Sulla scuola due cose, concrete, lasciando da parte il pedagogese e il politichese. La prima: la dispersione scolastica. La seconda: l’innalzamento dei livelli di istruzione. Piccolo passo indietro. Torniamo, per un istante, alle Strategie per il 2020 del Consiglio europeo del 17 giugno 2010. Europa non significa solo eurocrazia, austerity o tecnicalità. Europa significa anche capacità di orientare i Paesi che ne fanno parte verso standard sociali e formativi più evoluti. La cosiddetta Strategia per il 2020 ha indicato cinque obiettivi comuni: innalzamento al 75% del tasso di occupazione; aumento degli investimenti al 3% del Pil per ricerca e sviluppo; cambiamenti climatici e sostenibilità energetica; com’è noto, riduzione delle emissioni di gas serra del 20%, 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili, aumento del 20% dell’efficientamento energetico: la famosa formula del 20-20-20. Poi lotta all’emarginazione, con previsione, già allora, nel 2010, che almeno 20 milioni di europei avrebbero potuto cadere in una condizione di povertà. In Italia, oggi, abbiamo circa 5 milioni di persone sotto la soglia di povertà; 11 milioni quelle che arrivano a rinunciare, in toto o in parte, a curarsi, per motivi economici. La disoccupazione giovanile sopra il 30% (notizia Istat del 9 gennaio). Ne ha parlato, in un suo post su Facebook, Cecilia Guerra. Siamo il Paese europeo con il più alto numero di giovani fuori dal ciclo scolastico o senza lavoro. Né studenti, né occupati, né in formazione. I Neet. Non solo: oltre l’immigrazione, c’è l’emigrazione; più di 100.000 persone, per buona parte giovani, ogni anno, se ne vanno dall’Italia alla ricerca di fortuna altrove. Uno zero virgola in più di Pil o qualche lieve incremento nell’occupazione non possono che far piacere; purtroppo non scalfiscono questi dati strutturali.
Quindi, sempre tra le Strategie per il 2020, nel campo dell’istruzione: riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% e aumento al 40% dei giovani con un’istruzione universitaria. Sono i due “nodi” del ciclo scolastico e universitario italiano. Dal 2010 sono passati otto anni. Al 2020 ne mancano due. Che cosa è stato fatto? Poco. Cosa si può fare? Molto. Sapendo che il titolo di studio non sempre è indicativo della reale efficacia formativa e che bisogna puntare alla sostanza. L’ultimo Rapporto Censis, uscito all’inizio di dicembre, ha evidenziato come l’Italia sia tuttora penultima nella graduatoria dei laureati dell’Unione europea, sopra solo alla Romania. In Italia, attualmente, solo il 26,2% della popolazione tra i 30 e i 34 anni è in possesso di una laurea; in Romania il 25,6%. Nel Regno Unito il 48,2%. In Francia il 43,6%. In Spagna il 40,1%. In Germania il 33,2%. Occorrre un grande progetto di piccole opere, didattiche e culturali, contro la dispersione. Con risorse; ma, prima di tutto, con volontà politica e visione educativa.
Il tema delle tasse universitarie è stato posto, lo scorso 7 gennaio, a Roma, con chiarezza, in occasione dell’assemblea dei delegati di Liberi e uguali. Rossella Muroni, nella sua relazione introduttiva, ha detto così: “È irrinunciabile un investimento sulla progressiva gratuità dell’accesso, sul diritto allo studio, sul superamento del numero chiuso, sulla qualità dell’insegnamento, sulla valorizzazione di professori e ricercatori, sulla valutazione seria della ricerca: strumenti strutturali per la ricostruzione di un sistema universitario e della ricerca pubblica all’avanguardia e diffuso lungo tutta la penisola”. Un approccio corretto. Alla Jeremy Corbyn, e non solo. Attento ai sistemi più avanzati, come quelli del nord Europa. Orientando la nostra proposta politico-programmatica verso il segmento giovani, formazione e standard europei. Un punto sensibile della crisi italiana sin qui trascurato dalla politica. La misura, ha spiegato il presidente Grasso, costa 1 miliardo e 600 milioni: «È un decimo – ha aggiunto – dei 16 miliardi che ci costa lo spreco di sussidi dannosi all’ambiente, secondo i dati del ministero dell’Ambiente».
Con un post su Facebook, Pietro Grasso ha poi sottolineato l’escalation degli aumenti delle tasse universitarie degli ultimi anni e ha ricordato che ai diritti dovranno corrispondere dei doveri: “Per studiare gratuitamente sarà necessario dimostrare di farlo con profitto (con parametri diversi per gli studenti lavoratori)”. In questo momento l’esenzione dalle tasse universitarie riguarda coloro che hanno un reddito sotto i 13 mila euro Isee con sgravi per chi arriva ai 30 mila.
Domanda: si può fare di più? Certamente. La proposta è stata fatta e va letta come una sollecitazione volta ad applicare l’articolo 34 della Costituzione, a favore dell’innalzamento dei tassi di istruzione superiore. Aggiungo che non c’è solo l’Università. Da dieci anni a questa parte ci sono anche gli Istituti tecnici superiori, sui quale sarebbe opportuno un approfondimento rispetto alla situazione della filiera tecnico-professionale.
Sicché sono questi i due aspetti prioritari: contrasto alla dispersione e innalzamento dei livelli di istruzione, per un sistema formativo più inclusivo e di qualità. Facendone, nel prossimo Parlamento, materia per un organico intervento legislativo. A partire dalla Strategia europea per il 2020, per andare oltre. Dobbiamo porci in una prospettiva di cambiamento, nella piena valorizzazione di chi opera nella scuola. Aprendo una nuova stagione di ascolto, in un ambito della società e della pubblica amministrazione che rappresenta alcuni dei più importanti valori della nostra Costituzione: dal diritto all’apprendimento alla libertà d’insegnamento, dal pluralismo culturale al principio di non discriminazione (l’articolo 3 sul quale, il 3 gennaio, il presidente Pietro Grasso ha richiamato l’attenzione, concludendo la prima assemblea di Liberi e uguali).