Libertà, partecipazione e responsabilità: le parole chiave del 4 dicembre

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Il 4 dicembre 2016 ha fatto registrare la massiccia partecipazione al voto di milioni di cittadini italiani per dire NO al disegno oligarchico voglioso di farsi una nuova Costituzione di comodo intrecciata con una legge elettorale di comodo e incostituzionale. Le recenti elezioni in Sicilia e ad Ostia hanno dimostrato che la stragrande maggioranza dei cittadini non partecipa alle elezioni. Questi dati attinenti alla “partecipazione”, esaminati in senso logico e cronologico, danno un quadro chiaro dello stato di salute della democrazia italiana. La “partecipazione” dei cittadini alle elezioni e la “credibilità” dei candidati sono le due gambe sulle quali cammina la democrazia.

Quanto alla partecipazione al voto referendario, è importante fare un breve cenno a due aspetti estremamente significativi. Quello della “credibilità” degli esecutori del progetto riformatore e quello della “forza propagandistica” impiegata a favore del medesimo progetto. È stata di tutta evidenza la “scarsa credibilità” e la estrema debolezza del Parlamento. Infatti la Corte Costituzionale, accogliendo appositi ricorsi presentati da semplici cittadini, aveva riconosciuto che il Parlamento fosse stato eletto con una legge elettorale incostituzionale. Gli italiani hanno capito benissimo gli intenti di un legislatore che, eletto in modo incostituzionale, pretendeva di cambiare la Costituzione. Il secondo aspetto attiene al fatto che gli esecutori e i mandanti del progetto oligarchico hanno avuto a disposizione un gigantesco e fortissimo apparato propagandistico, costituito da:

1) il potere esecutivo trasformatosi in potere costituente con atti di imperio di varia natura;

2) la televisione di Stato messa sotto un regime “proprietario” da parte del potere esecutivo;

3) la quasi totalità delle televisioni e dei giornali a stampa schierati a favore del potere esecutivo;

4) le consulenze propagandistiche fornite da un esperto straniero (Jim Messina);

5) l’esercito dei 10.000 comitati della Leopolda guidati da un capo partito che aveva anche le vesti di capo del potere esecutivo;

6) i milioni e milioni di euro.

Queste sei “forze”, messe in campo con arroganza del potere, appalesano la gravità delle iniziative governative alla luce di quanto aveva avvertito Calamandrei a proposito della necessità che il governo debba tenersi fuori dalla normativa costituzionale. D’altronde, la vittoria del 4 dicembre 2016, che è stata la vittoria della cultura liberal-democratica, può essere riassunta in una locuzione, divisione dei poteri, e in tre parole chiave: libertà, partecipazione e credibilità.

La LIBERTÀ, che va garantita attraverso un ordinamento non improntato alla sopraffazione, da parte del potere esecutivo su tutti gli altri poteri, ma alla divisione dei poteri, come ci ha insegnato Montesquieu. La libertà che non può essere continuamente oltraggiata da leggi elettorali viziate da incostituzionalità. La libertà riservata ai cittadini, non ai capi partito, di poter scegliere direttamente i componenti delle assemblee legislative.

La PARTECIPAZIONE, che va realizzata per inibire le mire oligarchiche sempre in agguato e per rendere i cittadini non sudditi, ma protagonisti.

La CREDIBILITÀ delle istituzioni e di chi sia chiamato (o si candidi) a svolgere pubbliche funzioni al servizio e nell’interesse del Paese. Nell’affrontare il tema della “credibilità”, necessita mettere in luce prioritariamente il cammino che porti a rendere viva e vegeta l’etica pubblica e, in modo più specifico, l’etica della responsabilità.

Libertà, partecipazione e credibilità sono le parole che scaturiscono da una cultura politica plurale e di stampo liberal-democratico. Sono le parole che hanno reso visibili la vetustà e l’inidoneità delle parole “destra” e “sinistra” quando si ricerchino soluzioni politiche capaci di affrontare i temi della modernità e dei bisogni della convivenza civile. Sono le parole che, come una cartina di tornasole, possono svelare ogni “resistibile ascesa” dell’uomo solo al comando, dell’uomo della provvidenza, del capo carismatico, del leader che si comporti come padrone di un partito personale. Uso la locuzione “resistibile ascesa” non per evocare l’Arturo Ui di Brecht, ma per ricordare che durante la campagna referendaria abbiamo avuto occasione di ripetere un assunto di Benedetto Croce secondo cui “non vi sono se non due sole posizioni politiche contrastanti: la liberale e l’autoritaria”.

Nell’Italia dove tutto cambia per non cambiare niente e dove il trasformismo agisce indisturbato, resta indisturbato l’attaccamento alla cadrega. Avvengono frequentemente fatti e comportamenti che antepongono gli interessi personali agli interessi generali del Paese con scarsissimo senso dello Stato. E c’è di più. Ci sono partiti, spesso padronali, che tendono a immedesimarsi nello Stato tradendo la loro funzione prevista all’articolo 49 della Costituzione. E non mancano, irresponsabilmente, “schiaffi” alle istituzioni e alle regole costituzionali. Durante la campagna referendaria abbiamo visto esponenti delle istituzioni parlare con disprezzo delle medesime istituzioni per screditarle e distruggerle. Questa voglia distruttiva, fatta di attacchi alle Istituzioni, per non parlare degli attacchi di natura personale, è uno dei grandi mali della politica italiana. Sono i mali che generano la mala politica e che disconoscono insegnamenti come quelli di Amiel:  «L’esperienza di ogni uomo ricomincia daccapo. Soltanto le istituzioni diventano più sagge: esse accumulano l’esperienza collettiva e, da tale esperienza, da tale saggezza, gli uomini soggetti alle stesse norme non cambieranno certo la loro natura ma trasformeranno gradualmente il loro comportamento».

Registi e attori della “telenovela” costituzionale ed elettorale non hanno cambiato il loro disegno di screditare le istituzioni. Basta ricordare che il capo dell’esecutivo, dimessosi a seguito della sonora sconfitta nel referendum, avviò ineffabili consultazioni a Palazzo Chigi, in parallelo con quelle di competenza del Quirinale per la formazione del nuovo gabinetto. E il governo rifatto dopo quelle dimissioni, contraddicendo platealmente i suoi impegni assunti nel momento del suo insediamento, di recente ha ripetuto le gesta del governo precedente imponendo al Parlamento otto voti di fiducia per far passare una nuova legge elettorale di dubbia costituzionalità. La legge si chiama “rosatellum” ed è successiva alle precedenti leggi elettorali già dichiarate incostituzionali: il porcellum e l’italicum.

La telenovela continua. Necessita, quindi, mettere in moto tutte le energie capaci di elaborare un progetto politico sinceramente improntato a una “visione” che abbia al centro le stesse parole chiave che abbiamo preso a riferimento nel corso della difficilissima e vittoriosa campagna referendaria: libertà, partecipazione e credibilità.

 

Antonio Pileggi

Ex Provveditore agli Studi ed ex direttore generale dell'INVALSI. Fa parte dell'esecutivo del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale