Abruzzo: Sclocco, una scuola nuova con Liberi e Uguali

Abruzzo

Intervento dell’Assessore alle politiche sociali della regione Abruzzo Marinella Sclocco in occasione dell’iniziativa “Per la scuola buona davvero”, promossa da Liberi e Uguali Abruzzo

Dalla scuola dipende il futuro di un Paese. Dalla sua qualità dipendono il benessere delle persone, la loro libertà e la loro uguaglianza, la loro felicità e riuscita nella vita. Dall’investimento che si fa sull’istruzione dipendono la crescita economica, lo sviluppo umano e sociale, la sostenibilità e l’innovazione, la creatività e il progresso civile e tecnologico. Dalla scuola dipende se non tutto, molto, perché la scuola crea i cittadini. E crea anche la classe dirigente.
Non sto parlando di questioni mai sentite, ma di una consapevolezza diffusa, un principio che ci mette tutti d’accordo. Chi potrebbe negare che la scuola costruisce l’avvenire? Ma se tutti sappiamo che è così, perché continuiamo a mettere la scuola in pericolo? Perché continuiamo a non agire? Perché continuiamo a non difenderla?
Da anni, troppi anni ormai, sciupiamo ricchezze facendo riforme che contribuiscono solo ad aumentare la confusione amministrativa e logistica delle scuole, perseguendo finalità che invece di migliorarla hanno fatto addirittura male alla scuola.
La scuola dovrebbe essere agile nell’accesso, sia degli studenti che del personale; facile, nella burocrazia. La scuola dovrebbe essere completa ed efficace nella formazione che dà; rigida nella preparazione degli insegnanti; ligia, nel modo in cui li tratta. La scuola dovrebbe essere vicina al mercato del lavoro, ma in maniera funzionale e organizzata, non secondo sistemi di alternanza che nella concretezza non integrano i due mondi, bensì alimentano la crescita dello stereotipo della “disorganizzazione all’italiana”.
La scuola dovrebbe essere di tutti e per tutti, partecipata, onesta e preparata nella governance.
In Abruzzo, abbiamo lottato molto per andare in questa direzione, favorendo le specializzazioni tecniche e lo sviluppo di un modello di scuola post-obbligo e post-secondaria che offre inserimento lavorativo in quasi il 100% dei casi. È un dato che suona quasi irreale di questi tempi, ma che è stato possibile grazie all’istituzione dei poli tecnico professionali e al sistema degli istituti tecnici superiori nei settori della moda, dell’efficienza energetica, della meccanica e dell’agroalimentare, nonché grazie ai percorsi d’istruzione e formazione professionale che tendono a combattere la dispersione scolastica. Abbiamo lavorato sull’ammodernamento delle attrezzature per i laboratori degli istituti professionali, garantito il diritto allo studio con la copertura totale delle borse e la realizzazione delle residenze universitarie. Abbiamo lanciato progetti come “Scuole aperte e inclusive” che hanno permesso investimenti per cambiare le priorità e la visione della scuola.
E sono convinta che bisogna partire proprio da qui, da progetti come questi per creare prospettive per la scuola dei prossimi anni. Per andare avanti davvero bisognerà ripensare al ruolo dell’educazione e al significato del fare scuola in un mondo che ha una dinamicità straordinaria e che richiede competenze sempre nuove e flessibili di lavoro, ma anche persone e adulti in grado di avere autonomia di pensiero e di creatività.
Non dobbiamo incorrere in quel grande abbaglio che in questi tempi va molto di moda e ci sta convincendo che la scuola non serve più a niente, perché l’iper-qualificazione non porta lavoro. Nozioni astratte e concrete, ma ancor di più la loro critica. La cosa principale che la scuola deve tornare a sviluppare negli alunni è la coscienza critica, l’unica in grado di fornire la conoscenza indispensabile per un uomo che voglia definirsi colto e moderno, e cioè, un uomo che sa e che sa fare. Questo è “il solo modo rivoluzionario di intendere lo studio, sapendo bene la fatica che questo richiede” diceva Berlinguer. E per questo bisogna puntare ad innovare il modello scolastico. Oggi, troppi, tanti bambini e ragazzi si annoiano a scuola perché non apprendono nulla di nuovo e di interessante rispetto alla loro crescita e ai loro tanti mondi, che sono digitali, virtuali e fisici insieme. Siamo sicuri che i “programmi” attuali siano adatti per le nostre nuove generazioni? Abbiamo bisogno di andare verso la creazione di un modello scolastico innovativo e condiviso, in cui studenti e docenti siano protagonisti di una nuova relazione educativa e di nuovi spazi e metodi didattici. Dobbiamo ridare originalità al fare scuola e rimettere al centro il bambino o l’adolescente nella sua globalità di persona, con i suoi interessi, i suoi valori, le sue aspirazioni, il suo talento.
L’Italia, poi, ha bisogno di avanzare in tutti i campi del sapere, per reggere il confronto con le esigenze della nuova civiltà che si profila e gli articoli della Costituzione che si riferiscono all’insegnamento e alla promozione della cultura, della ricerca scientifica e tecnica, non possono essere disattesi. E perciò bisogna affermare la prospettiva di un ampliamento della gratuità dell’istruzione a tutti i livelli (come Grasso ha sottolineato nei giorni scorsi annunciando l’abolizione delle tasse universitarie e riaprendo il dibattito sul senso e sull’essenza dell’istruzione pubblica). La gratuità dell’istruzione è un obiettivo strategico per tutto il Paese, che va affermato prevalentemente attraverso l’abolizione della contribuzione studentesca e un potenziamento del diritto allo studio. Abbiamo il dovere di rimuovere le barriere economiche, sociali e territoriali che si frappongono all’accesso e alla prosecuzione degli studi. Dobbiamo restituire al nostro sistema una logica solidale: caricare il finanziamento dell’istruzione sulla fiscalità generale (e progressiva). TUTTI dobbiamo concorrere all’istruzione in proporzione al reddito, come avviene per la sanità, anche la scuola, inclusa l’alta formazione, deve diventare una questione nazionale (È credibile e sostenibile raggiungere livelli di esenzione pari agli esempi europei più virtuosi come Germania, Austria e Paesi scandinavi).
La scuola è come un arco che scaglia le frecce verso il futuro, per dirla con il poeta Gibran, è un luogo che forma, coinvolge, interessa.
È uno spazio che rende tutti partecipi e per farlo deve:
1. riconquistare autorevolezza per la funzione scuola e per la funzione docente (una visione maggiore del presente e del futuro, un maggiore riconoscimento stipendiale dei docenti italiani (l’Italia è fra gli ultimi in Europa) ed evitare la svalutazione sociale che stanno subendo);
2. rivedere i cicli scolastici: basta con la frammentazione. La scuola deve essere un continuum, così come sono un continuum lo sviluppo psicofisico e quello cognitivo dei bambini (in questo senso sono buone prassi quelle degli istituti comprensivi che si sono organizzati in verticale, facendo sì che i bambini non sentano più il passaggio da un grado all’altro della scuola);
3. fare un grande piano per costruire scuole nuove in tutta Italia, basato sulla flessibilità e sull’adattabilità degli spazi. Occorrerebbero forse più di cento miliardi di euro per riuscirci ma, intanto iniziamo questo percorso: cominciamo a chiedere all’Europa di destinare i prossimi fondi a questa finalità. Non basta ridipingere o rifare gli intonaci per rendere idonee e sicure le scuole, abbiamo bisogno di interventi strutturali;
4. dobbiamo pensare ad una specifica strategia per le scuole di montagna, delle aree interne e delle aree rurali;
5. dobbiamo eliminare la scuola che alimenta l’immobilismo sociale; la scuola italiana non è più un ascensore sociale, anzi riproduce il disagio e la classe sociale. Non possiamo tollerare una scuola che alimenta la disuguaglianza sociale (secondo dati OCSE, in Europa dopo di noi fa peggio soltanto la Turchia).
La scuola ha bisogno di cambiamento, ma in direzioni diverse da quelle della Legge 107 e con metodi diversi: bisogna partire dal basso, dall’ascolto e dalla partecipazione. Solo coinvolgendo le famiglie, gli studenti, gli insegnanti, il personale scolastico e i dirigenti possiamo fare riforme migliori e durature.
Partiamo dalle buone pratiche che ci sono oggi nelle scuole e rendiamole un patrimonio comune della scuola italiana, mettendole a regime. Non pensiamo ad una scuola che si auto-conserva o ad una scuola buona o cattiva. I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, coerenza e altruismo, diceva Pertini. Partiamo dalla scuola, partiamo da una scuola nuova: una scuola così, che sia buona davvero.