Massimo Recalcati, che si attribuisce da se stesso la patente di uomo di sinistra, ha scritto su “La Repubblica” del 27 novembre un articolo il cui titolo è un’esortazione: “Cara sinistra per guarire rileggi Turati”. Lo scritto affronta, in ultima analisi, il problema del valore (e dell’uso) del passato, del suo lascito, da attribuirsi e da far vivere in politica per produrre utili e feconde iniziative nel presente e nel futuro. E Recalcati propone a una sinistra, che dipinge come un deserto di macerie, vittima del virus sempre ricorrente della scissione, di guardare a Filippo Turati, che il vizio della separazione intestina aveva lucidamente combattuto al congresso di Livorno che dette origine alla costituzione del Partito comunista d’Italia. Curiosa esortazione. Turati va bene, ma Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer (ricordate il vecchio scandire dei cortei negli anni Settanta?) non funzionano più. Vero, in questo Recalcati ha ragione: Gramsci, Togliatti e Berlinguer, per ciò che storicamente furono (cioè per l’hic et nunc della loro epoca) non possono più parlarci ancora oggi. Sono muti. Le condizioni in cui vissero e lottarono risultano oramai molto distanti dall’oggi, alcune di quelle lontane addirittura anni luce.
Sbaglieremmo, dunque, se cercassimo in quegli esempi ciò che è vivo e ciò che è morto per noi ora e adesso, e poi, dopo questa sterile ricerca, abbagliati da un risultato fallace, sulla base di una simile indagine, proponessimo una qualche soluzione immaginata valida per il presente. Però altra cosa sarebbe, e molto utile, apprendere da quelle figure della storia del movimento operaio (come, del resto dalla storia degli illustri combattenti per la democrazia e per la libertà di altre e diverse appartenenze ideali) la profonda lezione che dal loro operare ancor oggi può essere estratta a nostro vantaggio. Non formulette buone per tutte le stagioni, ma ispirazioni per orientarci liberamente nel presente, consapevoli che la storia non si ripete mai e che dovere della politica è quello di essere all’altezza di immaginare il futuro proprio per modificare l’ordine esistente delle cose. Secondo i fautori del neo-massimalismo,“essere di sinistra – stigmatizza Recalcati – significherebbe coltivare una concezione immobilista della propria identità, ribadire il valore di concetti, categorie, principi che appartengono al secolo scorso”, tanto da nascondere nelle pieghe della propria retorica la sua vera natura: quella di un profondo conservatorismo. Sulla base di questa ricostruzione caricaturale del proprio avversario polemico, e incapace di concepire il passato come lezione per il presente, Recalcati smentisce se stesso e la sua idiosincrasia per il tempo che fu. Alla fine va al sodo: guardate a Turati, cioè all’unico passato che veramente conta; un leader il quale aveva capito tutto con il suo saggio riformismo gradualista, scevro da ogni estremistica fuga in avanti la quale è destinata a rimanere sempre stretta nella tenaglia fra uno sterile ribellismo e una conservazione immobilistica. Per fare così immancabilmente il gioco del nemico.
Povero Filippo Turati! Questo combattente per il socialismo; questo marxista-positivista, decisivo per la fondazione del PSI nel 1892; difensore della libertà contro il rigurgito reazionario di fine secolo; coadiutore di Giovanni Giolitti nella costruzione di un regime liberal-democratico, che aveva i suoi punti di forza tra gli operai e i braccianti del Settentrione d’Italia; travolto dallo scoppio della prima guerra mondiale; politicamente smarrito di fronte al fascismo; a sua volta artefice della seconda scissione del PSI nell’ottobre del 1922 (vedi Recalcati, nessuno è indenne dal peccato!), e straordinario esempio di coerenza morale in esilio in Francia, perché non volle piegarsi alla violenza della dittatura di Mussolini. Povero Filippo Turati, conficcato saldamente con le mani e con i piedi in pieno secolo XIX, uomo rappresentativo di quanto di meglio la democrazia sociale di quell’epoca seppe produrre, ma spaesato e come afasico di fronte allo sconvolgimento del primo conflitto mondiale, insieme a molti suoi compagni della corrente riformista del PSI, come Giuseppe Emanuele Modigliani il quale candidamente e disperatamente confessava: “Non rimpiangeremo mai abbastanza l’anteguerra!”.
Si deve la massima reverenza a chi, nelle condizioni date e con i mezzi possibili, ha costruito la democrazia italiana, e quindi anche a uomini come Filippo Turati, ma stiamo attenti a non fare di queste persone delle figurine ad usum Delphini, secondo un utilizzo disinvolto e strumentale della storia al fine di screditare l’avversario politico. Così facendo non si rende un buon servigio né alla storia né alla politica.