associazione dei partigiani hai trovato quella visione sociale che la politica tradizionale fatica ad esprimere.

Del resto, me l’hai raccontato tu stesso, qualche giorno fa hai letto una frase che ti ha colpito molto: la scrisse nel novembre del ’44 un ragazzo di diciannove anni, si chiamava Giacomo Ulivi e stava per essere fucilato, a Modena, dai repubblichini. Ti ha colpito fin quasi alle lacrime quel suo invito ad occuparsi di politica, a non dire mai non mi interessa o non mi riguarda, specificando che se lui moriva e se il Paese era ridotto in quelle condizioni, era proprio perché troppi si erano disinteressati per troppo tempo alla politica. Per questo ti sei iscritto all’A.N.P.I.: perché dentro di te senti la voglia di occuparti della cosa pubblica e dei beni comuni, come dimostra il tuo impegno nel 2011 nei quattro referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento e come dimostrano le battaglie di cui ti sei reso protagonista in questi anni sbagliati e bugiardi, caratterizzati dalla mutazione genetica di un partito nel quale molti di noi avevano creduto con tutta l’anima e dalla trasformazione delle larghe intese emergenziali in un progetto di governo sine die.

Non so, caro Marco, per chi hai votato l’ultima volta: la mia impressione è che nel 2013 tu abbia voluto dare un segnale, scegliendo il M5S non tanto perché ti convincessero le urla di Grillo, ma perché volevi chiarezza da Bersani e dal Pd su molti temi che ti stavano a cuore e sui quali li, ci, ritenevi troppo ambigui. Sono trascorsi quattro anni, caro Marco: quattro anni in cui sono stato costretto a darti spesso ragione e a rendermi conto di quanto fosse vero che “avevo le fette di prosciutto davanti agli occhi”, come mi ripetevi quando io mi arrabbiavo con te dicendoti che il Pd era l’unica speranza per l’Italia, e che il M5S era un soggetto populista. Non è così: in quel movimento c’erano molti valori di sinistra o, per meglio dire, quel soggetto politico riusciva ad incarnare meglio di noi le ansie ed il senso di abbandono di una generazione che si sente tradita.

Non ti chiedo di votarci o di aderire ad Articolo Uno: so che, dopo gli errori che abbiamo commesso negli ultimi anni, sarà dura tornare a credere in noi e so che dovremo riguadagnarci la stima e la fiducia dei nostri stessi elettori, figuriamoci la tua! Ti chiedo, però, di leggerci, di seguirci, di confrontarti con noi e, magari, anche di venirci a criticare. Perché la sfida di costruire un nuovo centrosinistra, diverso rispetto all’ulivismo di vent’anni fa ma animato dagli stessi ideali e dalla stessa visione della società, volta a coinvolgere tutti, e a valorizzare pienamente le esperienze civiche e il tanto di buono che si muove al di fuori di noi, quella sfida oggi è più attuale che mai.

Roberto Bertoni

Nato a Roma il 24 marzo 1990. Giornalista free lance, scrittore e poeta. Militante del Pd fin dalla fondazione, lo ha abbandonato nel 2014 in dissenso con la riforma costituzionale e con l'impianto complessivo del renzismo. Non se ne è mai pentito.